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storie in italiano

piumino13

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Nov 11, 2004
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ciao a tutti...vorrei sapere se qualcuno ha delle storie di solletico in italiano..su questo sito sono tutte in inglese...fatevi sentire..
 
Francesca E Sua Sorella (DI VITOP)

Dopo quell'episodio del solletico per la questione delle sigarette, non c'era stata più occasione per mesi nè per Federica nè per Francesca di sperimentare o di fare il solletico all'altra. In questo frattempo, però, Federica, di tanto in tanto, era portata nei momenti di rilassatezza a pensare a quell'episodio provando dentro di lei un piacere strano, sadico, che proprio non riusciva a spiegarsi. Le capitava, prima di addormentarsi, la sera nel suo letto, quando la sua mente era sgombra dalle preoccupazioni e dalla tensione della giornata appena finita, di ripensare a sua sorella legata al letto e soprattutto alla sofferenza che aveva dovuto provare nell'essere sottoposta a quella tortura sadica del solletico. Ripensava a se stessa, a quanto odiava essere solleticata. Immaginava scene di vita quotidiana, quando un amico o un parente le aveva solleticato per scherzo un piede colpevolmente lasciato scoperto. Immaginava quella sensazione insopportabile che le provocava il solletico, anche se fatto per mezzo secondo e con lei che aveva la possibilità immediatamente di difendersi e sottrarsi. Questa catena di pensieri, l'aveva portata ad immaginare sua sorella Francesca, legata al suo letto, quella fatidica sera: non osava neanche immaginare cosa si potesse provare nell'essere solleticati senza pietà per più di mezzo secondo, addirittura per dei minuti e soprattutto nello stare lì legati, senza potersi sottrarre in alcun modo alla tortura. In quello stesso istante, quando realizzò tutti questi pensieri, avvertì un senso di paura e smarrimento: cosa avrebbe potuto impedire alla sua sorellina di vendicarsi in qualsiasi momento, ripagandola con la stessa moneta? Si trattava di tortura, senza alcun dubbio. Federica infatti ricordava di aver sentito, da piccola, da qualche parte, che il solletico forzato applicato ad una vittima indifesa, che non poteva sottrarsi, era utilizzato come una vera e propria forma di tortura medioevale. Dopo questo pensiero, degli altri si fecero spazio nella sua mente: ripensò a sua sorella Francesca, ripensò a tutte le volte che avevano litigato, ripensò per esempio a tutte le volte che Francesca le aveva preso dei vestiti così, senza chiederle il permesso; che era una cosa che la faceva semplicemente impazzire. Cosa aveva fatto in questi casi per vendicarsi? Niente, semplicemente niente. Non poteva picchiarla, di certo, si trattava comunque della sua sorellina. Non le andava di litigare per poi non parlarle per giorni, poichè il clima in famiglia diventava insopportabile. Mentre si concentrava su questi pensieri, Federica ebbe una illuminazione: capì che straordinario strumento di tortura il solletico poteva essere per farla pagare a Francesca, per poterle insegnare come comportarsi. Ripensò inoltre, prima di addormentarsi, a quell'episodio delle sigarette: è vero era riuscita a farsi giurare di non dire niente alla mamma ma ripensò anche a quanto il solletico che le aveva praticato era stato fatto più come un gioco, in maniera confusa, nella fattispecie. Voleva semplicemente divertirsi un pò con la sua amica Michela, a spese di sua sorella. Ripensava a quanto, ciononostante, Francesca avesse sofferto e provò un sottile compiacimento nell'immaginare quella stessa scena, magari con Francesca imbavagliata e legata al suo letto a pancia sotto, con nodi e legature molto più forti e salde della volta precedente, subendo un solletico duro, continuo, senza pietà e per molto più tempo rispetto alla volta prima. Aveva l'impressione inoltre che il solletico fatto in quella posizione potesse essere ancora più insopportabile: le era capitato di stare sul letto a pancia sotto e di aver solleticata per un istante la pianta del piede indifeso e di scatto di ritrarsi con violenza alla sensazione insopportabile che nè risultava. Dolcemente presa nel vortice di questi pensieri, Federica, quella notte, dormì più pacificamente di quanto le era mai capitato. Dopo alcuni giorni, durante i quali Federica ripensò spesso al solletico come strumento di vendetta definitivo verso sua sorella e ormai sicura che Francesca non aveva proprio l'intenzione di vendicarsi per quella volta delle sigarette, accadde qualcosa che forse lei, inconsciamente stava aspettando. Infatti scoprì che sua sorella le aveva nuovamente preso dal suo cassetto nella sua stanza quel paio di pantaloni che tanto le piacevano, come al solito senza dirle niente. A questo punto la rabbia di Federica divenì palpabile. In quello stesso istante però, Federica, che aveva preso quei pantaloni per indossarli, si accorse che in corrispondenza di una delle tasche posteriori c'era uno strappo ben visibile, che non poteva essere stato fatto se non da Francesca. A questo punto Federica sentì il sangue salirle alla testa. Se avesse avuto la sorella davanti a lei l'avrebbe presa a pugni. Di scatto si alzò dal letto e corse verso la porta, con l'intenzione di affrontare la sorella che si trovava nella sua stanza. A questo punto però, capì che finalmente aveva l'occasione che stava aspettando: quasi immediatamente si calmò. Un senso di pace e tranquillità si impossessò di lei: non pensava più ai pantaloni strappati. La fantasia della sorella sottoposta nuovamente ad una sessione di solletico, questa volta con l'intenzione di punirla in modo crudele e sadico senza lasciare spazio a nessuna forma di gioco o pietà, la face subito rilassare. Dopo poco, Federica decise di organizzarsi: chiamo nuovamente la sua amica Michela e le spiegò le sue intenzioni. Voleva essere aiutata in questa impresa, poichè, immaginava che, se Francesca avesse accennato una qualche reazione, bisognava immediatamente immobilizzarla. Si decise di agire alle 11 di quella stessa sera. Federica sapeva che lei e sua sorella sarebbero state sole a casa e che la sorella, a quell'ora, era solita addormentarsi nel suo letto guardando la televisione. Arrivato l'orario Federica e Michela, che nel frattempo era arrivata in casa senza farsi sentire, aprirono dolcemente la porta della stanza di Francesca. La ragazza, come ci si aspettava, stava dormendo sul letto. La televisione era accesa ed ad un volume elevato in modo che, Federica pensò, potevano agire sapendo che i loro movimenti sarebbero stati coperti dall'audio. Francesca stava dormendo sul letto a pancia sotto: sul suo viso una espressione beata e rilassata, di chi non si aspetta che l'inferno possa capitare così, senza preavviso. Indossava un pigiama di cotone leggero ed un paio di calzini di cotone bianco corti, di quelli elasticizzati. Tra la gamba del pigiama e i calzini si intravedeva la pelle chiara, quasi pallida, esposta, del suo polpaccio. I piedi penzolavano dal letto, mentre entrambe le mani erano all'altezza della testa nella più beata delle posizioni. Federica e Michela decisero di agire. Quel pomeriggio Michela era passata da una ferramenta e aveva acquistato per conto di Federica diversi metri di una corta tra le più robuste di cui il negozio disponeva. Molto delicatamente, ricavarono 4 corde dalla corda originaria e legarono un capo di ciascuna corda ai piedi ed alle mani di Francesca, che al momento, nel sonno più profondo, non si accorse di niente. Fatto ciò legarono gli altri capi di ciascuna corda ai quattro angoli del letto, delicatamente, senza tirare la corda stessa in modo che Francesca continuasse a dormire. I nodi sul letto vennero fatti in maniera che gli stessi fossero scorsoi: Federica infatti, nel suo piano sadico con vittima la sorella, aveva immaginato di praticare i nodi ai polsi e alle caviglie della poverina, come avevano fatto, di svegliare Francesca e solo dopo, in maniera immediata, di aggiustare ed assicurare i nodi stessi in modo che immobilizzassero completamente la povera vittima. Dopo pochi secondi, Federica decise che il momento della vendetta era arrivato: andò ai piedi del letto, si inginocchio in modo che la sua faccia fosse a 30 centimetri dalla pianta addormentata del piede destro di Francesca e guardò quello che aveva davanti. Vedeva la pianta del piede della sua sorellina, coperta da un delicatissimo calzino bianco elasticizzato, che sicuramente avrebbe trasmesso tutte le sensazioni del solletico alla povera vittima, come se fosse stata scalza. Federica allora, prese a solleticare il piede della sorella con il suo dito indice, in maniera estremamente delicata. "ghiri ghiri ghiri ghiri", prese a dire molto sottovoce: voleva che la sorella si svegliasse per il solletico alla pianta del piede e non per la sua voce. Incominciò dalla parte centrale della pianta, con movimenti circolari. Dopo pochi secondi, notò che Francesca accennò una reazione lievissima, più uno spasmo del piede, ma rimase ancora pericolosamente addormentata. Federica non stava più nella pelle: le piaceva assoporare questo momento lentamente, era eccitata al pensiero di ciò che stavano per fare alla sua sorellina e l'idea che lei fosse così beatamente addormentata ed ignara dell'inevitabile, la sconvolgeva. Riprese a solleticare il calzino bianco con il suo dito: "tichi tichi tichi tichi tichi tichi". Questa volta prese a fare movimenti più irregolari, molto lentamente, che coinvolgevano tutte la pianta, dita comprese. Federica sapeva che il punto debole di Francesca erano le dita dei piedi, ma voleva riservarsi il piacere di tormentarle successivamente, con calma. "ghiri ghiri ghiri ghiri ghiri" continuò. Dopo alcuni secondi, Francesca ebbe uno spasmo strano nel sonno, violento, che fu limitato dalle corde che le due ragazze avevano legato. Federica si fermò un istante. Pensò che non era ancora il momento di svegliare Francesca. Aspettò qualche secondo e poi riprese, però questa volta dal piede sinistro. "tichi tichi tichi tichi tichi" affondando le dita solo un pò di più, sicuramente aumentando l'effetto del solletico: infatti Francesca incominciò a muoversì sempre più nervosamente e a farfugliare qualche frase nel sonno "noooo basta tiii pregooo", molto dolcemente. Evidentemente stava sognando che qualcuno le stesse facendo il solletico ai piedi ma per sua sfortuna non sapeva che il suo incubo sarebbe divenuto realtà da lì a pochi istanti. Federica continuò. Ad un certo punto Francesca ebbe uno scatto violento come di una persona sottoposta ad uno spavento terribile. Il suo movimento violento fu limitato dalle corde. A questo punto Federica scattò in piedi e chiedendo la collaborazione di Michela, che fino a quell'istante aveva assistito alla scena compiaciuta, efficentemente si fiondarono sul letto, sulla povera Francesca, in modo da poter tirare i nodi scorsoi e assicurare la poverina al letto. Francesca non si rese conto assolutamente di niente. Quando Federica ebbe finito con le corde, Francesca, ancora mezza addormentata, pensava che quello che stava vivendo fosse un sogno, semplicemente. "Federica, sei tu? ma cosa vuoi? Michela? che cazzo ci fate nella mia stanza?" "Prima di tutto modera il tono" aggiunse Federica. "Se ti sento dire un'altra parolaccia ti faccio pentire di essere venuta al mondo, chiaro?" Francesca, disorientata chiese: "Cosa intendi? Perchè mi avete legato? Ti rendi conto che mi hai fatto spaventare nel sonno? Quando mi avrai liberato..." "Cosa?" chiese Federica con tono durissimo? "Cosa farai?" aggiunse. "Forse non ti rendi conto della situazione... Sono sicura comunque che capisci cosa sto per farti... Vogliamo fare con te di nuovo quel gioco della tortura col solletico, anzi, mi correggo, non sarà affatto un gioco." "Tiii preego, sei pazza..." disse Francesca quasi in lacrime "siete pazze... non potete farmi di nuovo quello che mi avete fatto quella volta. Non è giusto, ho mantenuto la mia promessa, non ho detto niente alla mamma" Federica replicò: "Lo so che non hai detto niente, questo significa che il solletico ha funzionato. Questa volta però c'è un motivo più importante per cui ti trovi in questa situazione. I miei pantaloni neri, quelli che ti avevo detto di non toccare." "Li ho presi solo sabato, li ho rimessi subito nel tuo cassetto" "Lo so, ma ti avevo detto di non prenderli, perchè servono a me. E poi, come se non bastasse, me li hai strappati. Non hai idea di cosa ti avrei fatto quando ho scoperto lo strappo." "Scusami, ti prego, slegami, non lì toccherò più, non toccherò più niente di tuo." "Non è così semplice Francesca. Ci ho pensato e ritengo che sia il caso che tu abbia una lezione, una che ti basti per sempre." "Che vuoi dire? sleeeeeegami basssstaa MAMMA AIUTO MMAAMMMMAA" Inaspettabilmente Francesca prese a gridare con tutto il fiato che aveva in corpo. Questo Federica non se lo aspettava. Subito si fiondò sulla sorella per tapparle la bocca. "Sbrigati Michela sfilale un calzino e passamelo" "Subito!" disse Michela. Intando Francesca si dimenava disperatamente sul letto, cercando con tutte le forze di liberarsi, ma, semplicemente, le corde erano troppo resistenti e ben legate. Federica in fondo, a differenza della sorella, non stava facendo molto sforzo; le teneva semplicemente una mano sulla bocca, mentre le corde e la posizione scomodissima (per Francesca) a pancia sotto facevano il resto. Federica infilò il calzino nella bocca di Francesca e completò l'opera con un poco di nastro adesivo che le applicò sulla bocca. Francesca era in uno stato di completa vulnerabilità. Era stremata per i tentativi vani di liberarsi, non poteva chiedere aiuto a nessuno poichè i suoi lamenti potevano essere a malapena sentiti all'interno della stessa stanza. Era in effetti un giocattolo, un piccolo giocattolino indifeso il cui unico scopo era soddisfare le fantasie sadiche ed il desiderio di rivalsa della sorella maggiore. Federica con fare compiaciuto si avvicinò all'orecchio di Francesca; e sussurrò: "Stai per pagarmele tutte, Fra." Francesca riprese a dimenarsi e Federica si accorse che aveva cominciato a piangere. "Rilassati Francesca, non mi impietosisci. Stai sprecando tantissime energie cercando di liberarti, ma ti ho legato troppo bene. Ascolta un consiglio di una sorella maggiore: risparmia le forze, che ti serviranno!" "mmmmammmmmmmmaaaa aiiuttttooo" si sentiva, anzi meglio si intuiva dire Francesca da sotto il bavaglio. "Mamma non c'è qui, non tornerà prima di 3 ore. Stai tranquilla, in questo tempo troveremo qualcosa da fare... eheheh" Federica e Michela presero a ridere di Francesca, che nel frattempo aveva rinunciato a lottare, anche per l'eccessiva stanchezza. "Finalmente ti sei calmata, eh? Ti consiglio di godertela, come faremo noi, poichè non c'è nulla che tu possa fare al riguardo, se non soffrire fino a diventare pazza, si intende!" Ormai Francesca non accennava più una reazione. Sapeva che quando Federica si metteva in testa qualcosa non si poteva smuoverla. Allora decise di sfidarla: avrebbe sopportato il solletico, quasi stoicamente, cercando di reagire il meno possibile. "Hai smesso di piangere finalmente. Ecco le mie intenzioni: prima io e Michela ti faremo del solletico preliminare, cercheremo di capire tutti i tuoi punti deboli. Purtroppo per te sarà una operazione lunga. Poi, con molta calma, ti tortureremo col solletico in tutti i punti del tuo corpo che ti fanno più impazzire, con particolare interesse ai piedi, ovviamente! eheheh" A questo punto Francesca cominciò a muovere la bocca nel gesto di dire qualcosa: "mmmhhhh mmmmmmmh" "Michela, che dici, le togliamo il bavaglio? Sentiamo cosa vuole dirci. Ma bada Francesca: se gridi ti imbavagliamo di nuovo e giuro che ti tortureremo come nessun essere umano è stato torturato prima". Francesca annui debolmente. Tolto il calzino dalla bocca, ormai inzuppato di saliva e lacrime, Francesca disse con la voce ancora alterata dal pianto represso: "Nooonnn griiiderò, Federica. Adesso mi hai spaventata abbastanza, hai vinto. Ti prego, non farmi soffrire col solletico, non lo sopporto. Sono stremata ed è una tortura stare legati in questa posizione..." Federica non le diede neanche il tempo di completare la frase: "La tortura vera deve ancora cominciare." Anche Michela a queste parole rimase sconcertata: Francesca era veramente sconvolta ed in lacrime e la determinazione negli occhi di Federica la spaventò. "Michela!" disse Federica "cominciamo dai fianchi... Dobbiamo testare ogni singolo centimetro quadrato del suo corpo, per trovare TUTTI i suoi punti deboli." Federica e Michela si posizionarono a sinistra e a destra di Francesca e cominciarono a solleticarle dolcemente i fianchi. "ghiri ghiri ghiri": solleticavano con delicatezza prestando estrema attenzione alle reazioni di Francesca, al tono della sua voce, per capire se in quel punto lo soffriva di più o di meno. Francesca era decisa a non muoversi. Soffriva il solletico ai fianchi in maniera disperata. Cominciò a sudare visibilmente ma non si muoveva: non voleva darla vinta alla sorella maggiore. "Lì non lo soffro!" Aggiunse con un'aria di sfida che indispettì Federica. "Adesso vediamo." Federica si ricordo dell'ultima volta che avevano fatto il solletico alla sorella e di un punto sulla sua pancia che ricordava essere particolarmente sensibile: "Michela aiutami. Devi girarla leggermente e tenerla saldamente ferma, mentre io mi occupo del suo pancino..." A queste parole Francesca provò un brivido di paura, ma rimase immobile, decisa a sopportare qualunque cosa. Michela ubbidì e afferrò con tutte le sue forze la povera Francesca, immaginando forse che la poverina potesse ancora accennare una qualche reazione. Infatti la sua stanchezza e le corde rendevano del tutto superfluo questo provvedimento. "tichi tichi tichi tichi tichi tichi tichi tichi" Federica prese a dire, solleticando con abilità la pancia di Francesca. La poverina non stava più nella pelle; diventò paonazza ed ad un certo punto tradì completamente la sua intenzione di rimanere impassibile. Fu come il crollo di una diga, lo straripare di un fiume: "bbbaaaastttta ti prego aaaahhhaaaahh aahhahh, fermati non lo sopporto." Federica senza fermarsi: "eheh, abbiamo appena cominciato." "smeettilaaaaa bbbaaaastttaaaa non ce la faccio più" Francesca pensava davvero quello che diceva: era distrutta, stremata; cercava con le pochissime forze che le erano rimaste di liberarsi dai legacci, ma la cosa era semplicemente impossibile. "aaaaahh bbbaaaaasttta" continuò. Per tutta risposta, Federica ordinò: "Michela, puoi lasciarla adesso, posso tenerla io con facilità. Occupati delle sue ascelle. E se farai un buon lavoro, saprò come ricompensarti" Queste parole non fecero molto presa su Michela: in un primo momento cominciò a preoccuparsi per Francesca. La sua sofferenza era estrema; rideva disperatamente ed era chiaro che aveva smesso addirittura di lottare con i legacci, sia per mancanza di forze, sia per il solletico che la indeboliva ulteriormente sia per una drammatica consapevolezza che in quelle condizioni poteva solo subire. D'altro canto però, Michela si ricordò che Francesca non le era mai stata simpatica e nonostante tutto era felice di dare una mano a Federica in questa impresa. Purtroppo per Francesca fu la fine: il fatto di essere solleticata senza pietà contemporaneamente da due persone unito al fatto che la sorella aveva intenzione di non concederle alcuna pausa o amnistia, la distrusse psicologicamente. I fianchi cominciarono a farle male dal troppo ridere. Era passata quasi un'ora dall'inizio della tortura: "viiii pregoooo smeetteetela non ce la faccio più... sto male..." "Non sono ancora soddisfatta." disse Federica compiaciutamente "Allora mi sembra che avevi detto che il solletico non lo soffrivi eh? Michela: direi che è il caso di passare ai piedi, che nè dici Francesca?" La poverina, legata ed indifesa, non aveva neanche la forza di rispondere e rimase immobile attendendo il suo destino. Federica e Michela si inginocchiarono ai piedi del letto e con due grosse piume cominciarono a solleticare i piedi di Francesca. Francesca ormai era fuori di sè: aveva riscoperto il solletico duro, insopportabile, una seconda volta quella sera; i suoi piedi infatti, non ancora interessati fino a quel momento dalle attenzioni delle due sadiche, risultavano essere sensibilissimi al solletico. "basta basta basta" ripeteva quasi ipnoticamente. "Sono sicuro che mia sorella" aggiunse sadicamente Federica "rimpiange di non avere un paio di calletti in più su queste piantine, a proteggerla da me". I solletico ai piedi fu devastante. A volte le due sadiche si concentravano su un unico piede utilizzando le due piume contemporaneamente, una sulle dita, l'altra sull'arco. A volte interrompevano ed una solleticava con una piuma e l'altra con le unghiette delle mani, accarezzando e titillando; facendo impazzire la povera vittima. Verso la fine, avevano preso addirittura ad immobilizzare i piedi di Francesca con una mano e a solleticarli con l'altra. Una pratica del tutto inutile considerando che la poverina aveva a malapena le energie per respirare; figuriamoci per sottrarre un piede al solletico. Francesca era distrutta, quasi incapace di muoversi, il cuscino intriso di lacrime e sudore. La sessione andò avanti per un'altra oretta. Alla fine Federica, stremata, concluse: "Che dici Michela, può bastare? L'abbiamo fatta soffrire abbastanza... Guarda: non ha più neanche la forza di implorare la nostra pietà" Francesca rimase in silenzio. Non sapeva cosa aspettarsi: era questo un altro gioco sadico di sua sorella? Avrebbe smesso per davvero oppure si era messa d'accordo con Michela per inscenare un finto armistizio, magari per riprendere dopo pochi secondi con un solletico ancora più duro? "Stai tranquilla, Francesca, è finita. Spero tu abbia imparato la lezione" Francesca rimase in silenzio e non rispose mentre le due ragazze la liberavano dalle corde e lasciavano la stanza. Nella mente sconvolta di Francesca, che rimase nella posizione della tortura incapace anche di girarsi, balenavano una miriade di pensieri, uno tra i tanti quello di vendicarsi della sorella, ripagandola della estrema sofferenza alla quale l'aveva sottoposta. Lo avrebbe fatto? Avrebbe ricambiato il favore a Federica, torturandola col solletico fino a farla impazzire ???
 
La Professoressa E Franceschina (DI VITOP)

La professoressa entrò in classe come tutte le mattine, alla stessa ora, con lo stesso passo. Si trattava di una bella donna di forse 38/40 anni che amava ostentare con i suoi alunni un atteggiamento austero, forte, a tratti autoritario. Ormai insegnava da quasi 12 anni Matematica e Biologia, in vari licei della Lombardia. Purtroppo quell'anno, per un errore del provveditorato era stata assegnata ad un liceo di Milano: essendo il suo posto di lavoro distante circa 150 chilometri dalla sua casa, era costretta ogni mattina a fare quasi 2 ore di macchina per raggiungere il suo liceo, ed i suoi studenti. Questo la costringeva ad alzarsi la mattina con largo anticipo, lavarsi e vestirsi ed affrontare lo stress del viaggio in macchina per le strade caotiche della metropoli. Queste levatacce la facevano soffrire fisicamente non poco: aveva già fatto più di una richiesta dall'inizio dell'anno per essere trasferita quanto prima in una scuola più vicina a casa sua, ma semplicemente era stata ignorata. Era sposata da 8 anni con un pilota di aerei di linea: un uomo calvo e tarchiato, brutto, che, indirettamente, risentiva dei disagi lavorativi della moglie. Infatti lo stress della Professoressa aveva avuto serie conseguenze sulla loro vita matrimoniale, se mai se ne poteva ancora ipotizzare una qualche esistenza. Infatti avevano smesso da mesi di fare l'amore e la stanchezza della moglie, la sua irritabilità conseguente rendevano il loro rapporto sempre più teso. A causa degli impegni imprevedibili di lui e gli orari impossibili di lei, avevano pochissimo tempo per vedersi, per divertirsi, per consumare la loro unione. Lei si chiedeva come suo marito potesse stare dei mesi senza possederla: riteneva che un uomo avesse delle esigenze "fisiche" irrinunciabili, alle quali non poteva fare a meno. Questi pensieri, sempre più ossessivi, l'avevano portata ad immaginare il marito a letto con un'altra donna, magari una giovane hostess, una delle tante con le quali lui aveva spessissimo a che fare a causa del suo lavoro. Era tormentata da questi dubbi, tanto che ad un certo punto cominciò a darne per scontata la fondatezza, senza neanche chiarirsi esplicitamente con il coniuge. Questa situazione la faceva chiudere in se stessa, in un universo di incomunicabilità che coinvolgeva anche la sua professione. A scuola infatti, aveva un rapporto freddissimo con i propri studenti. Mai una battuta in classe. Se qualcuno provava a ridere durante la sua lezione, lei, senza pensarci due volte, provvedeva a mettergli una nota disciplinare. Il clima che si creava durante le sue ore era insopportabile per gli studenti: questo li portava infatti ad essere spesso disattenti, a non seguirla durante i suoi ragionamenti e le sue spiegazioni alla lavagna, a, semplicemente, occuparsi di altro durante le sue lezioni, come copiare i compiti per l'ora successiva oppure vagare con la mente pensando a tutto tranne che alla matematica. La piccola Franceschina, una sua alunna del 4° liceo, di 17 anni, non faceva eccezione. Durante le sue spiegazioni vagava con la mente pensando ad altro: a quali scarpe si sarebbe comprata o a quel ragazzino del 5° che le piaceva tanto. Difatti la matematica proprio non le piaceva e il comportamento della sua Docente, freddo ed austero, non faceva altro che alimentare questo suo disinteresse. Tale situazione si manifestò presto nella forma di brutti voti e una potenziale rimandatura nella sua materia. Francesca, in ogni caso, era preoccupata della situazione ma, in fondo, non così tanto: se l'era sempre cavata a scuola e quell'anno, nonostante questa Professoressa, le cose sarebbero andate lisce ugualmente. Tra le due c'era un rapporto strettamente scolastico: la Professoressa la chiamava alla lavagna, per esempio, Francesca la raggiungeva, dava qualche risposta sbagliata e poi veniva rimandata a posto, senza un commento, niente, da parte della Docente. Questo teatrino si ripeteva spesso in classe, tanto che Francesca ed i suoi compagni sospettavano, che, in qualche maniera, la Professoressa nutrisse una qualche antipatia specifica nei confronti della piccola ragazzina. Infatti capitava quasi ogni giorno che Francesca venisse chiamata alla cattedra, vicino alla sua Insegnante. La Professoressa, in cuor suo, si era resa conto di questo accanimento verso Franceschina ma lo giustificava con se stessa pensando che alla ragazzina faceva bene essere messa sotto pressione, essere riportata alle sue responsabilità. In realtà, ogni volta che se la trovava vicina, accadeva qualcosa di molto strano, qualcosa che non riusciva a spiegare a se stessa. Mentre le faceva delle domande, mantenendo il suo proverbiale contegno austero, le capitava involontariamente di guardarle le scarpe, i piedi. Non riusciva a capire perchè, a volte, senza volerlo, si ritrovava a fissare le sue estremità; quelle sue scarpe da ginnastica dai colori estrosi, completate da quei suoi calzini corti di cotone che spesso indossava. Quando era un pò più disattenta, il suo guardo quasi incosciamente finiva lì, a contemplare quelle sue scarpette da ragazzina diciassettenne. La Professoressa, invece, non si concedeva niente: il suo abbigliamento era tremendamente formale, scarpe incluse. In fondo in fondo provava una specie di invidia ingiustificabile per Francesca: il suo essere sbarazzina, anche nel vestirsi, la affascinava; invidiava il suo essere innocente, la sua giovinezza, la sua serenità, la sua inconsapevolezza della vita; una igenuità che si può provare solo a 17 anni. A ben pensarci invece, la Professoressa, alla sua età, a 17 anni, mostrava già i segni ed i sintomi della persona che sarebbe diventata poi: al liceo, infatti, era totalmente immersa negli studi. Mentre le sue amichette si divertivano tra di loro e facevano le prime esperienze con i ragazzini, lei si rinchiudeva in uno studio matto e disperato della Matematica, una materia che la affascinava. Sognava da grande di diventare una matematica di successo, di insegnare all'università, di poter fare della ricerca importante. Oggi però, alla soglia dei 40 anni, rivalutando la sua vita e le sue scelte, si sentiva una fallita: il suo matrimonio, con l'unico uomo che aveva mai avuto e con cui aveva fatto l'amore, stava andando in pezzi. La sua situazione lavorativa era precaria: il provveditorato non esaudiva la semplice richiesta del trasferimento, che le avrebbe evitato le levatacce mattutine, ed i suoi studenti, semplicemente, non la calcolavano trascurando compiaciutamente la sua materia. Si sentiva a pezzi, sull'orlo del baratro. La sua infanzia, prima del liceo, non era stata diversa: il rapporto con suo padre e sua madre era stato freddo. L'unica persona con cui riusciva a comunicare un pò più pienamente era la sua sorella maggiore. Passavano molto tempo insieme. Uscivano insieme e cercavano di fare tutto insieme. La sera, a volte, provava un'ansia terribile; era impaurita da qualcosa di indefinito che non riusciva a comprendere. Allora, la sorella maggiore, la raggiungeva nel suo letto per abbracciarla, per starle vicina. Capitava spesso che si addormentavano così, abbracciate insieme, teneramente. Capitava a volte che si ritrovavano nel letto a parlare di tutto: di vestiti, ragazzini, anche dei suoi studi. Fu in questo contesto, che lei sperimentò il suo primo ed unico contatto con il solletico. Infatti in quello stesso letto, capitava spesso che le due sorelle si ritrovassero a giocare al solletichino. La Professoressa provava uno strano piacere ad assalire la sorellina, cercando di immobilizzarla per poi tormentarla con il solletico. Però, essendo la minore, capì ben presto l'importanza della forza fisica durante questi giochi: la sorella maggiore, infatti, molto spesso riusciva a divincolarsi con facilità e a sottomettere compiaciutamente l'altra. A questo punto, sfruttando la maggiore forza che aveva nelle braccia, riusciva ad immobilizzare la Professoressa per poterla solleticare a suo pieno piacimento: piedini, ascelle, pancino. La Professoressa accennava una reazione ma, in cuor suo, sapeva che si trattava di opposizioni puramente fittizie: amava essere immobilizzata, amava perdere il controllo e le forze per il troppo solletico, amava concedersi, platonicamente, in quella maniera stranissima, alla sorellina maggiore. Si trovava a volte, mentre la sorella maggiore dormiva insieme a lei nel suo letto, a fantasticare di prevaricarla, di essere lei la maggiore una volta tanto: si ritrovava ad alimentare fantasie che non riusciva a comprendere, ma che comunque le creavano piacere. Sognava di legare la sorella maggiore a quello stesso letto, di torturarla biecamente col solletico utilizzando una piuma sotto i suoi piedi, tirandoli indietro, tendendo la pianta immobilizzandola, di prendersi tutto il suo tempo, tutto il tempo del mondo per poterlo fare. E, cosa più importante, il fatto che lei era la più debole, la minore, non avrebbe più contato: poteva prendersi la soddisfazione di far soffrire la sorella col solletico, di farla soffrire bene, come lei fantasticava, senza che la poverina potesse in nessuna maniera difendersi. Queste fantasie si persero ben presto nella aridità e nella inettitudine della sua vita: non ebbe mai il coraggio di farsi avanti con la sorella con pretese del genere; d'altro canto non avrebbe mai potuto legarla e torturarla contro la sua volontà: per una fantasia, seppur ossessiva, rischiava di perdere l'amicizia e la stima dell'unica persona al mondo con la quale aveva mai avuto un contatto. Ben presto, dopo l'adolescenza, le sue fantasie di solletico forzato ai piedi svanirono, per lasciare spazio alla sua disperazione e insoddisfazione di adulta. Un giorno, uno qualsiasi, uno dei tanti, la Professoressa, come tutte le mattine, entrò in classe. Tutti gli studenti si alzarono, in un gesto di rispetto che era puramente formale, ma oramai del tutto automatico. Anche Franceschina si alzò in piedi. Nell'entrare in classe, la Professoressa, del tutto incosciamente, notò che Francesca indossava un paio di scarpe da ginnastica di colore rosa, con abbinati un paio di calzini di cotone bianco, corti. Un brivido di emozione si fece spazio dentro di lei: subito badò a contenersi; temeva disperatamente di arrossire, per esempio. Questo, soprattutto perchè non capiva la ragione di quelle emozioni così forti: cosa significavano? perchè adesso? Si sedette come al solito alla cattedra e cominciò la sua lezione. "Bene, oggi concluderemo il discorso sulle derivate. Non scordatevi che tra due settimane abbiamo il compito in classe ed in questo tempo dobbiamo fare più esercizi possibili. Come abbiamo detto la derivata prima rappresenta la pendenza della retta tangente al grafico..." A questo punto, la sua voce, venne interrotta da un rombo furioso, che echeggiò inequivocabilmente in tutta l'aula. Come sappiamo, in ogni classe c'è un tipo di personaggio che è inconfondibile: si tratta del buffone, di uno studente mediocre il cui scopo principale è quello di divertire i suoi compagni. Beh, nella classe di Franceschina, il buffone era un tale Vito. Vito, infatti, era stato sfidato da alcuni suoi compagni a compiere una impresa abbastanza singolare: doveva emettere un peto, che fosse il più rumoroso possibile, durante una lezione della Professoressa. E così fece, zelantemente. Ci fu un secondo di silenzio. La Professoressa si interruppe, imbarazzatissima. Alzò la testa dal libro che stava tenendo in mano e guardò in avanti, alla classe. Era diventata paonazza in viso. A questo punto, il silenzio venne interrotto da una risata fragorosa, generale. Tutti i suoi alunni stavano ridendo per Vito oppure, forse, per l'imbarazzo della Professoressa. La Professoressa, guardando avanti, vide Francesca: era piegata in due dalle risate. Franceschina era diventata rossa, rideva disperatamente, come tutti gli altri suoi compagni. La Professoressa, incontrollabilmente, scattò in piedi e lasciò l'aula, evidentemente in lacrime, per rifugiarsi nella sala professori lì vicino. Era disperata, questa era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. "Questi ingrati" pensò "sacrifico la mia abilità, il mio talento per cercare di insegnargli qualcosa ed ecco come mi ripagano". E così, piangendo su una poltrona della sala professori, da sola, si rese conto di odiare i suoi studenti, di odiarli sul serio, di odiare la sua vita fallimentare. Ripensò alla faccia della povera Franceschina, alle sue risate di scherno, alla piccola ragazzina che da lì a pochi giorni sarebbe divenuta lo strumento inconsapevole ed indifeso della sua sadica vendetta verso se stessa e verso il mondo. Ritornò in classe, dopo essersi asciugata le lacrime. "Ragazzi" disse alla classe costernata, "ho deciso che il compito verrà fatto domani, non tra due settimane." Gli studenti prontamente tentarono di organizzare una difesa ma prontamente la Professoressa lì ammonì "Una sola parola per cercare di farmi cambiare idea su questo e vi faccio sospendere tutti, parola mia!" Detto questo, aggiunse "la mia lezione finisce qui. Impiegate il resto della mia ora facendo esercizi, se vi và." Detto ciò, lasciò l'aula. Gli studenti rimasero di stucco e cominciarono a pensare ad una maniera per uscire vivi da quella situazione. Sicuramente non erano pronti per affrontare un compito in classe su un argomento che avevano appena finito di studiare, senza che nessuno li seguisse facendo fare loro degli esercizi, almeno per un'altra settimana. Il clima era pesante in classe. Ad un certo punto, Vito dichiarò: "Ragazzi, potremmo rubare la fotocopia del compito e prepararci le risposte!" Gli occhietti di Francesca si illuminarono, intravvedendo una soluzione. "La Professoressa tiene le fotocopie dei compiti nel suo cassetto dell'aula professori. Sò di per certo che viene lasciato aperto, durante le ore scolastiche. Qualcuno potrebbe..." Vito fu interrotto da un altro compagno: "Perchè non ci vai tu a prenderle, soprattutto considerando che tutta questa situazione è colpa tua?" Vito rispose: "Beh, non ne sono tanto sicuro. Se venissi visto, potrebbero espellermi... Non lo so ragazzi, magari non è una buona idea..." "Ci vado io!" Franceschina disse con un tono di voce sicuro. Amava che gli altri compagni la considerassero un tipo duro, coraggioso, una che non si tira indietro davanti a niente, proprio come i personaggi dei serial che aveva visto in TV e che ingenuamente ammirava e voleva imitare. La poverina però, quella piccola ragazzina diciassettenne, innocente, ancora inconsapevole del mondo e delle voglie spesso insane e sadiche che la gente adulta intorno a lei poteva provare, non sapeva che da lì a poco quel gesto le sarebbe costato carissimo. La sua presunta durezza sarebbe stata messa alla prova in una maniera, perversa se vogliamo, che lei non avrebbe mai potuto immaginare. "Aspetterò la fine dell'intervallo; poi andrò in sala professori." Venuto il momento, si diresse in sala professori. Capì subito quale era l'armadietto della Professoressa: molto velocemente si fiondò sullo sportello, lo aprì ed incominciò a cercare per le fotocopie del compito del giorno dopo. Con fretta giustificata, cominciò a sfogliare tutti i fogli e gli incartamenti che trovava, nella speranza di individuare il più presto possibile quello che stava cercando. Ci stava mettendo troppo tempo: il compito non saltava fuori e dalla porta poteva entrare chiunque. C'era una infinità di carte in quell'armadietto! Compiti di anni passati, registri, verbali, appunti ecc. ecc. Franceschina era in difficoltà: non poteva tornare dai suoi compagni a mani vuote; che figura ci avrebbe fatto? Ad un certo punto, il Destino!! Inesorabile ed ineluttabile come solo Lui sa essere: dalla porta entra la Professoressa, inconsapevole della scena che avrebbe trovato all'interno della stanza. "Francesca! Che stai facendo con i miei registri?" Francesca impallidì terribilmente, cominciò a sudare freddo come non le era mai capitato nella sua breve vita. Era paralizzata dalla paura. Mille pensieri si confusero in un secondo nella sua testa: cosa sarebbe accaduto se fosse stata espulsa? Cosa avrebbe detto alla sua mamma? Sarebbe stata marchiata a vita come la ragazzina espulsa perchè stava cercando di rubare le fotocopie dei compiti. "Allora, perchè non mi rispondi?" Francesca, con la voce evidentemente alterata dalla fortissima emozione: "Proooofesoressa, mi scusi. Non volevo..." "Cosa non volevi?" disse la Professoressa, avvicinandosi a passo sveltissimo a Francesca che, avendo la donna a pochi centimetri da lei, non osava guardarla negli occhi ed abbassò lo sguardo, diventando rossa paonazza. "Questa volta non te la farò passare liscia! Pagherai per te e per i tuoi compagni, per la tua e per la loro indisponenza!" Francesca cominciò a piangere come una bambina. La Professoressa aggiunse: "Sai che per una cosa del genere il preside non ci penserà due volte ad espellerti?" Francesca, singhiozzando, tra le lacrime, rispose: "La prego, Professoressa. Non lo dica al preside... La prego... la prego. Cosa dirò alla mamma?" "Dovevi pensarci prima. Stasera ho l'ora di ricevimento alla 7, raggiungimi qui, in sala professori, che ti comunicherò che cosa ho deciso. Ora torna dai tuoi compagni, vai." Francesca ritornò in classe, non prima di essersi asciugata le lacrime ed aver preparato una storia credibile per giustificare il suo insuccesso. Arrivate le 7 di sera, Franceschina, che non era mai stata così puntuale in vita sua, entrò in sala professori, una seconda volta quel giorno ma con intenzioni e con un animo ben diversi. "Buona sera Professoressa" "Siediti." fu la risposta fredda che ricevette. "Ci ho pensato, e credo che non lo dirò al preside." Francesca con entusiamo: "Grazie, grazie, non so come ringraziarla..." "Frena il tuo entusiasmo." rispose "Se vuoi che dimentichi questa storia, dovrai farmi un favore, un piacere..." Francesca ribattè con sicurezza: "Qualunque cosa, mi dica." A questo punto la Professoressa era disorientata. Sentiva un imbarazzo terribile che le saliva dallo stomaco fino ad arrivare alla testa, trasformandosi in un rossore che, sperava con tutte le forze, Francesca non avrebbe avvertito. "Beh." provò a dire, fermandosi per riprendere fiato. Le mancavano le forze per poter continuare. Francesca si sorprese di vedere la sua Insegnante in difficoltà. La Professoressa per darsi forza ripensò alle scarpe da ginnastica rosa ed ai calzini bianchi che quella stessa mattina aveva ammirato sotto al banco di Franceschina e, una volta tanto nella sua vita, decise di essere sincera con se stessa: "Voglio farti il solletico, Francesca. Beh, voglio farti il solletico ai piedi con una piuma." Francesca rimase allibita, assolutamente immobile in una espressione del viso che tradiva il suo imbarazzo e il suo totale disorientamento. Cominciò a pensare che forse le sue orecchie l'avevano ingannata. "Che cosa mi sta chiedendo?" pensò. "E' pazza". Nella sua testolina di diciassettenne non poteva immaginare che esistesse al mondo un feticismo del solletico ai piedi e soprattutto che una persona di quel tipo, una Professoressa, una donna matura, una adulta, potesse rivolgerle una richiesta del genere. "Se accetti la mia proposta, dovrò legarti da qualche parte per potertelo fare, per esempio al lettino della infermeria della scuola. Non preoccuparti non voglio farti del male." In cuor suo, la Professoressa aveva, quasi inconsciamente, immaginato tutta la scena: la piccolina legata al lettino a pancia sotto, l'emozione incontenibile di sfilarle prima le scarpe da ginnastica rosa e poi i calzini bianchi e la delizia immensa di farla soffrire col solletico. Non voleva assolutamente farle del male: nonostante quello che era accaduto, il tentato furto, il peto, lo scarso rendimento, in fondo non le voleva male. Immaginava che coinvolgendola, lei così innocente ed inconsapevole, in giochi così perversi ed insoliti, di torturarla oltre la pietà con il solletico forzato alle piante dei piedi, potesse ripagarla dei "torti" che immaginava Francesca ed i suoi compagni, la scuola, il mondo magari le avessero fatto. Fino a quel momento aveva represso disperatamente le sue tendenze sadiche ed adesso, alla soglia dei 40 anni, riteneva che il mondo, che così tanto l'aveva delusa, le dovesse qualcosa. La povera Franceschina è stata una vittima del caso, si giustificò con se stessa la Professoressa, con una punta di perfido compiacimento. "Devo cogliere questa occasione" pensò la Professoressa. "Andiamo in infermeria" disse a Franceschina, che fino a quel momento non aveva aperto bocca. Francesca la seguì, quasi in trance, ancora scioccata per aver udito una richiesta così assurda. Non osava dire niente. Decise quasi inevitabilmente di sottoporsi al probabile supplizio che la Professoressa le avrebbe riservato poichè non poteva fare altrimenti. "Meglio questo che l'espulsione", pensò. E' opinione del Narratore che forse, a conti fatti, si sbagliava. Arrivati in infermeria, Francesca disse con tono incerto e preoccupato, non sapendo che risposta aspettarsi: "Cosa vuole che faccia?" La Professoressa avvertì un fremito di piacere a quelle quattro parole; ciononostante cercava di mantenere il suo proverbiale contegno formale: non voleva che Francesca si accorgeva che, se lei non l'avesse vista, sarebbe anche svenuta dell'emozione e dal piacere incontenibili. "Mi devo togliere scarpe e calzini?" aggiunse. "No assolutamente!" la Professoressa rispose. Infatti non voleva privarsi del piacere incommensurabile di sfilare lei le scarpe ed i calzini alla poverina, quando ormai era legata ed assicurata al lettino, in una posizione di assoluta vulnerabilità. "No. Togliti la maglietta e lasciati i pantaloni e le scarpe. Mettiti sul lettino a pancia sotto, con i piedi rivolti verso di me." Francesca ubbidì. La Professoressa, velocemente, assicurò con delle cordicelle la poverina al lettino della infermeria. I piedi di Francesca penzolavano ai due lati del lettino, divisi, vulnerabili, mentre le sue braccia erano distese sopra la testa, con i polsi assicurati ai due angoli superiori del letto. La Professoressa si diresse ai piedi del lettino, prese una sedia e si sedette a pochi centimetri dalla scarpe rosa di Francesca. Le guardò estasiata. Era la prima volta che le vedeva così da vicino: non vedeva l'ora di togliergliele ma aspettava, sadicamente e masochisticamente, il fatidico momento. Francesca, sul lettino, in quella posizione di assoluta vulnerabilità, col solo reggiseno a coprirle la parte superiore del corpo, non poteva essere più imbarazzata. La presenza della sua Insegnante così vicino a lei, il fatto che non sapeva minimamente che cosa quella insospettabile viziosa avesse in serbo per lei, quali torture, quali fantasie e quali voglie represse voleva scaricare su di lei, la metteva in un disagio che non poteva essere più intenso. Oltre le poche parole che aveva detto chiedendo cosa doveva fare non aveva più aperto bocca. Aspettava il suo martirio. Non poteva fare altrimenti. La Professoressa sfilò la prima scarpa, quella destra, emozionatissima. Quello che ebbe davanti agli occhi fu uno spettacolo che solo in pochi potevano apprezzare sul serio: osservava questo calzino di cotone bianco, corto, indifeso, che lasciava intravvedere, prima della gamba dei jeans, delle zone di pelle bianchissima, deliziosa, del suo polpaccio. La cordicella che assicurava la caviglia al lettino le dava una impagabile sensazione di vulnerabilità: avrebbe potuto fare a quel piedino tutto ciò che decenni di vergogna le avevano impedito di concretizzare. Era in estasi, paralizzata, eccitata SUL SERIO, la prima volta nella sua vita. Stava concretizzando una fantasia che, inconsciamente, la tormentava e torturava da 40 anni. Sentì il sangue salirle alla testa. Prima di dire qualcosa, riguardò il calzino, il piede e la povera vittima che aveva di fronte e fu colta da uno strano senso di tenerezza. Provava quasi pietà per questa piccola creatura indifesa che stava per torturare così crudelmente. Ebbe un impulso fortissimo di chinarsi e baciare la pianta del piede di Franceschina, coperta dal calzino bianco. Avrebbe voluto dare un bacio tenero, platonico, come si fa con una bambina cattiva che si è punita e fatta piangere e per la quale si prova uno sconfinato senso di tenerezza. Disse: "Ti ricordi quando ridevi in classe questa mattina per quel deficiente di Vito?" Francesca non rispose. Continuò a rimanere in silenzio, in attesa. "Non rispondi, ho capito." poi riprese "Vediamo cosa mi dici adesso..." Allungò il dito indice della mano destra e cominciò a grattare con l'unghia lunga e curata il calzino, nella parte centrale. "ghiri ghiri ghiri ghiri" Francesca sobbalzo disperatamente sul lettino. Non si aspettava una sensazione così insopportabile provenire dai suoi piedi. "ghiri ghiri ghiri Allora, perchè non ridi adesso?" La poverina era disperata. Il suo impulso primario era quello di ridere disperatamente, per scaricare l'effetto devastante del solletico fatto in quella maniera. Cominciò a sudare e a fare scatti nervosi sul lettino, inarcando il piede per far diminuire quella sensazione insopportabile. Però rimanendo in silenzio. "Ghiri ghiri ghiri... Vedo che sai resisterlo bene il solletico ai piedi." Francesca aveva troppa vergogna per ridere, era paralizzata ed ammutolita dalla vergogna. La Professoressa, continuando: "ghiri ghiri ghiri, vedo che questo piedino lo muovi un pò troppo." Detto questo, prese le dita dei piedi della poverina e le tirò verso dietro, tendendo deliziosamente il piede ed il calzino. Cominciò a grattare e solleticare tutta la pianta adesso: tallone, arco, sotto le dita. Franceschina non stava più nella pelle, era disperata. Ruppe il silenzio: "La prego, basta. ahahah" Si lasciò sfuggire, cercando in quel martirio di non ridere: "ahahah, la supplico. Che piacere prova a farmi soffrire così. Mi lasci andare. ahahahahaha Basta!" Detto questo la Professoressa si fermò e con tono deciso la ammonì: "Va bene Francesca, ma sai a cosa vai incontro se rompi il nostro patto..." Francesca non rispose. "Immagino che tu abbia capito. Vediamo adesso cosa c'è sotto questo calzino." disse la sadica, sfilandole il calzino bianco. I piedi di Franceschina erano stupendi, avrebbero fatto la felicità di qualunque sadico solleticatore su questa terra, pensò la Professoressa. Le piante dei piedi erano lisce, prive di calli o imperfezioni. "Adesso ti farò qualcosa che temo non ti piacerà, Francesca. Ma sappi che è qualcosa alla quale desideravo sottoporti dal primo istante che ti ho vista, all'inizio dell'anno." La Professoressa, prese dalla sua borsa altre 2 cordicelle, più corte delle precedenti. Dopo aver tolto anche l'altra scarpa ed il calzino, legò entrambi gli alluci a degli agganci che spuntavano dal lettino, in modo che entrambe le piante fossero tese. Il piede era rivolto verso il basso, data la posizione a pancia sotto della poverina. Sulle piante non era presente la minima grinzetta o alterazione: la Professoressa aveva fatto un lavoro ineccepibile nel legare e tendere quelle piantine indifese. Estrasse dalla borsa una grossa piuma dalla punta larghissima, dicendo: "Adesso tu ed i tuoi compagni me la pagate, razza di sfaticati. Non hai idea di quante energie sprechi nell'insegnarvi le derivate, gli integrali e tutto ciò che dovevi ma non hai studiato, tu come i tuoi amici. A casa perdo delle ore a correggere i vostri compiti disastrosi. Per colpa della scuola non ho più un rapporto con mio marito." e poi aggiunse con un pizzico di perfidia "Mi dispiace che ci vada tu di mezzo, piccolina." detto questo prese a dire, solleticando le dita del piede di Franceschina, quanto mai indifese: "Facciamo un esperimento scientifico. Mi sono sempre chiesta quanto una ragazzina come te, con dei piedi così lisci e vergini, possa sopportare." e continuò, agitando la piuma con sadica lentezza: "tichi tichi tichi tichi" "aaaaah ahahahah aaaaah Dio mio! Basta!" Francesca rispose, sconvolta. Non si aspettava che il solletico, fatto così, alle dita indifese dei piedi potesse essere così devastante. "ahahahahaha La smetta subito, la supplico." "So che non parli sul serio, Francesca." disse la sadica, non fermandosi un attimo anzi prendendo una seconda piuma per solleticare anche le dita dell'altro piede contemporaneamente. "aaaaaaaaaaaah ahahah noooooooo!" Francesca, a causa del solletico fatto in questa maniera perfida, era perduta in un mondo tutto suo di sofferenza e risate. Cercava disperatamente di ritrarre i piedi. Tutte le sue energie erano concentrate in questa semplice quanto impossibile impresa: divincolarsi era impensabile, la piccolina lo sapeva, ma cionondimeno continuava ad agitarsi e dimenarsi con disperazione sul lettino. "ahahahahahahhhh la prego, basta sulle ditaaaa la prego. faroooo qualunque cosa mi chieda, la smetta" "Ti accontento, Francesca. Adesso prenderò a solleticarti ANCHE il resto della pianta con queste piume" E così fece. Le piante nude dei piedi, non ancora interessate dal solletico duro e sadico come le dita, erano sensibilissime. Per Franceschina fu come morire. "laaaa supplico, ha vintoooo lei, mi liberi. Preferisco affrontare il preside, tutto, l'espulsione, qualunque cosa... ahahahahahahahah" "Piccola mia, so che non parli sul serio. E' la tortura a farti dire cose che non pensi. Il nostro esperimento deve continuare ricordi. Quando mi sarò resa conto che hai superato il limite, solo allora smetterò, FORSE. Adesso cerca di resistere, per amore della scienza, Francesca!" e così dicendo continuò: "ghiri ghiri ghiri ghiri" "ahahahaah noooo ahahahhahha noooo" La piccola aveva capito che ormai il suo solo compito era quello soffrire, di soffrire per il solo piacere della sua sadica aguzzina, per deliziarla con le sue risa ed i suoi lamenti, in cambio della salvezza scolastica. Quindi smise di supplicarla di smettere, e, praticamente esausta, accettò il suo ruolo di piccolo giocattolo nelle mani di un boia perverso. "Ora proviamo con le unghie sotto i piedi. Proverò a farti il solletico a diverse velocità ed in diverse zone. Nell'interesse del nostro esperimento, dimmi quando proprio ti senti morire, quando la combinazione di zona solleticata e modo di solletico è semplicemente insopportabile." "ahahahahhahhah no bastaa ahahahah lì no, lì no, non lo sopporto, non sotto le dita, no" A queste parole la Professoressa sorrise compiaciuta e, per tutta risposta, intensificò il solletico proprio in quella zona. "Lei è una sadica ahahahahah non ce la faccio più a ridere ahahahah mi dia un attimo di pausa ahahahahah" La Professoressa, che evidentemente non amava essere chiamata sadica, con una punta di rivalsa, prese a solleticare quella stessa zona con due mani contemporaneamente: "Chiamami sadica un'altra volta" le disse "e ti faccio il solletico fino a domani mattina, quando arriva il preside. Poi ti faccio rivestire e ti porto in presidenza e ti faccio espellere." Nel dire queste parole la Professoressa avvertì due sensazioni contrastati dentro di lei: un piacere estremo che si manifestava con una strana fitta allo stomaco, realizzando il potere che ormai aveva sul povero cricciolo inerme, e un pizzico di colpa perchè aveva inteso la perfedia ed il sadismo delle sue pretese. "ahahahahahahah nono come vuole ahahahah" rispose Francesca. Passarono due ore così, due ore di inferno per Francesca, due ore di paradiso per la Professoressa che, per assicurarsi che la sua piccola vittima soffrisse quanto più possibile, di tanto in tanto abbandonava i piedi per concentrarsi per qualche tempo sui fianchi e sulle ascelle ma poi, inevitabilmente, tornava lì, dove proprio Francesca il solletico non lo sopportava, alle piante ed alle dita dei piedi! La piccolina era stremata, ormai aveva a mala pena la forza per ridere. Aveva smesso da tempo di supplicare e chiedere pietà alla sua torturatrice. Il suo potere, il suo bieco ricatto non lasciavano spazio ad alcuna trattativa. I suoi fianchi erano doloranti per il troppo ridere. Il viso era imperlato di sudore e rigato dalle lacrime. Era veramente sull'orlo della pazzia: a volte, tra le risate, la sua vista si annebbiava e sentiva che stava quasi per svenire. In certi momenti, quelli di più acuta sofferenza, quasi se lo augurava, magari così la sua aguzzina si sarebbe spaventata per la sua incolumità ed avrebbe smesso quel terribile martirio. "ahahahahah no ahahahaha non lo sopporto più non lo sopporto più non lo sopporto più" "Ti credo questa volta, Francesca. Credo che quel limite che ci eravamo dette l'abbiamo toccato e forse anche superato. Ho deciso che per oggi può bastare..." Francesca, che il solletico aveva completamente devastato psicologicamente, ci mise qualche secondo ad intendere il significato di quelle parole: "Cooosa intende?" disse con la voce alterata dalla spossatezza "che significa per oggi?" "Per oggi significa che mi aspetto che tu mi conceda il tuo corpo ed i tuoi piedini una volta a settimana, per un'ora, fino alla fine dell'anno, in modo che io possa giocarci come ho fatto oggi. Se rifiuti, sai cosa di aspetta." "Ma Professoressa, non è giusto..." rispose Francesca con aria innocente. "Va bene Francesca, ti dò una terza possibilità: sono le 9 di sera. Se accetti di subire una tortura del solletico per tutta questa notte fino a domani mattina, smetterò di farti simili richieste." Francesca, che era ancora legata al lettino, pensando a quest'ultima possibilità sbiancò visibilmente: non si sentiva le forze per reggere un solo altro minuto di quella terribile tortura, e la sua aguzzina lo sapeva. "Ok, ho capito, ricomincio..." disse la Professoressa. Francesca, prontamente, ritornò in sè e disse: "Va bene, va bene. Accetto qualunque sua condizione." La Professoressa aggiunse: "di volta in volta ti dirò io come venire vestita. La prossima volta dovrai indossare dei collant neri con scarpe da sera, quelle col tacco." Franceschina annuì, mentre la Professoressa la liberava dal lettino della tortura.
 
L'incontro - Parte Prima

Il treno era un po’ in ritardo, qualche minuto solamente, ma sufficiente per creare quell’atmosfera di irresistibile ansia che precede solitamente gli appuntamenti al buio. Scesi dal treno accaldata e rossa in viso più per l’emozione che per la calura estiva. Era un bellissimo venerdì sera, il sole non era ancora del tutto tramontato e le cose avevano preso una luce strana e nello stesso tempo dolce.

Nella discesa dal vagone la mia maglietta corta lasciò per un attimo intravedere l’ombelico, un soffio di vento mosse i miei capelli dandomi finalmente un senso di fresco benessere: il viaggio era stato lungo, ma il turbinio di emozioni che mi scuoteva mi aveva già fatto dimenticare la fatica ed il tempo passato in quello scompartimento.

Gettandomi lo zaino sulle spalle camminai verso l’uscita scrutando tutte le persone che sono sul marciapiede e che apparentemente erano in attesa di qualcuno…forse di me.

Una ragazza mi venne incontro, mi sorrise e timidamente, quasi per paura di sbagliare, mi porse la mano. Il sorriso si fece più sicuro, anch’io le sorrisi “Stefania?”. La mia mano un po’ tremante strinse quella di Debora e poi quella più grande e sicura di Romano. Poche frasi, perlopiù di circostanza “come è andato il viaggio?”, “sei stanca?”, “è da tanto che aspettate?”…In effetti nessuno dei tre sapeva bene cosa dire, forse tutti e tre ci sentivamo strani nel vedere persone che fino a quel momento avevamo solo immaginato, che avevamo conosciuto in una forma virtuale, inconsistente.

Involontariamente il mio sguardo cadde sui piedi di Debora. Lei portava dei sandali aperti che lasciavano intravedere le dita morbide e senza smalto alle unghie. Ma forse lei se ne era accorta…

Arrossii e la guardai con un’aria di scusa ed un bel sorriso di lei mi tolse da quel momentaneo imbarazzo.

Non so cosa stesse in quel momento pensando invece Romano…Mi guardò molto teneramente e sentii tornare quel senso di lieve imbarazzo…In effetti non so quali accordi lui avesse preso con sua moglie a proposito di me, non mi fu ancora chiaro se vi fosse fra di loro un patto di “non-gelosia” qualora i nostri giochino di solletico avessero preso ad un certo punto una connotazione più erotica.

Pensai di piacere ad entrambi, ma forse un po’ più a lui.

Romano fu molto gentile con me e mentre stavamo bevendo qualcosa al bar di fronte alla stazione, pensai che stesse cercando di indovinare le mie areole attraverso la maglietta o forse le mie piante dei piedi, così imprigionati da scarpe da tennis e calzettine di cotone bianche.

Tutti e tre però volevamo forse dare l’impressione di non voler pensare a ciò che in verità tutti e tre stavamo pensando…ma fu inutile, è nella nostra natura e non possiamo farci nulla. Una breve corsa in auto per le vie della città e in una manciata di minuti fummo a casa loro.

Era una bella casa, ampia e con un’atmosfera accogliente. La vista delle montagne dalla grande vetrata della sala principale dava un senso di pace e di armonia con la natura. La città con i suoi rumori sembrava lontana, la gente con i suoi pregiudizi ed i suoi falsi moralismi era lontana.

Debora fu molto dolce, mi liberò con delicatezza del peso dello zaino con i gesti di una mamma che spoglia il suo bimbo prima del bagnetto.

“Se vuoi prendere una doccia accomodati pure, è là in fondo a destra. Troverai tutto quello che ti serve e soprattutto chiamami se hai bisogno..”. Ebbi la netta sensazione che pronunciando quelle ultime parole Debora sorridesse.

Quell’invito finale mi rese un po’ nervosa anche se capii presto che Debora aveva pronunciato quelle parole con estrema naturalezza e che quella proposta non voleva dire altro che disponibilità e desiderio di mettermi a mio agio.

Sorrisi tra me e me mentre nella sala da bagno mi sbottonavo i jeans. Ero contenta di liberarmi finalmente di quegli indumenti che avevo indosso da troppe ore e che il viaggio e il calore avevano reso ormai insopportabili.

Tolsi scarpe e calze, mi sedetti sul bordo della vasca e feci roteare piano le dita dei piedi provando un sollievo indicibile. Li guardai e sorrisi di nuovo: “Poveri piccoli” pensai “povere piccole ditine…cosa dovrete passare…!” ed ebbi quasi l’assurda impressione che anche loro mi sorridessero.

La doccia mi fece letteralmente rinascere e molta della tensione che fino a quel momento mi aveva attanagliato la gola se ne era andata giù per lo scarico.

Fuori era già quasi buio, solo un lieve alone arancione scuro si stava spegnendo dietro il profilo delle montagne.

Mi passai l’asciugamano tra i capelli bagnati, mentre con gli occhi scrutavo nella sala da bagno cercando un asciugacapelli. Non trovandolo cominciai, cercando di non fare troppo rumore, a scostare le antine del mobiletto, ad aprire il cassetto, a vedere se per caso era appeso a qualche parete…ma niente asciugacapelli all’orizzonte.

Mi sistemai la cintura dell’accappatoio bianco che Debora mi aveva prestato, cercando anche di coprirmi un po’ il decolté (pensando a Romano) e sempre passandomi l’asciugamano sui capelli uscii dal bagno cercando Romano o Debora per il mio problema di asciugacapelli.

Nessuno nel corridoio…nel soggiorno solo i sandali e la borsetta che Debora aveva lasciato entrando e gli occhiali da sole di Romano abbandonati sul tavolino di vetro. Tornai nel corridoio, chiamandoli a bassa voce, senza risposta.

“Ma dove sono spariti quei due…?” mi domandai provando un po’ di timore. Dopo tutto non li conoscevo, non li avevo mai incontrati prima di quel momento…Cosa stavano facendo?

Non era ancora paura quello che avvertivo salirmi dentro, ma piuttosto una lieve inquietudine che sentivo aumentare ad ogni passo incerto che facevo lungo il corridoio.

Il pavimento era fresco sotto i miei piedi nudi.

“Romano…?” tentai ancora…nessuna risposta.

Ad un tratto una specie di mugolio attirò la mia attenzione dietro di me, all’altra estremità del corridoio.

Girandomi, incuriosita, notai una luce soffusa che usciva attraverso la porta socchiusa della stanza che, se avevo capito bene la disposizione di quella grande casa, doveva essere la loro camera da letto.

Mi dissi, scuotendo la testa, che non era possibile che stessero già facendo l’amore, in ogni caso non così presto e non con me in casa…ma dopotutto perché no?

Ci eravamo scambiati segreti, confidenze e indiscrezioni sufficienti per capire che alcuni tabù erano ormai stati abbattuti tra di noi. Ma fino a quel momento avevamo parlato soprattutto di solletico.

Non mi sentivo affatto pronta ad una sessione di sesso a tre ed in fin dei conti non ero lì per questo!

Con tutti questi pensieri feci capolino nella stanza, pronta almeno a trovarmi di fronte Romano e Debora, sul letto, l’una nelle braccia dell’altro, in atteggiamenti erotici.



Ma non fu così.



Romano era in piedi, appoggiato al muro, di fronte all’ingresso della camera e mi guardò con aria soddisfatta, sorridendo per la mia evidente espressione di stupore.

Debora giaceva nuda sul letto, adagiata sulla schiena, con i polsi e le caviglie ben legati alle due estremità del letto, un fazzoletto ben stretto le chiudeva la bocca.

Voltò la testa verso di me e chiudendo lentamente gli occhi in quello che interpretai essere un sorriso.

Si contorceva sinuosamente forzando sui legacci, troppo ben fatti per permetterle il benché minimo movimento. Anch’io riuscii a sorridere, scaricando finalmente nell’aria la paura accumulata nel corridoio. Appoggiai le spalle allo stipite della porta, incrociando le braccia come qualcuno che si appresta ad ammirare un quadro.

L’asciugamano mi cadde dalle mani…guardai Romano negli occhi, uno sguardo intenso, uno sguardo silenzioso che voleva dire: “o.k., fammi vedere…”.

Romano girò la testa indicandomi con gli occhi una sedia a dondolo in vimini, nell’angolo della camera, davanti al letto “Accomodati pure, lo spettacolo sta per cominciare”. Ubbidì. Nel sedermi allentai un poco la cintura dell’accappatoio, accavallai le gambe e appoggiai le mani sui braccioli della sedia che oscillò dolcemente all’indietro.

Da quella comoda posizione potevo vedere tra le gambe di Debora e la cosa mi mise lì per lì in imbarazzo. Vedevo il profilo dei suoi seni e le punte dei suoi capezzoli che spiccavano in controluce. Il ventre si alzava e si abbassava aritmicamente: Debora ansimava, si capiva che il suo cuore batteva forte…Era bella da vedere, aveva un bel corpo, la pelle dei seni ed intorno all’ombelico era dolce e tenera come quella di una bimba, si notava che le gambe e le ascelle non avevano mai avuto bisogno del rasoio, lisce ed intatte.

Era giovane, più di quanto potesse dimostrare nella vita di tutti i giorni. Le piante dei suoi piedi, piccole e bianche, erano proprio davanti a me, a qualche decina di centimetri da me ed ebbi un violento impulso di avvicinarmi per toccarle e per passarvi la lingua sotto.

Le dita dei piedi si contorcevano, allungandosi e contraendosi in un tentativo di estrema difesa.

Tutto il suo corpo era un fascio di nervi, tutta la sua pelle era elettrica e fremente.

Romano si mosse, prese lentamente una delle piume che stavano sul comodino di fianco al letto e che non avevo notato prima.

Si sedette di fianco a Debora che ricominciò a mugolare dietro al fazzoletto, quasi volesse dire “Oh no!, Noo…!”.

Si muoveva lenta come un serpente in una gabbia di vetro. Romano mi guardò, mostrandomi la piuma bianca “Ora ti mostro cosa le faccio di solito quando fa la cattiva…dimmi se ti piace”.

A quelle parole un brivido mi percorse la pancia e si spense tra le gambe diventando piacere.

I mugolii di Debora si fecero ad un tratto più intensi e acuti, Romano aveva cominciato a toccarle il ventre con la punta della piuma, eseguendo movimenti circolari intorno all’ombelico. Vedevo il pancino di Debora che si ritraeva in un vano tentativo di evitare quella diabolica piuma che le solleticava l’ombelico e sentivo la sua voce soffocata interrompersi in brevi, incontenibili risatine.

Il corpo di Debora si inarcò su un lato quando la piuma di Romano le sfiorò il fianco, percorrendolo verso l’alto fino ad arrivare all’ascella.

Lì si fermò a titillare la pelle delicata, in movimenti più brevi e rapidi. Il seno di Debora si increspò di un’intensa pelle d’oca, il capezzolo sembrava esplodere a causa di quel brivido.

Per un paio di minuti ancora la piuma danzò sotto le braccia indifese di Debora le cui guance erano diventate rosse e la risata sempre più incontenibile.

Romano aveva ragione, quel gioco mi piaceva, e molto anche!

Ma a Debora piaceva?…
 
L'Incontro - Parte Seconda, Terza, Quarta E Quinta

I piedi di Debora si agitavano e si contorcevano in mille modi ed io ero sempre più tentata di toccarli, di solleticarne le piante. Le dita si aprivano e si richiudevano come animaletti prigionieri di una forza misteriosa, gli alluci si inarcavano all'indietro per poi ripiegarsi su se stessi a riccio, nervosi, stupendi... non ne potevo più...

Abbandonate le ultime forze Debora rideva ormai di una risata piena e profonda, il fazzoletto ne attutiva la brillantezza del suono, ma non l'effetto. La piuma non si era ancora fermata, aveva solamente lasciato la zona dell'ascella per fare qualche circolino sulle areole, sfiorando i capezzoli e rendendo la risata di Debora più dolce e sensuale.

Romano si accorse finalmente dell'interesse che dimostravo verso quello che stava facendo a sua moglie; in effetti, lo stavo guardando come un bimbo ne guarda un altro mangiare un dolce al cioccolato. Si fermò, con grande sollievo di Debora che emise un lungo e profondo sospiro, quasi come in un orgasmo. Prese l'altra piuma che stava sul comodino e me la porse: «Saresti così gentile di aiutarmi? Sai, Debora oggi è stata molto cattiva...». Debora gemette in segno di protesta e di disperazione. Indugiai un po', qualche secondo, prima di allungare una mano e prendere la piuma. Nel movimento l'accappatoio mi si aprì involontariamente sul davanti, consentendo a Romano di vedere, seppur furtivamente la punta rosa di uno dei miei seni, ma questa volta non feci molto per impedirglielo... ero troppo ipnotizzata dai piedini di Debora.

Presi la piuma tra due dita, la guardai stregata: era una bella piuma bianca, perfetta, con la punta rigida ed acuminata. Mi inginocchiai vicino al letto là dove i piedini indifesi di Debora ne oltrepassavano il bordo. Debora ricominciò a gemere, più forte di prima, forse di paura. «Sai» disse Romano «Ogni volta che provo a farle il solletico sotto i piedi le sue reazioni sono talmente forti che qualche volta ho paura che non regga... E' in assoluto la parte più sensibile del suo corpo...».

«Ah si...?» mi limitai a rispondergli seppur in modo malizioso «ma forse con me è diverso... proviamo?» Debora gridava ormai pietà da dietro il suo fazzoletto, i suoi occhi erano letteralmente sgranati e fissi su di me e sulla piuma bianca. Fortunatamente il letto era solido ed i lacci che imprigionavano le caviglie di Debora erano stati ben fatti, cosicché quando appoggiai la punta della piuma al centro della tenera pianta del piedino di Debora lo strattone che diede fu frenato da quella solida struttura. Un po' sorpresa da quella reazione ritirai di scatto la piuma dal piede di Debora: non avevo mai visto nessuno con i piedi così sensibili! Incuriosita ricominciai l'operazione, stavolta non troppo intenzionata a fermarmi. Dopo un primo grido soffocato Debora cominciò a ridere in modo folle, il suo volto divenne tutto rosso e gli occhi si strinsero in un'espressione di insopportabile sofferenza. Per nulla intimidita cominciai a far scorrere la punta della piuma su e giù sulla pianta, lentamente... Mi soffermai un po' al centro per poi risalire verso le dita, che non la smettevano di aprirsi e chiudersi. Intanto Romano aveva ricominciato a lavorare sul pancino di Debora che aveva ormai preso a tremare, coperto di pelle d'oca. E ogni volta che la punta della piuma di Romano si infilava nell'ombelico la schiena di Debora si inarcava, mettendo a dura prova la robustezza dei legacci. Debora stava impazzendo dal ridere e scuoteva il capo a destra e sinistra.

La mia piuma percorreva senza tregua la pianta rosea e dolcissima di quel piedino e ad ogni passaggio era per me un'ondata di piacere che si diffondeva nel mio basso ventre. Quando tentai di insinuare la piuma tra le ditine, là dove la pelle è ancora vergine e sensibilissima, esse si richiusero di scatto trattenendo la piuma e strappandomela dalle mani. «Ah, è così dunque!!!» Esclamai ridendo e guardando Romano «Non sapevo che Debora fosse così indisciplinata! Le ci vorrebbe una lezioncina, non credi?» Romano rise e disse di si. Debora respirava forte, cercando di ritrovare il fiato perso durante quella tortura, ma non gliene diedi il tempo. Abbandonando la piuma fra le ditine disperate di quel piedino mi sfregai le mani e feci roteare nell'aria le dita delle mie due mani, come se stessi solleticando il nulla. Quando Debora vide quel gesto fu incredibile: sgranò gli occhi terrorizzata chiedendo pietà con ampi gesti della testa. Il suono che usciva dalla sua bocca bendata era un «NOOOOO!!!» disperato.

Romano mi guardò dubbioso ed eccitato allo stesso tempo, ma stavolta non disse nulla...

Le mie dita danzanti scesero fino ad incontrare le tenere piante dei piedi di Debora e anche quando le unghie, non troppo lunghe, non troppo aguzze, ma sapientemente curate, sfiorarono quella dolce e sensibile pelle, fu bellissimo. Debora si contorceva come in preda a chissà quale febbre africana, la sua testa si piegò all'indietro ed i capelli le imbrigliarono il volto, lievemente umido di sudore. Le prime lacrime imperlarono le sue guance e caddero rotolando sul collo e quindi sulle lenzuola. Rideva ormai come impazzita e gli intervalli tra un singhiozzo e l'altro erano ormai ridotti al minimo indispensabile per respirare. I suoi piedi erano tenerissimi tanto che non avrei mai smesso di gustarmi le sensazioni che mi provocavano i polpastrelli sulle sue piante e sotto le sue piccole dita.

Romano era comunque un po' perplesso, si leggeva nei suoi occhi un sottofondo di timore, una lieve paura di causare a sua moglie qualcosa di irreparabile. Ma era anche eccitatissimo, lo si vedeva dall'inequivocabile prominenza che, incontenibile, gli ornava il basso ventre. Gli sorrisi, senza smettere di solleticare i piedi di Debora, e questo gli diede un po' di coraggio. Si inginocchiò per terra ed appoggiò i gomiti sul letto, accanto al fianco di sua moglie. Si chinò e con mia piacevole sorpresa cominciò a leccarle dolcemente il capezzolo sinistro. Anch'io decisi di addolcire la pressione e la velocità del mio solletico sotto uno dei suoi piedi e sulle dita dell'altro anch'io cominciai a passare la punta della mia lingua. Debora continuava a ridere, ma interponeva lunghi sospiri tra una risata e l'altra. Le lacrime continuavano a scendere copiose dai suoi occhi, ma i suoi movimenti si erano come calmati. Si contorceva sempre, ma molto più sinuosamente, come una gatta che fa le fusa. Vedevo la lingua di Romano che accarezzava delicatamente la punta dei seni, mentre la mia passava in rassegna tutte quelle cinque deliziose ditine che guizzavano allegre! Mi soffermai a succhiare il ditino più piccolo, senza smettere di accarezzare la pianta dell'altro piede. Debora rideva ancora, ma aveva cominciato a godere allo stesso tempo. La bocca di Romano si chiuse sul capezzolo nascondendolo completamente e cominciò a succhiare avido. Quando rividi il capezzolo era incredibilmente eretto, rosso e tremante di piacere e ad ogni tocco di lingua il corpo di Debora era come se ricevesse una scossa elettrica. Con la mano sinistra ancora armata della piuma che qualche minuto prima aveva danzato sui fianchi e sull'ombelico di Debora, Romano cominciò a sfiorare sua moglie fra le gambe, proprio là dove si aprivano, proprio là dove mi scappava spesso di guardare...

Vidi le ginocchia di Debora che tentarono un inutile difesa chiudendosi, ma i legacci che le assicuravano le caviglie al letto furono largamente sufficienti per impedirle di unire le cosce e di evitare la piuma.

Debora gemeva come una gatta in calore e si contorceva dolcissima. La combinazione del suo piede solleticato con le unghie, dell'altro piede leccato, del suo seno succhiato e della sua cosina accarezzata da una piuma, tutto questo la stava facendo letteralmente impazzire. Con la mano libera Romano sciolse il nodo del bavaglio che chiudeva la bocca di Debora. Il bavaglio si accasciò sul cuscino, di fianco alla testa di Debora. Debora sospirò profondamente, ridacchiava tra gli spasmi di un piacere insostenibile. Riuscì a dire solamente: «n-nooohh... b-bastaaaahhhh-ah-ah-ahhhhhh......vi prehhhhgoooohh-oh-oh...». Ma fu come se non avesse detto nulla... non avevamo nessuna voglia di fermarci... anzi. Debora ci stava offrendo uno spettacolo di incredibile eccitazione ed in più avevo la sua cosina in primo piano da cui vedevo scendere le gocce del suo piacere. Anch'io, ne ero certa, ero bagnata, mentre su Romano, beh... non c'erano dubbi. Debora cominciò ad ansimare un po' più forte. Romano staccò la bocca dal suo seno e mi disse: «Sta venendo... La conosco, sta per venire...». «Ah si...?!» gli dissi un po' imbarazzata «Ma questo io non posso permetterlo... mi sembra giusto che goda, ma solo con te... cosa faccio, mi ritiro?» e lui «Ok, sono d'accordo, ma posso aspettare ancora un po’ e anche Debora... non e' vero amore?»

«B-bah-ah-ah-ahhhstaaaahhhhh... Vi preeeeehhhhhgoooohhhahahha..... n-non smetteeeeh hteeeaaaah-ah-ahhh...» Debora era in estasi completa. Dissi a Romano: «Ok, io resto ancora un po', ma non voglio che Debora abbia un orgasmo, anche se penso che sia troppo tardi...» e Romano con un ghigno malizioso: «Ma noi possiamo fare in modo che NON sia troppo tardi...». Ci capimmo in pieno. Le mie unghie ricominciarono a frullare sotto i piedi di Debora mentre Romano, a due mani, aveva cominciato a grattarle teneramente ma inesorabilmente le ascelle. L'esplosione di Debora fu impressionante. Ora che non aveva più il bavaglio alla bocca le sue urla disperate si potevano udire in tutto il loro splendido suono. Aveva una bella risata, peccato averla nascosta fino ad ora con un bavaglio... Cominciai ad eccitarmi eccessivamente, ma non volevo toccarmi così davanti a tutti, la prima volta che mi vedevano. Resistetti ancora una ventina di minuti, interminabili, soprattutto per Debora. Ad un certo punto li lasciai, Romano aveva lasciato le ascelle per pizzicare i capezzoli di Debora e questo lo interpretai come una «fine del primo tempo». Diedi un ultimo bacio alle piante dei piedi di Debora e mi alzai. In silenzio lasciai la stanza con Romano che sempre strizzando i capezzoli di Debora la baciava sulla bocca. Debora mugolava eccitatissima e sconvolta dal solletico precedente.



Sotto la doccia mi toccai, anch'io non ne potevo più. Buona notte, pensai, ci vediamo domani

TERZA

L'INCONTRO - PARTE TERZA



Aprii lentamente gli occhi, il sole filtrava impetuoso tra le fessure delle imposte che proteggevano la finestra della stanza. I raggi cadevano sul divano-letto che era stato il mio giaciglio per quella notte. Avevo dormito benissimo, come una bimba dopo una giornata di giochi.

Stirai tutti i muscoli del mio corpo allungando le braccia verso il cielo rotolando lentamente su un fianco e fu allora che vidi Debora. Era seduta in fondo al letto con le gambe accavallate ed una mano appoggiata sulle coperte, non lontano da dove i miei piedi giacevano, nascosti dalle coperte.

Debora indossava una lunga T-shirt bianca che le arrivava alle ginocchia e null'altro, sorrideva dolcissima guardandomi rotolare nel letto. Ebbi subito l'istinto di alzarmi e, facendo leva con le mani mi misi seduta con la schiena adagiata sul cuscino. Debora levò una mano "No, ti prego... resta pure a letto, non volevo farti alzare¯. Le sorrisi anch'io ed involontariamente feci per chiudermi la casacca del pigiama sul davanti, dove i laccetti si erano allentati e lasciavano intravedere molto del mio, seppur non troppo generoso, decolté. Debora emise un risolino "Ma insomma, dopo quello che c'è stato fra di noi hai ancora soggezione di me...?". Come in una rivelazione ripensai alla sera precedente.

"E' vero... Ti è piaciuto ieri sera?" le chiesi. Debora si mise le mani sul petto e guardò il soffitto, come in una preghiera "Mio Dio, Stefy!! C'è stato un momento che ero certa di morire! Non riuscivo a capire cosa stava succedendo, come quando sei ubriaca, sai...? E non mi era mai capitata una cosa del genere, neppure quando Romano era in forma. Ebbene sì, mi è piaciuto molto! Mi avete fatto venire due volte." Abbassai gli occhi confusa, anche se lei non lo fece.

Mi guardava serena come se avesse appena fatto un bebè.

"Sei brava sai? Hai delle mani fantastiche, magiche direi... e..." Sentivo che stava per dirmi qualcosa in più "...e i tuoi piedini sono ugualmente... magici?" A queste parole tirò lentamente, ma con decisione le coperte del mio letto che erano ripiegate sotto il materasso, là in fondo dove arrivavano le mie gambe. Ebbi l'istinto di ritrarre le gambe, ma uno sguardo di Debora accompagnato da un gesto del capo come per dire "no..." mi bloccò e mi rimisi nella posizione precedente, con le gambe distese. Avvertii la fresca carezza dell'aria del mattino sui miei piedi nudi una volta che Debora ebbe tirato le coperte togliendole da sotto il materasso e le ebbe ripiegate sul letto.

Stette un attimo a guardare i miei piedi rosei e rilassati dopo una notte di riposo. Le morbide piante non avevano ancora subito l'oltraggio del pavimento o delle calzature e si presentavano lisce ed intatte come quelle di una bimba. Debora li ammirò meravigliata "Sono bellissimi, sai? Piccoli e bellissimi... e la forma dell'arco e delle dita è perfetta..."

"Grazie Debora..." riuscii a dire lusingata e contemporaneamente feci frullare dolcemente le ditine inarcando i piedi e strofinandoli leggermente l'uno contro l'altro.

"Mi viene voglia di toccarli, di baciarli... posso?" Un brivido mi percorse la schiena ed un leggero rossore mi invase le guance. "N-non so... cioè voglio dire, si... ma..."

"Non preoccuparti, lasciami fare ti prego..." disse lasciandosi scivolare fino a sedersi per terra, là dove ora la sua bocca era vicinissima ai miei piedi nudi. "Sai, non l'ho mai fatto prima... ma i tuoi piedini sono talmente belli e piccoli che da quando li ho visti ieri sera non penso ad altro che baciarli..." ed appoggiò delicatamente le labbra sulla punta del mio alluce, un bacio lieve e sensuale che non mancò comunque di provocarmi un brivido lungo le gambe. Al secondo tocco delle sue labbra, più deciso ed intenso, il mio piede ebbe un breve scatto nervoso e la gamba mi si ripiegò all'indietro, per poi rilassarsi subito dopo ed offrirsi nuovamente alle labbra di Debora.

Debora mi guardò dal fondo del letto sorridendomi maliziosamente e riprese a baciarmi le altre dita con la stessa leggera decisione. Quasi impercettibilmente lasciò scivolare la punta della lingua attraverso le labbra con la quale indugiò brevemente sotto le dita dei piedi, dolce come l'ala di una farfalla. La sua lingua era calda, ma il brivido che mi causò fu ugualmente intenso e violento. Anch'io non avevo mai provato ad avere i miei piedi leccati e baciati e trovai la cosa piuttosto imbarazzante anche se estremamente sensuale. All'ennesimo passaggio della lingua sotto il mio piede lo scatto istintivo di ritrazione fu più evidente, tanto che finii con l'appoggiare completamente la pianta sul letto. Questa volta non ridistesi la gamba. Notai il suo sguardo, appena velato da un'espressione di delusione e sentii subito il bisogno di giustificarmi "Scusa... Ma... Beh, te lo avevo detto che soffro troppo il solletico... non erano frottole quello che vi scrivevo nelle e-mail..." Il sorriso di Debora si fece allora ancora più radioso "D'accordo... cercherò di fare più piano... ma tu cerca di resistere almeno un po', ok?"

"Ok... ma..." La mano di Debora mi afferrò la caviglia e tirò verso di sé il mio piede, ma anche quando fu vicino alla sua bocca la mano di Debora non lasciò la presa. Affondai le unghie nelle lenzuola preparandomi a resistere ad un'altra stimolazione del mio piede e strinsi un po' i denti.

La lingua di Debora questa volta si fece più decisa e andò senza indugi a leccare quella zona sensibilissima che sta sotto le dita dei piedi, all'attaccatura con la pianta. Dopo due o tre colpetti di lingua il mio corpo mi impose di liberarmi dalla presa alla caviglia, ma senza successo: Debora teneva il mio piede prigioniero con sufficiente energia da non permettermi di sottrarlo alle sue attenzioni. Avvertii le punte dei miei seni spingere sotto la maglia del pigiama e strinsi con più forza le mani attorno a quel lembo del lenzuolo, sempre cercando inevitabilmente ti resistere alla dolce lingua di Debora. "N-no... ti prego... hi-hi... b-basta..." Il mio piedino aveva cominciato a torcersi sinuosamente e le dita ad aprirsi e chiudersi nervose.

"P-per favore... hi-hi... piano... n-no..." Debora mi guardò senza alzare la testa "Non ti piace quello che ti sto facendo, Stefy? A quanto vedo da quello che spunta dalle tue tettine direi di si..." disse Debora con una voce sensualissima; la sua bocca aveva smesso di baciare e leccare le mie dita anche se la sua mano restava saldamente attaccata alla mia caviglia. Mi tirai le lenzuola fino a coprire quei due imbarazzanti cosini che si ergevano sui miei seni e che il pigiama da solo non riusciva a nascondere. "Si... certo, mi piace, mi piace molto anche, ma... cioè... non riesco a resistere... mi fa troppo solletico..." Lo sguardo di Debora si fece da gatta "E... se provassimo su di te la terapia alla quale mi avete sottoposta ieri sera...? Sarebbe una soluzione, no?"

I miei occhi si sgranarono, mi richiusi a riccio tirando le ginocchia verso il mio petto, liberandomi dalla presa di Debora ed incollando le piante dei miei piedi sul materasso. "Mi avete fatto impazzire ieri sera, ti giuro, ma non ho mai goduto tanto in vita mia... E' vero, si soffre, si vorrebbe urlare, piangere, morire... ma tutto ha un prezzo ed il solletico è il prezzo da pagare per raggiungere il limite"

Ero sufficientemente sconvolta da quella proposta anche senza quell'ultima frase. Un brivido di paura mi percorse la schiena, ma di quel tipo di paura mista ad eccitazione che si prova quando ci si tuffa in una piscina da un trampolino alto. Fu un attimo, mi ricomposi "Debora, ho sognato mille volte questo momento, ma ho anche pensato spesso a come mi sarei comportata, se sarei riuscita a vincere le mie paure... ed ora eccomi qui, dopo avere tanto parlato e scritto, di fronte ai fatti e sempre con gli stessi dubbi... Debora, non voglio deludervi, francamente ma non so se me la sento... ho paura..."

Debora rivolse lo sguardo per terra e fece il gesto di raccogliere qualcosa dal pavimento in parquet "E... se ti dessi una mano...?" Quando vidi le cordicelle bianche che Debora teneva in mano mi sentii definitivamente perduta. Avrei voluto scappare, uscire dal letto, rivestirmi, salutare tutti ed andare a prendere il treno, fra mille scuse... Ma qualcosa mi inchiodò a quel letto. Non riuscivo più a parlare.

Il mio silenzio venne interpretato da Debora come una resa e, scelta una delle cordicelle cominciò lentamente ad arrotolarmela ad una caviglia. La stessa forza che non mi aveva permesso di reagire pochi secondi prima mi impedì ancora di sottrarre il piede dalle mani di Debora. Con un tono di voce tremolante le dissi "Senti... non avresti qualcosa di forte... un whiskino...? Ora ne avrei proprio bisogno..." Debora mi fece l'occhiolino e continuò a legarmi la caviglia, assicurando l'altro capo della corda alla sbarra metallica in fondo al letto. Ripeté l'operazione anche per l'altra caviglia. Le cordicelle erano morbide, non mi avrebbero lasciato un segno molto duraturo.

Guardai i miei piedini così legati e quell'immagine mi eccitò: capii in quel momento che arrendermi così forse ne sarebbe valsa la pena. Ma a quale prezzo?

Quelche minuto dopo, sotto lo sguardo divertito di Debora, stavo sorseggiando una doppia dose di un liquore a 40 gradi da un bicchierino di cristallo, penso fosse del buon brandy. L'ultimo sorso fu volutamente abbondante e lo buttai giù con un sospiro. Non ci volle molto perché l'effetto dell'alcool mi salisse fino alla testa e mi desse quella sensazione di tranquilla euforia che conoscevo bene. Infatti già altre volte avevo ricorso a quell'espediente, avevo imparato che, ogni qualvolta dovessi prendere un aereo o avessi un appuntamento importante, quel tipo di doping mi dava la spinta sufficiente per affrontare i miei momenti critici. E quello, giuro, ne era uno.

Mi sentivo comunque leggera e credo che presi a muovere i miei piedi legati, volutamente per eccitare Debora e notai dall'accelerazione del suo respiro che quei dolci gesti stavano già facendo effetto su di lei.

Mentre Debora, presa le altre due cordicelle, si era alzata e stava camminando verso di me, chiusi gli occhi e mi lasciai cadere all'indietro alzando mollemente le braccia in segno di completa sottomissione ed aspettai. Sentii sui polsi il freddo metallo dell'altra sbarra che stava dietro la mia testa ed una leggera pelle d'oca mi si diffuse lungo le braccia. Debora si sedette al mio fianco e continuò con la stessa delicatezza la sua operazione di legatura, prima un polso, poi l'altro. Dopo pochi minuti ero perfettamente assicurata a quel letto che sarebbe stato (per quanto tempo?) il luogo della mia tortura. Il soffitto della stanza ondeggiava leggermente dandomi un senso di apparente abbandono, di caduta libera senza paracadute... Trovai bella quella sensazione.

Ma in uno sprazzo di lucidità un leggero senso di agitazione mi attraversò il corpo "D-Debora, senti... forse ho cambiato idea..." Debora si avvicinò alla mia fronte, le diede un bacino e mi sussurrò all'orecchio "Troppo tardi piccola, ora sei mia".

"N-no... senti... non so se ce la faccio... voglio dire... non come te ieri sera... è troppo per me..." Un sorriso le illuminò il volto "Troppo? Si, forse è stato troppo anche per me... ma come vedi ora sono qui e sono felice di quello che mi avete fatto tu e Romano ieri sera... Ora voglio fare arrivare anche te a toccare il limite, voglio che anche tu sappia cosa vuol dire soffrire e godere più di quanto tu non abbia mai fatto nella tua vita, voglio vederti piangere e ridere, voglio vedere il tuo corpo supplicarmi di smettere e continuare allo stesso tempo... Voglio farti scoppiare il cuore di gioia e disperazione, voglio farti riscoprire i tuoi piedi, il tuo ombelico ed i tuoi capezzoli, voglio aprirti le porte del sesso che nessuno ha mai provato".

"Dio..." pensai "Cosa le abbiamo fatto?! E' finita... è completamente impazzita..." Con il pollice e l'indice prese uno dei laccetti che si intrecciavano sul mio petto e mi aprì la casacca del pigiama scoprendomi i seni che nel frattempo si erano coperti di un dolce brivido. Si chinò e mi baciò la punta del capezzolo strozzandomi il respiro. Diedi un primo strattone alle corde che mi legavano al letto e mi resi conto che mai e poi mai sarei riuscita a liberarmi. Ad un tratto un gemito di piacere uscì dalla mia gola. Debora, dopo avermi accarezzato la pelle del ventre aveva portato la sua mano sul mio seno destro ed aveva appoggiato il polpastrello sul capezzolo iniziando a giocarci un po', canticchiando sottovoce una specie di filastrocca per bambini "Ti-ti-tichiti-ti-ti...". La mia schiena si inarcò ed il gemito uscì di nuovo "N-no... t-ti prego..." Il dito di Debora continuava a titillare la punta del mio seno e lei continuava a canticchiare quella specie di filastrocca. Smise solamente quando la sua bocca si posò sul mio seno sinistro. Anche l'altro capezzolo dovette quindi subire il dolce supplizio della lingua.

Il dito e la lingua di Debora mi accarezzavano dolcemente i miei sensibilissimi capezzoli ed io cominciai ad eccitarmi. Devo precisare che miei seni, i miei capezzoli in particolare, sono sempre stati un punto critico del mio corpo; secondo quello che sono finora riuscita a capire o sapere delle altre ragazze penso proprio che la loro sensibilità sia molto al di sopra della media.

Infatti mi succede che nei momenti più intimi della mia fantasia, nella maggior parte dei casi mi basta sfiorarli leggermente per pochi secondi per prorompere in un intenso orgasmo, così, senza toccare altro.

In quel momento Debora stava provocandomi scosse di piacere di un'intensità molto forte ed ad un tratto sentii di essere veramente vicina a venire. Probabilmente Debora se ne accorse tant'è vero che interruppe le sue stimolazioni solo qualche istante prima che questo succedesse. Guardò la leggera espressione di sofferta delusione che passò nei miei occhi e mi disse "Eh, no cara... non ancora... Ho tante cosine da farti ed ho appena cominciato..."

Scostò definitivamente le coperte che intanto mi erano scivolate all'altezza del bacino per scoprire che avevo l'abitudine di dormire senza le mutandine. La casacca del pigiama era sufficientemente aperta per lasciare libero accesso ai miei seni, al mio ventre ed alla mia bionda cosina, già piuttosto bagnata. Compresi che il gioco di Debora, desiderosa di darsi e di darmi un piacere folle, era ormai cominciato e che in quel momento sarei stata per diversi, infiniti minuti completamente alla sua mercé. Da quel momento Debora avrebbe potuto fare qualsiasi cosa col mio corpo ed io non avrei potuto fare nulla per sottrarmi alle sue dolci sevizie.

Chiusi gli occhi e mi preparai ad affrontare le torture che di lì a poco Debora mi avrebbe inflitto ed a sopportare quelle irresistibili sensazioni che lei stessa aveva sopportato la sera prima, ma che io non conoscevo ancora.

QUARTA

L'INCONTRO - PARTE QUARTA



Le corde che mi assicuravano alla testiera del letto erano forti, ma non troppo strette e non facevano male. La fresca aria del mattino mi percorreva la pelle nuda come la carezza di un fantasma buono ed i miei capezzoli, già sufficientemente stimolati dalla lingua e dai polpastrelli di Debora, rispondevano con una rosea erezione a quell'ennesima carezza.

Ad occhi chiusi mi immaginai, come se stessi osservandomi dall'alto; vedevo una ragazzina bionda ed indifesa con le ascelle ed i fianchi esposti, così come il seno, il pancino, il sesso e le sensibili piante dei piedi e pensai che anch'io, con un corpicino come quello a mia completa disposizione, avrei avuto mille fantasie da sfogare.

E poi vidi i miei piedi, piccoli e rosei, con le caviglie legate e le piante ben esposte a chissà quali perversioni. Mi parve persino di avvertire una sensazione alle dita dei piedi, come se una leggerissima piuma avesse già cominciato a giocare con loro.

Non mi sbagliavo di molto: quella calda sensazione che sentivo era in effetti il respiro di Debora che aveva avvicinato le labbra alle dita dei miei piedi. La lingua accarezzò lievemente la parte sottostante delle ditine e provocò un brivido che mi fece inarcare all'indietro il piede. E rieccola quella dolce, intensa sensazione che avevo conosciuto per la prima volta qualche anno prima su quella spiaggia spagnola e che avevo mio malgrado imparato ad amare ed odiare allo stesso tempo: solletico.

La mia bocca si aprì in un involontario, incontenibile sorriso e le legature dei polsi e delle caviglie subirono un altro test di tenuta. La lingua di Debora diede un altro tocco, poi un altro ed un altro ancora ed ad ogni passaggio della punta umida sotto le dita il mio piedino reagiva come ad una scossa elettrica. Il mio respiro si fece più profondo e rapido, il sorriso di poco prima si era ormai trasformato in una specie di smorfia di piacevole sofferenza. Sentivo il mio corpo contorcersi ad ogni colpetto che la lingua di Debora dava al mio piede e capii che se avesse continuato ancora un po' non sarei stata più capace di resistere.

Una piuma bianca che fino a quel momento era rimasta nascosta per terra, accanto ai piedi di Debora passò improvvisamente fra le dita dell'altro piede, mentre la bocca di Debora, aprendosi calda, si era richiusa delicatamente sulle dita del primo. In quell'istante persi anche quel debole controllo che avevo mantenuto fino ad allora e con la voce rotta da un inizio di risolino riuscii a dire: "N-no... b-basta-ah... n-non i piedi...t-ti pregooooh...".

Debora non fece caso a quelle suppliche se non per godere del fatto di poterle ignorare.

Le sue labbra presero a succhiare due o tre dita del mio piede sinistro, mentre la piuma bianca non aveva ancora finito di passare in rassegna tutti gli spazi fra le dita del piede destro. I miei contorcimenti si fecero più ampi, la mia testa si girava a destra e a sinistra ed i miei capelli biondi cominciavano ad incollarmisi alla fronte ed alle guance, già inumidite di un leggero velo di sudore.

"T-ti preh-eh-ehgo... Debora-ah-ah-ah... Bah-ah-ahstah-ah... N-non sotto i pieh-eh-eh-ehdiiii..." Debora distolse la bocca dal mio piede e palesemente eccitata disse: "I tuoi piedini sono dolcissimi... non ne ho mai assaggiati di più teneri... è bellissimo, non smetterei mai..." e riprese a leccare,questa volta scegliendo il dito più grande come fosse un goloso lecca-lecca.

Stava cominciando ad essere troppo per me. Iniziai ad aprire e chiudere le dita dei piedi in un vano tentativo di sottrarmi a quel supplizio. Intanto la piuma bianca era scesa dalle dita giù verso la pianta, mentre la lingua di Debora non smetteva di solleticarmi le dita e la pelle fra l'uno e l'altro.

"Noooh-oh-oh-oh... sotto la pianta noooo-oh-oh-oh!!! Bah-ah-ah-ahstaaaa, t-ti preh-eh-eh-ehgo, bastaaahhh!!" Stavo ormai decisamente ridendo per l'irresistibile solletico che Debora stava facendo ai miei piedi, non potendo immaginare che quel solletico, già per me insopportabile, non era che l'inizio di una ben più terribile tortura.

"Bene...! Benissimo!!! E' fantastico! I tuoi piedini sono tanto adorabili quanto sensibili!!

Quando lo raccontavi nelle tue e-mail quasi non ci credevo! Avevi ragione: sono perfetti!!

Penso proprio che stamattina mi divertirò e godrò moltissimo con i tuoi piedini... ed a quanto pare anche tu, non è vero Stefy...?" Stava forse alludendo a quella gocciolina trasparente che era nel frattempo apparsa fra i biondi peli della mia cosina ed ai miei capezzoli che si erano intanto inturgiditi come due fragoline mature.

Debora prese un'altra piuma e cominciò a farmele danzare contemporaneamente sotto le piante dei piedi, ammirando soddisfatta gli inutili contorcimenti delle mie povere ditine. Fu una cosa elettrizzante: il solletico mi saliva contemporaneamente dai due piedi su per le gambe e si ricongiungeva proprio li, all'altezza del mio ventre che si contraeva ad ogni spasmo.

E le due piume non smettevano di solleticare le mie tenere piante, di intrufolarsi tra le dita, di titillare ogni centimetro dei miei poveri piedini.

"T-ti preh-eh-eh-eh-ehgooh-oh-oh!!!! Smeh-eh-eh-eh-ehttilah-ah-ah-ah!!!! N-non sotto i pih-ih-ih-ih-iedih-ih-ih!! B-bastah-ah-ah-ah!!!" La testa cominciò a girarmi come durante la mia prima esperienza di tortura, laggiù in Spagna. Una lacrima scivolò sulla guancia, fuggendo dall'angolo del mio occhio, non ancora inquinato dall'abituale maquillage.

Non riuscivo davvero a sottrarmi a quella insopportabile tortura, questo dovevo ormai accettarlo, eppure ne ero eccitatissima, volevo che smettesse subito, ma il mio corpo voleva che continuasse, più forte, ancora di più... fino alla follia.

Ero incapace di capire cosa stava succedendo intorno a me e ci misi un po' per capire che intanto anche Romano era entrato nella stanza e si era accovacciato anche lui ai miei piedi.

In un momento di lucidità, che peraltro non diede nemmeno spazio alla sorpresa di vederlo presente, lo vidi baciare con passione la bocca di Debora, vidi per un attimo le loro lingue umide toccarsi in controluce. Senza smettere il solletico Debora porse una delle due piume a Romano che non esitò ad usarla sotto il mio povero piede, ormai ipersensibilizzato dal solletico precedente. Sentii per un attimo che parlottavano fra di loro, sentii la calda voce eccitata di Debora parlare dei miei piedi e dei miei capezzoli, ma confesso che non capii assolutamente nulla di quello che si dissero.

Continuai a ridere senza potermi fermare per almeno dieci, interminabili minuti, ero quasi completamente impazzita dal solletico che con le piume Romano e Debora mi stavano praticando sotto i piedi.

Romano prese anche la seconda piuma dalle mani di sua moglie e le disse "d'accordo, vai...!" e mentre tra le lacrime avvertii l'ombra di Debora che si avvicinava a me fino a sedersi sul letto di fianco a me, ricominciai a ridere sotto l'effetto del solletico di Romano.

Le labbra di Debora si richiusero dolcemente su uno dei miei seni, risucchiando il capezzolo all'interno della bocca e solleticandolo con la punta della lingua. Fu veramente troppo!

L'improvvisa eccitazione dovuta alla lingua di Debora sul mio seno si confondeva con il solletico di suo marito che con le due piume mi titillava le piante e le dita dei piedi.

"N-noh-oh-oh... D-deborah-ah-ah-ah... T-ti preh-eh-eh-ehgoh-oh-oh-oh... Aaahhhh... R-Romah-ah-ah-noohh... B-bastah-ah-ah-ahh..." Il mio corpo era diventato un serpente sinuoso che si contorceva spasmodicamente in preda a sensazioni indicibili.

Piedi e capezzoli: avevo spesso immaginato nei miei sogni più segreti di trovarmi in questa improbabile situazione ed ora che stavo provando concretamente cosa voleva dire stavo letteralmente impazzendo di sofferenza e piacere allo stesso tempo. Ma crediateci o no, non era ancora finita lì...

Per alcuni, lunghissimi minuti, il mio capezzolo sinistro rimase prigioniero della bocca di Debora che intanto mi pizzicava delicatamente il destro, massaggiandolo con il pollice e l'indice della sua mano destra. Allo stesso tempo Romano mi strofinava le piante dei piedi con le due piume, senza smettere un istante. Entrambi, sordi alle mie risate ed alle mie implorazioni di smettere, parevano essere veramente eccitati da quello che mi stavano facendo e soprattutto dalle mie scomposte reazioni.

La mano sinistra di Debora si appoggiò sulla mia pancia, sfiorandomi dolcemente la pelle intorno all'ombelico e, se possibile, aggiunse altro solletico a quello che stavo già a malapena sopportando. Ma non si fermò li: dopo avere accarezzato due o tre volte il mio pancino la mano scese fino ad incontrare i peli del mio pube, dove si fermò ancora qualche secondo come per apprezzarne la morbidezza.

Il cuscino su cui si agitava la mia testa era ormai bagnato di lacrime, il mio viso era divenuto rosso per l'effetto del riso. Avevo ormai rinunciato a tentare di dire ancora qualcosa, di supplicarli, di implorarli: avevo capito che era tutto inutile. Cosicché, oltre a quel fiume di risate, dalla mia bocca non usciva altro.

Sentivo i capezzoli esplodere sotto il tocco sapiente di Debora, sentivo le piante dei piedi bruciare sotto l'azione delle piume di Romano... Per favore... Basta!

La mano di Debora aveva ormai raggiunto una zona che fino a quel giorno a pochissime persone avevo permesso di accedere e con la delicatezza di una piuma il suo dito iniziò a titillarmi dolcemente la cosina. Raccolta la prima gocciolina Debora si portò il dito alla bocca come una bimba golosa che assaggia il miele. Con il dito in bocca chiuse gli occhi e sospirò, prima di appoggiare nuovamente la mano là, fra le mie gambe aperte e ricominciare la sua sensuale carezza.

Il tocco della punta del suo dito riprese lentamente e lentamente mi sentii morire. Ridevo e piangevo allo stesso tempo, soffrivo e godevo, ero letteralmente sull'orlo della follia.

Il mio ventre era sconvolto da un insieme di sensazioni, contrastanti, illogiche, come l'effetto di due sostanze chimiche che non dovrebbero mai incontrarsi e che invece si fondono insieme in una miscela esplosiva.

Per un momento ebbi paura che il mio cuore avrebbe ceduto all'improvviso, un attimo dopo credetti di avere un orgasmo istantaneo, ma il solletico sotto i piedi prima amplificava e poi subito sopprimeva quella straziante sensazione, e poi ancora la lingua sui capezzoli mi portava su fino in cima, e poi le piume di Romano mi facevano ripiombare in caduta libera nell'oblio delle risate...

Ad un tratto inarcai violentemente la schiena emettendo dal profondo della mia gola una risata lunga e profonda, seguita da un gemito disperato che non diede adito a nessun dubbio: "Guardala" disse Romano a sua moglie "sta per venire...". La calda bocca di Debora abbandonò per un istante il mio capezzolo in fiamme e mi sussurrò all'orecchio: "Eh no, cara Stefy... non ancora... non abbiamo ancora finito di giocare con te" e poi rivolta a suo marito "Penso che dobbiamo farle qualcosa per dissuaderla dal godere così presto... cosa ne dici, Romano?"

Romano smise di giocare con le piume sotto i miei piedi e mi guardò, ma quello che disse fu sempre rivolto a Debora: "Ho paura che sia già arrivata ad un punto di non ritorno... penso che l'unica cosa da fare per impedirle di godere così presto sia di sottoporla alla cura delle tue unghiette, Debbie..."

I due ragazzi avevano dunque smesso di torturarmi, concedendomi grazie a quella breve conversazione, di riprendere fiato e conoscenza. Quella forte sensazione di orgasmo imminente però non se ne era ancora andata, anzi aumentava di attimo in attimo: stavo proprio per venire come non mi era mai successo in vita mia. Debora portò la sua mano all'altezza dei miei occhi per mostrarmi le unghie: erano bellissime, lunghe ed affilate, ben curate e dipinte con uno smalto bianco perlato. Il solo pensiero di come Debora avrebbe potuto un giorno servirsene su di me mi fece rabbrividire. Guardandomi intensamente negli occhi disse: "D'accordo Romano, ma a quanto vedo bisogna intervenire subito, prima che sia troppo tardi... Pronta Stefy?" Ansimai, in preda a quel crescente godimento che mi pulsava nella pancia: "P-pronta... per cosa...? Debora, per favore... toccami ancora un po’ lì... Succhiami ancora il seno... Non ce la faccio più, voglio venire..."

Debora rise, si alzò dal letto e andò a risedersi per terra di fianco a suo marito, di fronte ai miei piedi nudi. "Non è ancora arrivato il tuo momento Stefy, spiacente, ma devo farlo e credimi, lo faccio per te!" E prima che potessi in qualche modo reagire quelle unghie che mi avevano turbato qualche istante prima cominciarono a danzare sotto i miei piedi, entrambi, contemporaneamente e freneticamente! Evidentemente "il giorno" che temevo, in cui avrei sperimentato quelle unghie era dunque arrivato. Credetemi: fu il solletico peggiore della mia vita, mai provata una cosa del genere e sicuramente nessuno aveva mai provato una cosa del genere! Non avrei mai immaginato che il solletico ai piedi fatto in quel modo potesse essere così sconvolgente.

Esplosi in una risata isterica, acuta. Saltai sul letto come se mi avessero messo sotto tensione e cominciai a dimenarmi come impazzita. "N-nooooohohha-ah-ah-ah-ah-ah... B-Bah-ah-ah-ahsstaaahhh-ah-ah-ah-ah... F-feh-eh-ehrmah-ah-hhtiiih-ih-ih-ih-ih" Tutto inutile, ero ben immobilizzata a quel letto e tutto quello che potevo fare era ridere e contorcermi aspettando che il cuore mi scoppiasse. Va detto però che la "cura delle unghie di Debora" fece subito effetto, quel senso di crescente orgasmo regredì per lasciare spazio a quell'insostenibile solletico che Debora stava facendo ai miei poveri piedi. Romano intanto guardava me e poi sua moglie, visibilmente eccitato dalla scena e di tanto in tanto accarezzava i capelli di Debora e le dava bacini sulla spalla. Il supplizio continuò ancora per vari minuti, non so quanti, ma lunghi ed estenuanti (per me!).

La mattinata per me non era ancora terminata. Non osavo immaginarlo, ma quei due avevano in serbo ancora qualche sorpresina da farmi assaggiare... Intanto ridevo e supplicavo Debora di smettere, sapendo che se mai l'avesse fatto sarebbe stato per ricominciare, in un altro modo.

QUINTA

L'INCONTRO - PARTE QUINTA (ULTIMA)


Le unghie di Debora continuarono a solleticare i miei poveri piedini nudi ancora per diversi minuti, per il piacere di Romano che osservava affascinato il lavoro di sua moglie e per la mia più grande, insostenibile sofferenza. Ormai ridevo senza controllo e mi contorcevo a quello sfioramento deciso, ma controllato che mi stava facendo a poco a poco impazzire; dell'orgasmo che qualche minuto prima sembrava volere a tutti i costi sconvolgermi le viscere non restava che qualche gocciolina.

Per vari minuti, ripeto, non so quanti, la tortura continuò senza sosta, anzi sembrava che col passare del tempo Debora prendesse sempre più gusto nel farmi tutto quel solletico e che suo marito, con la sua eccitazione, la incitasse tacitamente a continuare, nonostante stessi veramente dando i primi segni di cedimento.

Continuai follemente a ridere, per uno strano fenomeno di inerzia, anche quando le unghiette di Debora smisero di solleticare le piante dei miei piedi e quel breve istante di mia incoscienza diede la possibilità ai due ragazzi di scambiarsi un tenero bacio. La bocca di Romano scivolò dalle labbra della moglie sulle sue guance fino a raggiungerle l'orecchio e lì Romano le sussurrò qualcosa. Ero troppo intenta a riprendere fiato ed a cercare una frase convincente per Debora al fine di persuaderla a non ricominciare, per comprendere le parole che Romano disse all'orecchio di Debora, ma afferrai distintamente la risposta della moglie: "...ah si! Le puntine..." Una nuova scintilla brillò negli occhi scuri di Debora ed un nuovo senso di panico cominciò a salirmi dentro diventando via via paura fino a divenire puro terrore.

"C-cosa...?!?! N-no, dai non scherzate!!!! Per favore, basta... Forse non vi rendete conto che finirete per ammazzarmi!!! Le puntine... per fare che?!? Per favore basta, sul serio..."

I due si guardarono e poi mi guardarono sorridendo "Ma no, Stefy, non preoccuparti... non morirai, non è certo quello che vogliamo da te..." Fu Romano a parlare, mentre Debora si era alzata ed a piedi nudi, saltellando come uno scoiattolo era passata nella stanza accanto, scomparendo dietro la porta. Tornò pochi istanti dopo con qualcosa in mano, qualcosa che per il momento non mi era concesso di vedere, così ben nascosto nel pugno di Debora.

"Ora le farò provare la mia specialità, sei d'accordo Romano?" disse Debora al marito.

Poi rivolta a me: "Romano ne sa qualcosa, dovresti vederlo come ride e si contorce quando mi diverto a legarlo ed a punzecchiargli le piante dei piedi con queste! E' la mia passione!

Pensa, una volta l'ho sottoposto a questa tortura per un'ora intera e alla fine non riusciva neppure a parlare!! Vero Romano?" E lui un po' preoccupato: "Vero... Ma sei sicura che lei riuscirà a sopportare le tue puntine da disegno sotto i piedi? Guardali, sono così teneri e delicati... Non saranno certo resistenti come i miei... Sei certa di volerlo fare...?" Mi sentii svenire: "COOOSA?!?!?! N-non avrete intenzione di...!!! Vi prego nooo!!! Non potrei sopportarlo!!!! V-vi prego, tutto, ma non questo!!!" Come se non avessi detto nulla.

Indifferente alle mie suppliche Debora continuò a parlare al marito: "Beh, c'è un solo modo per saperlo, proviamo! Intanto tu puoi andare a controllare da vicino nel caso la povera Stefy cominci veramente a dare segni di cedimento, ok...?".

Romano rispose ok con gli occhi e venne a sedersi accanto a me sul letto. Quando mi fu sufficientemente vicino lo guardai con l'aria di un agnello che sta per essere sacrificato, supplicandolo con lo sguardo di provare a convincere la moglie di smettere con quell'assurdo gioco. Capivo di essere diventata come un giocattolo nelle loro mani, di non avere diritto alla parola e che dovevo solamente soffrire e deliziare i miei due torturatori con le mie risate ed i miei sensuali contorcimenti.

Romano, forse nel gioco il più "umano" dei due, capii l'autentica paura che c'era nei miei occhi e con lo sguardo ed un sorriso mi fece capire di non dover temere alcun male da parte loro. Apprezzai quel gesto silenzioso che in effetti mi aiutò a prepararmi alla successiva, terribile tortura. Puntine da disegno!!! Non avevo idea di cosa volesse dire essere torturata con puntine da disegno, ma intuivo che di lì a poco avrei dovuto sopportare un certo livello di dolore. Nonostante questo inquietante interrogativo, grazie a Romano riuscii a rilassarmi quel tanto che bastò per scoprire in me quella parte di piacere che la paura aveva sovrastato e mi impediva di assaporare. Aspettai quindi l'inizio del supplizio con un po' di apprensione, ma ora lo posso dire, anche con una certa eccitante curiosità.

Chiusi gli occhi in attesa della prima puntura, ma ebbi la sorpresa di sentire invece le calde mani di Romano scostare la camicia sbottonata e appoggiarsi delicatamente sul mio seno.

Paradossalmente mi sentii imbarazzata più per la presenza di Debora che per quel gesto così intimo, che fino a quel giorno avevo concesso a pochi di compiere. Lo guardai con aria interrogativa forse arrossendo un poco, ma dovetti richiudere di nuovo gli occhi sotto l'effetto del dolce massaggio che Romano aveva cominciato a praticarmi. Nonostante il breve imbarazzo causato da quell'audace approccio il piacere riguadagnò rapidamente il suo posto e la paura si sciolse decisamente sotto l'azione quel tocco delicato. Le mani di Romano mi accarezzavano il piccolo seno e di tanto in tanto il pollice e l'indice si stringevano intorno ai capezzoli in un dolce pizzico che mi faceva sussultare. Al terzo pizzico un incontrollato mugolio di piacere mi sfuggì dalle labbra, labbra che dovetti subito mordermi per impedirmi di non cominciare a gemere come una gattina. Il mio bacino ricominciò ad ondeggiare, di nuovo desideroso delle carezze di Debora. Il precedente senso di orgasmo si rifece vivo.

Non furono però carezze quelle che Debora aveva in serbo per me, ma due acuminate puntine da disegno con cui cominciò improvvisamente a punzecchiarmi leggermente le piante dei piedi.

Fu come una scossa elettrica, l'effetto che mi fecero quelle puntine metalliche applicate alla tenera pelle dei miei piedi, già così sensibili ad una semplice sensazione tattile come il solletico! Emisi un urletto più di sorpresa che di dolore, subito seguito da un altro e poi da un altro ancora. Ad ogni tocco di quelle puntine era come se un fulmine mi attraversasse il corpo, passando per il sesso, fino ad arrivare al cervello e qui esplodere in un irresistibile singhiozzo. Non era vero e proprio dolore, ma una sensazione comunque acuta, come un atroce, intenso solletico tutto concentrato sulla punta di uno spillo. Moltiplicate questo per molte volte, almeno una al secondo e su diversi punti della pianta del piede e potete (forse) immaginare a cosa assomiglia. Intanto Romano aveva decisamente concentrato la sua attenzione su entrambi i miei capezzoli che mi pizzicava e massaggiava con i suoi polpastrelli.

Notai che cercava sempre di più di fare corrispondere i pizzichi ai capezzoli con le punzecchiature di Debora, riuscendo in questo modo a produrre una risultante di sensazioni assolutamente indescrivibile. Anche questa volta quel senso di orgasmo risvegliato dalle carezze di Romano era prontamente annullato dalle puntine di Debora. Nonostante però quelle piccole ma irresistibili punture, cominciai con una certa sorpresa a trovare la cosa molto stimolante ed ad ogni punzecchiatura che Debora praticava sotto i miei piedi cominciai ad apprezzare l'ansiosa attesa di quella successiva.

Come reazione naturale i miei piedi si muovevano però in modo sinuoso, ma incontrollato ed in tutte le pose concesse dalle corde che li legavano; ciò rendeva difficoltoso il lavoro di Debora e anche un po' pericoloso per la mia incolumità. "Attenta Stefy! Finirò per farti male se continui così! Ho capito, dovrò tenerti fermo il piedino per evitare di pungerti troppo... anche questa volta lo faccio per te, ok...?"

Colsi in pieno il tono leggermente ironico di quell'ultima frase. Detto questo Debora afferrò saldamente il mio piede destro, neutralizzando anche quei pochi movimenti che gli erano consentiti: stavolta potevo veramente solo subire. Ancora la voce di Debora ruppe quel silenzio di sospiri: "Romano, credo che alla nostra povera vittima cominci a piacere un po' troppo questo giochino... Guarda, la sua cosina sta ricominciando a bagnarsi un'altra volta... Quindi: sai cosa fare, vero Romano?"

"Ok, Debbie" disse Romano. E poi rivolto a me: "Mi dispiace Stefy, ti facciamo soffrire ancora un po', ma come dice mia moglie, è per il tu bene!" Per un breve istante li odiai entrambi per quell'astuto gioco psicologico che i due ragazzi stavano perpetrando su di me, ma non ebbi neppure il tempo di accennare una seppur breve protesta che la improvvisamente situazione cambiò di nuovo.

In fin dei conti era vero, Debora aveva ragione: ancora qualche minuto di stimolazione dei capezzoli e di puntine sotto i piedi e sarei inevitabilmente venuta e quello che successe subito dopo invertì ancora una volta e decisamente la tendenza dei miei poveri sensi.

Le mani di Romano scivolarono dai seni alle ascelle senza quasi che me ne accorgessi e le dita cominciarono a frullare sempre più velocemente sulla delicata pelle. In perfetto accordo con il marito Debora, bloccatomi con decisione il piede con la mano, ricominciò a punzecchiarmi la pianta, ma questa volta spingendo le puntine con più energia ed accelerando la frequenza delle punture.

Romano aveva preso quindi a solleticarmi le ascelle facendo di tanto in tanto scendere e risalire per i fianchi le sue dita titillanti, con movimenti costanti ed esasperatamente irresistibili. Esplosi così in una risata acuta e continua, per certi versi disperata dato che le acute punture sotto i piedi mi imponevano anche violenti spasmi.

Fu per me un'esperienza tutta nuova. A parte quella sola, intensa esperienza di solletico ai piedi che ebbi in Spagna con le mie due amiche Katia e Barbara, e quella che avevo patito poco prima con Romano e Debora, il solletico praticato alle ascelle ed ai fianchi non lo avevo ancora subito da nessuno. Certo, mi era già capitato durante episodi di vita normale di essere simpaticamente solleticata da amici o parenti, ma certamente l'essere nuda e legata era senza dubbio un'esperienza diversa.

E' una sensazione differente dal solletico ai piedi, ma comunque irresistibile; l'area interessata dal solletico è più ampia, la sensibilità delle zone interessate è di qualità diversa ed ogni punto del corpo (seno, ascelle, fianchi, pancino, ombelico) ha un livello di sensibilità differente. Per esempio trovai assolutamente efficace (ma cosa dico?!? Ero IO la vittima!!!) quelle leggere, sadiche grattatine che Romano mi praticava sul pancino, proprio intorno all'ombelico dove, di tanto in tanto Romano infilava la punta del dito, facendomi impazzire.

In più fino a quel momento la parte alta del mio corpo non era ancora stata insidiata dai tocchi sadici di Debora né dalle diaboliche piume di Romano ed erano quindi ancora più sensibili. I miei addominali, che pensavo sufficientemente allenati da mesi di palestra, dovettero subire una sessione di training muscolare non prevista a copione!

Ma tutto questo ebbi il tempo di valutarlo solamente dopo la tortura. Infatti durante quegli interminabili minuti di solletico ai fianchi, di titillamento delle ascelle e di puntine sotto i piedi ancora una volta non fui in possesso delle mie facoltà mentali e credetti di nuovo di trovarmi veramente sul punto di rottura. Per il successivo quarto d'ora infatti quella stanza si riempì di urletti acuti e di risatine isteriche, di lacrime, di "basta!" e di "pietà!", di frasi supplicanti rotte dai singhiozzi, di gemiti di sofferenza e di piacere.

Ad un certo punto della tortura Romano si girò verso la moglie e le tese una mano. Debora, raccolte da terra due puntine le consegnò senza esitare a Romano, per poi riprendere immediatamente a giocare con le sue due puntine sotto i miei piedi. Successe quindi che tutte le zone, capezzoli compresi, che avevano da poco sofferto il solletico delle dita di Romano dovettero affrontare anche il trattamento con le puntine! Con gesti leggeri, ma decisi Romano prese a punzecchiarmi il corpo qua e là, casualmente, divertendosi ad ogni mia reazione e cercando punti sempre più sensibili mentre Debora seguitava intanto a divertirsi con i miei piedi, legati e bloccati dalla presa delle sue mani. Io ero sull'orlo della follia.

Le mie risate si attenuarono via via che la tortura continuava per trasformarsi in una serie di mugolii, rantoli e urletti di dolore che emettevo immancabilmente ad ogni puntura che ricevevo.

Dopo aver testato ogni centimetro della parte superiore del mio corpo Romano decise di concentrarsi sui miei capezzoli che intanto erano diventati di un rosa intenso e di dimensioni che io stessa non avevo mai visto sul mio seno. Si chinò quindi un po' di più su di me, a circa 20 cm dal mio petto, quasi per essere sicuro di non mancare il bersaglio e ricominciò a pungermi ripetutamente le punte dei seni. L'ipersensibilità dei miei capezzoli causò uno strano effetto di piacere-dolore che mi fece girare la testa e dimenare come un serpente ferito: non c'è dubbio, in quel momento dovevo essere per loro uno spettacolo impagabile!

"Ahi!!.. B-bastaaaahh... N-non ce la faccio piuuuuùhhh.... ahi!! N-noooohhh... Smettetela... vi prehehegoooh... ahii!!... B-basta sotto i piediihhh..."

Dolore e piacere allo stesso tempo: un concetto che fino a quel momento era totalmente estraneo alle mie logiche, che sfuggiva ai miei schemi mentali, a volte fin troppo razionali.

Ed invece eccomici dentro in pieno, finalmente consapevole che si hanno sempre tante cose da imparare e da scoprire, soprattutto sul proprio corpo. Piangevo e ridevo, gridavo e gemevo, mi lamentavo e godevo, volevo che smettessero e non volevo che smettessero... Temevo che la mia piccola mente non avrebbe ancora sopportato a lungo quella agonia.

Invece, dopo circa un quarto d'ora che mi sembrò un quarto di secolo, con un ultimo bacino che diede alle piante dei miei poveri, esausti piedini, Debora smise di torturarmi con le sue puntine ed allentò la presa che con la mano operava saldamente sul mio piede. Quasi contemporaneamente anche Romano smise di tormentarmi i capezzoli con quegli spilli aguzzi.

La mia fronte era ormai imperlata di sudore e le lacrime scendevano copiosamente dai miei occhi per perdersi sul cuscino, le guance mi facevano male dal troppo ridere ed erano rosse, le piante dei piedi mi bruciavano ed i miei capezzoli scoppiavano di eccitazione.

La mia cosina ricominciò a piangere gocce di piacere.

Il mio petto si alzava e si abbassava nel gesto di riprendere più fiato possibile, anche in previsione di un'eventuale ripresa della tortura, ansimavo come dopo una lunga corsa ed avevo la gola secca per il troppo ridere e gridare. Nonostante la tortura i legami ai polsi ed alle caviglie erano però rimasti saldi e non facevano male. Tenni gli occhi chiusi aspettando il seguito...

Debora venne ad adagiarsi di fianco a me, al lato opposto del letto di dove si era seduto Romano. Avvicinò le labbra al mio orecchio e sussurrò: "Brava Stefy, sei stata proprio brava!

Sei fantastica sai? Il tuo corpo è una sorgente infinita di piacere per noi, ma credo anche per te. Meriti un premio adesso, ora ci occuperemo un po' di te".

Le due bocche di Debora e Romano si posarono calde sui miei seni e le loro lingue cominciarono a stuzzicarne i capezzoli iper-eccitati. Il senso di sollievo che ne trassi dopo quel lungo trattamento con il solletico ai fianchi e le puntine da disegno sotto i piedi, fu semplicemente bellissimo ed il piacere che mi stava dando quel doppio bacio era di un'intensità pazzesca. Ricominciai quasi subito a mugolare e contorcermi sinuosamente sotto l'effetto di quelle deliziose lingue e quasi non mi accorsi della mano di Debora che nel frattempo si era posata fra le mie gambe aperte. Emisi un lungo e profondo sospiro quando il dito di Debora incontrò la parte più segreta del mio sesso e iniziai letteralmente a miagolare di piacere ad ogni tocco lieve ed esperto di quel polpastrello.

Anche Romano aveva posato la sua mano su di me, ma semplicemente sul pancino, che accarezzava e coccolava con una sorprendente delicatezza. Il mio respiro si fece allora sempre più accelerato e le guance che avevano riacquistato il loro naturale colorito roseo ripresero ad arrossarsi. Finalmente le due inarrestabili lingue ed il dito di Debora mi fecero precipitare in un vortice di piacere che non avevo mai provato e l'orgasmo che raggiunsi con un ultimo lamento fu devastante.

Ebbi il ventre sconvolto da quel godimento ancora per diversi minuti, mentre non mi ero accorta di essere maliziosamente osservata dai miei due partners. Quando mi riebbi riaprii gli occhi e vidi Debora che sorrideva serena. "Allora, Stefy, ti è piaciuto...?" e prima che potessi rispondere aggiunse: "Si, ti è piaciuto e anche tanto... Nulla in contrario allora se ricominciamo, no?". Con l'intero corpo ancora legato e ridotto ad un fascio di nervi accennai ad una affannosa, ma debole protesta: "N-no... basta, vi prego... è troppo... è bello, ma...".

Ma fu tutto inutile, le due bocche ripresero a succhiarmi golosamente i capezzoli ed il dito di Debora riprese il suo posto fra le labbra della mia cosina.

Ripiombai nell'oblio di quel troppo piacere e ripartii sul cammino di un altro probabile intenso orgasmo. Ma... un momento... e poi?.. quanti ancora??!! Sono sempre legata a questo letto, nuda, indifesa e vulnerabile!!!

E se si fosse trattata di una nuova, insopportabile, terribile tortura?!
 
grazie per le storie ticklemetodeath..anche se le avevo già lette comunque grazie lo stesso..nel caso tu ne avessi altre mi raccomendo postale!
 
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