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IL CASSONETTO

luc

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Oct 31, 2005
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La piazzetta è recintata da pannelli di legno ben oliati che delimitano i giardini verdeggianti dei miei simpatici ma strani vicini. Sul lastrico grigio scuro sono sistemate un’altalena e uno scivolo corrosi dalla primavera piovosa appena terminata. Mia figlia, quando era bambina, ci dondolava su e giù spinta dall'amichetta e vicina di casa, Lucilla, dopo aver bevuto insieme una limonata nella cucina difronte che ora intravedo dalla finestra della camera da letto al primo piano della nostra villetta. Mia figlia rideva. Ogni qual volta i suoi fianchi smilzi toccavano le dita di Lucilla. Claretta si dimenava fino a quando il movimento dell’altalena la liberava dal solletico. Era il suo incubo. Bastava sfiorarle l’avambraccio per farla sobbalzare.
Elena è ancora in ufficio. Prima di uscire stamattina mi ha lasciato il compito domestico di risolvere la questione del cassonetto. Non quello verde dei rifiuti biologici, ma quello grigio della spazzatura vera e propria, quella che puzza solo dopo qualche giorno e che noi ogni sera sistemiamo in un angolo del nostro giardino sotto una pensilina, il più possibile lontano dai nostri nasi. Tranne quello di Fido che fiuta i resti del pranzo a cento metri di distanza, essendo di una razza rinomata per la caccia ai tartufi.
Mia moglie è ormai da qualche anno vegana. Un anno fa la scelta dell’animale domestico fu determinata da questa sua inclinazione, nonostante Claretta avesse messo gli occhietti azzurri su un cucciolo di pastore tedesco notato su un sito di allevamenti per cani.
Lunedì scorso, dopo cena, mia figlia mi saltò addosso, mentre ero spaparanzato sul divano a guardare il telegiornale, portandomi l’ordine della sua mamma, ancora impegnata a sistemare i piatti sporchi nella lavastoviglie: portare fuori il cassonetto che l’indomani gli spazzini del comune sarebbero passati a prelevare. Per togliermi Claretta di dosso cominciai a farle il solletico ai fianchi. Subito dopo, libero nei movimenti, mi recai a passo svelto in giardino. Claretta lo soffre eccome il solletico. Sin da bambina io ed Elena ci divertivamo a farglielo. Lei rideva a crepapelle. Poi nell'adolescenza era stata solo mia moglie a occuparsi di solleticarla a dovere. Io mi tenevo sempre da parte. Era meglio così, secondo Elena, che conosceva la mia tendenza verso la parafilia. Già al nostro primo appuntamento, dopo una settimana che ci eravamo conosciuti molti anni prima in discoteca, io le avevo manifestato questa mia fisima: eravamo seduti su un divanetto appartato del locale. La musica ad alto volume ci costringeva a parlare forte tra di noi. Mentre discutevamo a frasi breve ma concise, io avevo cominciato a sfiorarle il fianco destro. Le avevo alzato un lembo della maglietta celeste a fiori per toccare con le mie dita la sua pelle. Elena faceva finta di niente e proseguiva a raccontarmi la storia della sua amica che si era lasciata con il fidanzato. Le miei dita intanto salivano. Come se lei mi avesse letto nel pensiero, alzò le braccia per ricomporsi i capelli. Le punta delle miei dita raggiungessero l’ascella umida ma liscia. Elena si dimenava mentre parlava con me e subiva il solletico. Il viso le si era arrossato. Le braccia restavano in alto, come se qualche indugio le impediva di abbassarle. Avevo capito presto che quella ragazza (che sarebbe diventata in seguito mia moglie) soffriva il solletico e cosa più interessante per me, le piaceva subirlo. Sua figlia aveva ereditato la sua sensibilità. Ma fino a che Claretta non compì il diciottesimo compleanno, lo scorso aprile, io mi astenni nel farglielo. Ma da qualche messe le cose sono cambiate in casa.
La luna piena splendeva nel firmamento decorata da migliaia di stelle ma il venticello tiepido della sera portava con sé i cattivi odori della spazzatura di tutto il vicinato. Il cassonetto era lì fermo ad aspettarmi, con il numero 12 disegnato in rosso sul coperchio un po’ rialzato a causa dei tanti sacchi neri che lo riempivano. Respiravo a posta con la bocca per non sentire il fetore. Impugnato il manico cominciai a tirarmelo dietro sulle sue rotelle, prima sulla piazzetta e poi all'angolo a sinistra che da’ sulla strada dove l’indomani mattina il camion della nettezza urbana si sarebbe fermato per svuotare i contenitori ripieni di scarti umani. All'incirca quindici, se si escludono quelli anonimi abbandonati nei dintorni dai presunti o ex proprietari. Sì perché questi raccoglitori sono muniti di un chip antifurto, come quello che in futuro, dicono, verrà impiantato nella nostra pelle umana così da evitare furti o scippi alle nostre borse o portafogli. Sembra strano ma al giorno d’oggi esistono anche i ladri di cassonetti. L’ho letto sul sito della polizia, che spesso consulto per richiesta dei miei clienti, i quali prima di acquistare una casa vogliono sapere informazioni a riguardo la sicurezza del quartiere dove essa è ubicata. Ma perché si ruba anche la spazzatura puzzolente? Non lo so ancora a dire il vero. Non certo per bisogno, almeno non nel nostro quartiere abitato nella maggioranza da gente benestante come noi: Elena è una manager di una azienda di pale eoliche e io, come accennato, vendo appartamenti di lusso per una prestigiosa ed esclusiva agenzia immobiliare. Certo tranne quei due blocchi di case popolari all'altra estremità della piazzetta abitate da zingari, studenti, immigrati turchi, marocchini e profughi siriani.
Elena mi ricorda qualche volta la nostra condizione privilegiata rispetto a quella loro, facendomi sentire in colpa, anche se stranamente Claretta non aveva mai avuto amichette con cui giocare residenti in quelle case famigerate. Sono accordi stipulati nel silenzio della quotidianità familiare penso in tutte e due le comunità etniche. Due ragazzine esuli dalla Siria a volte sconfinavano per usufruire dello scivolo ma dopo una o due discese e avendo solleticato per bene mia figlia (loro se lo potevano permettere) correvano via per ritornare alle loro abitazioni di certo più sicure di quelle nella loro cittadina di origine.
La settimana scorsa durante il fine settimana, camminavo al piano di sopra della nostra villetta percorrendo il corridoio dove si affacciano le camere da letto. All'altezza di quella di Claretta mi accorsi che la porta era socchiusa. Senza fare rumore con i miei mocassini, mi avvicinai udendo sempre più vicino le risa di mia figlia. Guardando dall'uscio della porta scorsi Claretta distesa sul suo letto a una piazza. Aveva le braccia in alto e i polsi legati con due foulard a pallini celesti alla spalliera. Sopra di lei era seduta Lucilla. Impugnando nella mano destra una piuma, la compagna le sfiorava l’ascella sinistra, facendola salire e scendere dall'avambraccio in giù. Claretta rideva a crepapelle con quella sua vocetta sottile, ma nello stesso tempo godeva ed era contenta. Glielo potevo leggere negli occhi. Lucilla era passata dall'altra parte a solleticarle l’ascella destra che mostrava una leggera peluria rossiccia. Non aveva ancora preso l’abitudine di depilarsi nonostante sua madre glielo aveva insegnato anni prima. Le piaceva andare contro corrente e non seguiva le mode. Lucilla intanto si era tirata un po’ indietro sedendosi sulle gambe della fidanzata e con la piuma le sfiorava i fianchi, facendola scuotere a destra e a sinistra nonostante le legature. E rideva. Per fortuna che mia moglie non era in casa a quell'ora. Altrimenti avrebbe pensato che la figlia avesse ereditato le abitudini dei genitori. Per Elena infatti il solletico è anche un modo per raggiungere l’orgasmo. Non so se per mia figlia vale lo stesso discorso ma Lucilla, che oltre a essere la sua amica d’infanzia è diventata da un anno la sua fidanzata, lo avrebbe di certo saputo.
Senza fare rumore lasciai la coppia d’innamorate alla loro seduta di solletico e mi recai in bagno a farmi una doccia.

Il martedì seguente, di mattina, dopo una notte trascorsa non solo a dormire, con la complicità di Elena, come al solito percorsi lo stesso tragitto della sera precedente, con l’intento di andare a riprendermi il container della spazzatura vuoto, ma certamente ancora male odorante, prima di recarmi al lavoro.
La sera precedente verso le undici di sera, Elena si era chinata da un lato e aveva preso da sotto il nostro letto a due piazze la scatola che conteneva l’attrezzatura di BDSM che avevamo acquistato in un sex-shop ad Amsterdam durante una vacanza. Dopo un suo sguardo esaustivo le avevo legato i polsi e le caviglie alla spalliera di ferro battuto del letto. Elena indossava una camicia da notte beige. Era lì distesa a mia disposizione con i capelli rossi che le ricadevano dietro le spalle e le ascelle aperte, bianche e lisce. Non come quelle della figlia. Avevo impugnato nella mano destra una piuma di gabbiano, di quelle lunghe e resistenti. Mi ero messo in ginocchio ai sui piedi e avevo cominciato a passare la punta della piuma sulle piante dei suoi piedi eleganti come quelli di Cenerentola. Elena aveva cominciato a ridere con quella sua voce un po’ rauca. Si agitava alzando il corpo e portandolo prima a destra poi a sinistra, cercando di sfuggire al solletico che le stavo facendo sotto le piante dei piedi. Poi ero passato ai fianchi usando quell'altro tipo di solletico che viene scientificamente definito gargalesi. Con le dita di entrambe le mani facevo una leggera pressione fino a sentire le sue costole. Elena cercava di levarsi di dosso il mio corpo pesante ma invano. Rideva talmente che gli occhi le lacrimavano. Avevo proseguito così per un quarto d’ora fino a quando lei era sfinita. La baciai dolcemente sulle labbra per passare a solleticarle le ascelle con la piuma, usando il tipo di solletico definito dalla scienza moderna kismesi: implica uno sfioramento leggero della pelle con piuma o punta delle dita. La seduta di solletico era poi terminata con un amplesso dove entrambi avevamo raggiunto l’orgasmo.

Fido era con me e scodinzolando mi girava intorno, nonostante la pioggerellina che cadeva sulle nostre teste. Erano tutti lì i cassonetti riposti in disordine dagli spazzini dal numero uno al numero 15. Almeno così supponevo mentre mi avvicinavo, scartando prima l’uno e poi l’altro.’ Il cinque… sei…15… 3…’ contavano ad alta voce per poi ricominciare mentre Fido si era messo a cercare anche lui come il suo padrone, fiutando qua e là. Ricontai ben tre volte ma alla fine dovetti desistere e rendermi conto che il cassonetto numero 12 non era tra quelli rimessi al loro posto qualche ora prima dagli addetti ai lavori. Pensai che non potesse essere stato un loro errore dato che di norma loro se sono in due, si avvicendano nel prelevare i raccoglitori dalla strada per poi portarli al camion che li aspetta un po’ più in là, svuotarli con l’aiuto della elevatrice attivata da un pulsante e poi rigettarli, sempre con sgarbo, al loro posto.
Ragionai che se costoro erano stati lì un’ora prima, nel frattempo forse qualcuno dei vicini era andato a prelevare il proprio cassonetto. Quindi sarebbe stato meglio ricontarli tutti un’altra volta per stabilire poi quale mancava alla somma finale. Anche se, come dicevo prima, ci sono quelli anonimi e ne avrei dovuto tenere conto nella mia operazione di matematica, una materia che non ho mai amato ai tempi della scuola ma che per il mio lavoro spesso mi risulta necessaria. Misi a un lato tre anonimi e quindi senza numero e poi ricontati il resto e potei confermare che il 12 mancava all'appello ma anche il numero 7. Sì, quello della famiglia di Lucilla, la compagna di università di Claretta e ormai anche di letto. La madre, una biondina dal fisico minuto e gli occhi luminescenti, ha uno studio di podologia in casa (dice lei) e spesso da questa stessa camera, intravedo i clienti traversare la piazzetta per recarsi alla loro autovettura parcheggiata sotto le case popolari, dove ci sono sempre posti liberi ma sempre rischiosi per l’integrità delle autovetture e degli oggetti contenuti al loro interno, come radio, navigatore o borse. Elena, in qualche caso di furto dei clienti della vicina, non ha mai voluto sospettare i residenti di quelle case. Una volta, parlando con la madre di Lucilla, furibonda, cercò di persuaderla ad accusare gli zingari. Ma la sera stessa a tavola cercai di convincerla della probabilità che a compiere i furti nelle macchine fossero proprio i residenti della case popolari. Cosa che la fece infuriare, nonostante anche Claretta cercasse di convincerla. Ma il container della spazzatura non è una radio, una borsa piena di soldi o un navigatore! Mi chiedo ancora oggi, dopo una settimana dalla sua scomparsa.

Suono al campanello. Una donna giovane dalla capigliatura bionda che indossa una canottiera rosa, un jeans corto e infradito ai piedi apre la porta. E’ la madre di Lucilla. Mi riconosce. Con un sorriso smagliante stampato nel viso pallido m’invita ad entrare. Mentre parliamo delle nostre figlie raggiungiamo il divano nel soggiorno. Si presenta come Andrea. Le rispondo che mi chiamo Stefano. Sorride e mi chiede se voglio bere qualcosa come un vinello rosso o una birra. Vado per il primo. Andrea si reca in cucina lasciandomi solo in quella camera spaziosa. Alle pareti sono appesi dei quadri tra cui uno dove sono disegnate delle piume di diversi colori. Andrea rientra nel soggiorno con due bicchieri mezzi pieni di vinello. Li posa sul tavolino e poi si siede accanto a me. Le spiego il motivo della mia visita, raccontandole la storia del cassonetto sparito. Lei sembra non stupirsi e evita di rispondermi. Allora cambio discorso e le domando del quadro con le piume. Chi l’ha dipinto e aggiungendo che mi piace. Andrea mi risponde con fierezza che è lei la pittrice.
─Sai… ho la passione del solletico…
─Veramente… guarda caso anch'io…
Segue un attimo di silenzio
─Seguimi…─ mi dice Andrea alzandosi dal divano, prendendomi per mano e tirandomi su anche a me. Mi conduce fuori dal soggiorno in uno stretto corridoio. Dopo avere aperto una porta, entriamo in una camera buia. Andrea accende la luce. Non credo ai miei occhi. Una camera BDSM arredata con con le attrezzature più moderne.
Andrea si siede sulla gogna nel centro della stanza. ─Legami!
Per un attimo esito, ma poi eseguo i suoi ordini. Le chiudo i polsi nelle cinghie e lo stesso faccio con i piedi.
─Dov'è il mio cassonetto?
─Non te lo dico…
─Vedremo…─ le rispondo mentre con la punta delle dita di una mano le sfioro il polso destro.
Lei si scuote, manifestandomi di essere sensibile allo sfioramento. Lentamente salgo e scendo fino all'interno del gomito. Andrea cerca di liberarsi dalle cinghie e stringe le labbra. Le punta delle miei dita scendono per poi risalire, fermarsi e poi riprendere il titillamento della pelle di Andrea. Con l’indice le sfioro l’ascella, salendo e scendendo sulla pelle umida.
─Non resisto…─ dice lei contorcendosi .
─Dov'è il cassonetto?
Andrea non risponde. Avvicinò le mani ai due fianchi e comincio a muovere le dita sempre più veloce. Lei si dimena e ride, mentre il sudore esce dai pori della pelle sia sotto le ascelle che tra i seni. Dopo cinque minuti di solletico gargalesi Andrea mi supplica di fermarmi.
─L’ha rubato… mia figlia…
─Lucilla? Il cassonetto della spazzatura?!
─Sì…
─E perché?─ le chiede togliendo le mani dai suoi fianchi.
─Voleva fare… un dispetto a Claretta…
─Eh? Un dispetto e per quale motivo se stanno insieme ormai da un anno?
─Slegami… poi te lo spiego…

Così detto così fatto, dopo dieci minuti ci troviamo sullo stesso divano del soggiorno. Andrea comincia a raccontarmi della gelosia della figlia non solo verso lei stessa ma anche nei confronti di Lucilla. Rubando il cassonetto la figlia voleva ricattare Claretta e convincerla a non abbandonarla.
─Ha paura di essere abbandonata non solo dalla sua ragazza ma anche dalla sua mamma.
─ Non ne ha motivo, conosco mia figlia…una fobia!
─Sì, è fobica e per questo la mando in terapia da uno psicologo.
─Capisco Andrea… dov'è ora il cassonetto?
─Nel giardino nascosto, accanto al nostro, da un telone… lo puoi andare a riprendere se vuoi.

In compagnia di Fido trascino il cassonetto per la piazzola riportandolo al suo posto in un angolo del nostro giardino. Mi pento di aver incolpato gli zingari e gli stranieri del vicinato. Aveva ragione mia moglie.
Dalla porta a vetri intravedo Elena e Claretta che si fanno il solletico ridendo e dimenandosi sul divano.
Non sapranno mai la verità del cassonetto, neanche sotto tortura del solletico.


Sono seduto sulla poltrona girevole davanti al computer nel mio ufficio dell’ Agenzia Immobiliare Deluxe & Co. La mia segretaria mi ha appena consegnato delle carte riguardanti un appartamento in centro con terrazza e vista panoramica in vendita. Stefania, che è una moretta dal corpo esile che non disdegna di mettere in mostra a tutte le buone occasioni, è appena uscita dalla stanza senza che io le avessi solleticato i fianchi, come faccio di solito quando mi sembra d’intuire che lei possa apprezzare questa forma di contatto fisico che di norma, sul posto di lavoro, è considerata inappropriata. Ma tra me e Stefania si è ormai creato un felling che non è fatto di parole o frasi ma solo di solletico: quando mi è vicina e mentre mi porge dei fogli, io allungo le dita della mano sinistra e le faccio percorrere velocemente il suo fianco sempre sopra la maglietta che lei indossa aderente così da renderle inconsapevolmente più sensibile la pelle. L’altro giorno le avevo chiesto di chiudere le tapparelle della finestra. Lei aveva alzato le braccia in alto, stirando il corpo e mostrando così i seni piccoli dai capezzoli irsuti sotto la maglia e due aloni di sudore sotto le ascelle; diciamo dei tondini più scuri del coloro blu dell’indumento. Le dita delle miei mani si erano mosse sui suoi fianchi, lentamente. Lei non aveva opposto resistenza, anche se mugolava tra sé manifestandomi così di patire il solletico. Le mia dite, l’indice e il medio, avevano raggiunto presto le ascelle. Stefania aveva abbassato le braccia di colpo facendo calare la tapparella. Mi aveva guardato con un sguardo tipico di chi ti dice: terribile il solletico… ma vorrei provarlo ancora una volta, due, tre….

Ora Stefania non c’è nella mia stanza e io posso proseguire a guardare la chat in diretta di quel sito della masturbazione online, dove la webcam entra nelle case della gente di tutto il mondo, di tutti i ceti sociali e di tutte le età. Una rivoluzione tecnologica e virtuale, anche nel settore della pornografia, compreso il tickling, che è stato annoverato in questo genere volgare e lucrativo del sesso a cui secondo me non appartiene. Ma voilà. Ormai viviamo nel così detto Globalvillage, il mondo postmoderno globalizzato. Bisogna abituarsi e camminare a pari passo con i tempi che corrono. No?
Con il mouse clicco via una seduta di fellatio di una coppia di giovani australiani. Mentre sto cercando nella home pagina sedute di solletico in diretta, mi fermo di colpo.
Eh? Dico a voce alta, ma so di essere solo nella stanza.
Lucilla? Clicco sul video. Si apre.
E’ lei, la figlia della mia vicina di casa, Andrea (mister ess dell’BDSM casalingo). E’ nuda. Il suo corpo è magrolino dalla pelle abbronzata, i seni vigorosi dai capezzoli turgidi e i capelli neri e lunghi. E’ ai piedi di un letto a una piazza che riconosco come quello di mia figlia. Su di esso è distesa prona una ragazza dal corpo esile e la pelle bianca come il latte. Ha i piedi legati alla spalliera e le gambe divaricate. Le braccia a croce strette da due foulard. Le natiche sono formose, mentre la vita è sottile. I capelli rossi e lunghi le ricoprono le spalle. Sotto un’ascella (che intravedo sullo schermo) noto una peluria rosso malpelo.
Claretta?! Dico a voce alta. Vorrei che mi mostrasse il viso per esserne certo. Ma Lucilla è lei, l’ho riconosciuta dal primo istante che ho aperto il video.
Mia figlia fa la webgirl? Non è possibile. E infatti, molto probabilmente, non è così, dato che solo una piccola parte delle ragazze che stanno sulle chat erotiche sono professioniste del sesso. Il resto sono fanciulle normali (se così si può dire), studentesse che cercano di arrotondare in un modo piacevole le paghette dei genitori o le borse di studio. Si può guadagnare bene, anche tremila euro al mese se si chatta tutti i giorni e se si è ben conosciuti in rete dalla clientela sparsa per tutto il mondo. La rivoluzione virtuale mediatica, come dicevo prima. Ma nonostante questo, non riesco a mandare giù questo boccone, che forse è amaro solo nella mia testa di padre apprensivo, mentre potrebbe essere invece un’esperienza utile alla crescita di mia figlia. Così mi avrebbe sciorinato Elena stasera al mio ritorno a casa. Mia moglie è più antesignana di me sotto certi aspetti e la sua voglia di essere torturata da me la sera nel nostro letto matrimoniale con il solletico, ne è una dimostrazione lampante...
Lucilla tiene tra due dita una piuma. Sfiora lentamente la pelle di Claretta tra le natiche. Mia figlia si scuote con il sedere. Ride con quella vocina che non potrò mai dimenticare per tutto il resto della mia vita. La punta della piuma passa e ripassa tra i glutei. Lei comincia a dimenarsi e a ridere a più non posso.
Non sapevo che Claretta soffrisse il solletico in quella parte del corpo così intima. Ma è logico, dato che in quanto padre non mi sarei mai permesso di toccarla lì. Elena non me lo avrebbe perdonato. Ma ora è la sua fidanzata che se lo consente...
Lucilla ha lasciato cadere la piuma sul letto. E’ montata a cavalcioni su di lei. Con le dita delle due mani ha cominciato a premere sui suoi fianchi.
Claretta ride senza interruzione. Si agita, cercando di mettere alla prova la resistenza dei foulard che la immobilizzano.
Lucilla prosegue imperterrita. Sulle sue labbra regna un sorriso di soddisfazione, tipico di chi ha sopraffatto la sua vittima mettendola sotto il proprio assoluto controllo.

Ma non era sta Lucilla a rubare il cassonetto? Mi chiedo, chiudendo il computer in uno scatto di rivalsa. Andrea me lo aveva confessato sotto tortura l’altro giorno nella sua camera di BDSM. Non può approfittarsi di mia figlia. Lucilla deve essere fermata. In un modo o in altro. Sua madre non se ne occupa, mi pare di aver capito ed Elena non ne sa nulla del furto del cassonetto, proprio perché decisi di non dirglielo. Ma ora devo risolvere questo problema, in quanto si tratta della mia famiglia e non di quella di Andrea di cui inoltre non so neanche chi sia il suo partner, un uomo una donna o una 'provetta'?!
Una ragazzina di appena di diciotto anni non può distruggerla così dal nulla, solo perché piace torturare la fidanzatina con il solletico fino a farla schiattare. E poi? Se dovesse accadere? conoscendo il livello di sopportazione di mia figlia? Io ne sarei l’unico responsabile. Sì, Stefano di Bella, l’agente immobiliare della Delux & Co.

─Stefania…─ dico io uscendo dal mio ufficio con la ventiquattrore che non contiene fogli vari, carta e penna, ma l’attrezzatura completa per la tortura di solletico ( la mia segretaria non lo può sapere).
─Sì, capo?!─ mi risponde lei seduta dietro la sua scrivania.
─Vado all'attico con terrazza… se mi cerca qualcuno pensaci tu…─ chiarisco passandole accanto e toccandole con una mano di sfuggita i fianchi.
Stefania sobbalza sulla sedia e mi lancia un sorriso compiacente. ─Non si preoccupi, capo…

Suono il campanello come avevo fatto l’altro giorno andando a riprendermi il cassonetto. Aspetto un paio di secondi e poi la porta si apre. Andrea appare sull'uscio vestita con una vestaglia cinese disegnata di draghi e serpenti colorati. La sua capigliatura bionda è spettinata. Mi sorride dopo avermi riconosciuto.
─Stefano…
─Posso entrare… ti devo parlare?!
Andrea si fa da parte e io m’introduco nell'appartamento. La seguo nel soggiorno. Ci sediamo sul divano di pelle scamosciato. Poso la ventiquattrore acanto a me.
─Vieni dall'ufficio?─ mi chiede Andrea indicandomi la mia borsa.
─Sì…─ le rispondo senza svelarle che cosa contiene.
─Di che cosa volevi parlarmi … per il cassonetto abbiamo risolto, no?─ mi chiede sorridendo maliziosamente.
─Sì, per quello sì… ma c’è un’altra cosa che non mi va giù…
─E sarebbe?
─Tua figlia.
─Lucilla, ancora lei.. che ha combinato ora?
Impacciato cerco di allargarmi il nodo della cravatta e comincio a sudare.─Lucilla ha sorpassato ogni limite…
─Ma come?
─Con la sua fisima di torturare mia figlia con il solletico…
Andrea si mette a ridere mostrando la dentatura bianca e splendente, che non può essere altro che una dentiera. ─Ma non ti piaceva anche a te Stefano… che c’è di male… le due innamorate si divertono…
─C’è, c’è, Andrea… Claretta lo soffre da morire, letteralmente parlando… ho paura che ci rimanga sotto il solletico di tua figlia… Claretta soffre di asma!
Andrea si mette a pensare con un’aria più seria e senza ridere. ─A dire il vero Lucilla sta esagerando… specie con chi soffre di asma.
─Ah, te ne sei accorta anche tu? Finalmente…
─L’altro giorno, prima della storia del cassonetto… Lucilla mi ha raccontato per filo e per segno come avevano fatto il solletico a Claretta nel bar della facoltà…
─Chi e come? Non ne so nulla, raccontami.. a giurisprudenza?
─Sì… mentre Claretta e Lucilla si erano sedute a un tavolino in un angolo appartato per bersi un’aranciata, come al solito nella pausa della lezione… tre studenti si erano accomodati intorno a Claretta…
─E poi? Erano maschi o femmine?
─Maschi… nel bar c’erano anche dei professori che si degustano il loro caffè… Claretta era circondata e non poteva né ridere e né dimenarsi mentre veniva solleticata dai tre studenti..
─E Lucilla?
─Assisteva, godendosi la scena dell’amata che viene solleticata da estranei e pure maschi..
Segue un attimo di silenzio
─Lucilla ha bisogno di una bella lezione …
─Sono d’accordo con te Stefano…intanto uno dei ragazzi aveva infilato una mano sotto la maglietta di Claretta e muoveva le dita sui fianchi… l’altro aveva introdotto le dita nella manica dell’indumento e aveva raggiunto l’ascella destra… il terzo invece le aveva sfilato una scarpa da ginnastica e anche il calzino e le solleticava la pianta dei piedi…
─Figurarsi lei…
─Non poteva né ridere e né muoversi troppo vistosamente in quanto i professori erano nella stessa stanza…
─E per quanto tempo l’hanno torturata…?
─Per venti minuti di seguito… mi diceva Lucilla.

Andrea, ormai convinta della colpevolezza della figlia e non solo nel furto del cassonetto ma anche nei maltrattamenti della fidanzatina, ha appena concordato con me di impartire una lezione educativa a Lucilla. Le ha telefonato al suo cellulare, dopo che io l’avevo informata che a quell'ora Lucilla si trovava a casa di Claretta a riprendere con la webcam le sedute di solletico per il vasto pubblico della rete.
Andrea si era irritata parecchio dopo avere saputo quell'altra bricconata di sua figlia. Vieni subito a casa che dobbiamo parlare seriamente… da sola! Le aveva intimato al telefono.

Dopo un quarto ‘ora io e Andrea sentiamo la porta d’ingresso rinchiudersi. Una ragazza magra, dai movimenti eleganti, vestita con un paio di short, una maglietta azzurra corta tanto da mostrare i seni prominenti e l’ombelico nudo e un paio d’infradito ai piedi, s’introduce nel soggiorno. La pelle è abbronzata sia quella del viso carino che del corpo. I capelli neri sono lunghi e lisci e le ricadono sulle spalle nude.
─Mi volevi vedere, mamma?─ dice Lucilla con una voce leggermente roca. ─Stefano?!
─Sì, abbiamo parlato di te e Claretta… ora seguimi!─ le intima sua madre facendole segno d’incamminarsi in quel corridoio stretto che porta alla camera BDSM, arredata con le attrezzature più all'avanguardia delle pratiche sado masochiste tra cui il tickling.
Impugnando la mia ventiquattrore le seguo. Non posso negare a me stesso di essere molto nervoso ed eccitato per quello che dovrà avvenire in quella camera delle torture tra non molto.

─La leghiamo?─ mi chiede Andrea che nel frattempo si è tolta la vestaglia e rimane completamente nuda.
─Sì... a quella sbarra al centro, sotto la lampada al neon…─ le rispondo dopo essermi tolto la giacca rimanendo così in camicia. Apro la ventiquattrore e prendo una benda e una piuma Ho le ascelle pezzate e anche Andrea se ne accorge, mentre avvicina la figlia ormai denudata sotto la sbarra di metallo. Le alza un braccio e richiude il polso nel ferma polso e esegue la stessa procedura con l’altro braccio.
Mi avvicino con l’intenzione di bendarla e sento l’odore acre di sudore (un misto di cipolle rosolate e fragranza profumata di deodorante) provenire dalle sue ascelle esposte alla luce calda della lampada al neon. Gocce di sudore appaiono sulla pelle ben depilata. Andrea le stringe le caviglie ai lati dell’altra sbarra situata in basso. Lucilla è li, aperta a croce, davanti a me e Andrea, con i seni quasi cadenti per la loro grandezza senza reggiseno ma dai capezzoli irti e scuri dalle aureole rosa. Qualche rivolo di sudore appare tra i seni.
─Che mi volete fare?─ chiede Lucilla con la voce dal tono roco e ora tremolante. La spavalderia manifestata con mia figlia è sparita in un paio di minuti.
─Quella cosa che a te piace fare alla figlia di Stefano…─ le risponde la madre sorridendo cinicamente e impugnando una piuma di gabbiano di quelle lunghe e toste.
─No… il solletico… no vi prego…─implora Lucilla trasformatasi in un batti baleno una agnellino pronto al macello ( al solletico per gli animalisti)
Andrea mi passa la piuma. Con due dita della mano destra la stringo ferma e in alto al livello degli occhi bendati di Lucilla. Con la punta mi avvicino all'orecchio destro mentre Andrea le toglie un ciuffo moro di capelli così da denudarlo. Le sfioro il lobo e Lucilla sospira scuotendo veloce il capo a destra e a sinistra. Prosegue a stuzzicarle l’orecchio dentro e dietro. Lucilla mugola. Faccio scendere la piuma al collo, sotto il mento le sfioro la pelle umida. Lei abbassa la testa per impedire che la piuma continui a solleticarla. Scendo in basso raggiungendo l'altezza dei seni nudi. Con la punta le sfioro il capezzolo del seno di sinistra. Lucilla emette un sospiro di piacere. Mi soffermo a quel seno intorno al capezzolo in basso a sinistra e poi comincio a risalire…
─ Noo… ti prego… non resisto…─ implora Lucilla mentre la madre ridacchia sadicamente.
La punta della piuma sfiora la pelle umida dell’ascella sudata, depilata; si sofferma al centro disegnando dei circoli così da far impazzire Lucilla che urla..─No… l’ascella… non lo sopporto…
Ma la piuma ora sale e scende in quella parte del corpo di una donna che altro non è che un’imitazione in bella copia dell’organo genitale femminile.
Mi fermo e lascio respirare la mia vittima. Lucilla comincia a sudare vistosamente. Nel frattempo Andrea si avvicina e si mette dinanzi alla figlia. Allunga le due mani ai lati dei fianchi e con le dita comincia a solleticarla velocemente. Sembrano degli insetti che vanno e vengono sulla pelle.
Lucilla si dimena a destra e a sinistra quasi in convulsioni, alza e abbassa la testa. Inoltre non può vedere nulla a causa della benda ma solo sentire il formicolio sulla pelle di tutto il suo corpo.
─Basta… Basta… mamma, non ce la faccio più…
Andrea ascolta la sua supplica e si ferma ma per un attimo.
Io mi abbasso sulle ginocchia e con le dita delle mani comincio a farle il solletico sotto il piede destro. Lucilla impazzisce. Si agita ma invano in quanto le legature sono solide, come quelle di un centro professionale di BDSM. Anche Andrea ricomincia a farle il solletico sul resto del corpo con le unghie lunghe sussurrandole a un orecchio ─La smetterai di torturare Claretta?
─Sì te lo prometto… basta!
─Dillo anche a Stefano…
─Sì, sì… no farò mai più il solletico a tua figlia, te lo prometto…

Io e Andrea, dopo questa sua dichiarazione sincera la sleghiamo. Lucilla va in bagno a farsi una doccia e poi scende in soggiorno dove nel frattempo sono arrivate anche Elena e nostra figlia Claretta che non sanno nulla di quello che è avvenuto in quella casa dei vicini.
Andrea ha ordinato delle pizze e mi chiede di aprire una bottiglia di vino rosso.
Claretta e Lucilla si scambiano sorrisi d’affetto d’amore con la promessa di non solleticarsi mai più.
Io ed Elena invece, non ci pensiamo nemmeno e a quanto pare neanche Andrea che ci sorride maliziosamente mentre sorseggia del buon vino dal suo bicchiere...
 
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