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La compagna di banco

Hellbow

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Nov 24, 2013
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Sara. Sara l'avrà vista ridere un milione di volte, da che la conosceva. Alle battute dei compagni, ai doppi sensi delle frasette su Facebook, alle uscite d'un tratto poco professionali di professori in giacca e cravatta, cui erano tutti troppo abituati ad attribuire in automatico un'immagine di rigore e severità estremi e decisamente esagerati, vuoi per il ruolo, vuoi per lo scarto di età.

Di Sara guardava spesso le foto. Come di altre ragazze, di altre compagne. Ma di lei in particolare. Aveva questo suo pallino per i piedi femminili, pallino che teneva per sé e per nessun altro, e lo affascinava sfogliare gli scatti delle persone, soffermarsi maggiormente su quelli dell'estate. Lui, così timido e curioso, che come nel tentativo di rompere per un po' la sua riservatezza, anche solo per un istante, anche solo per finta, andava alla ricerca di immagini che rubassero quelle piacevoli estremità, quei piedini che per la maggior parte dell'anno se ne stanno ben nascosti dentro le scarpe, che si lasciano solo pensare, fantasticare, facendosi vedere poco o mai. Di lei aveva colto qualche fotografia in spiaggia - giusto un paio in cui si vedevano, appena affiorando dalla sabbia fine, quei piedi così all'apparenza sottili, le dita appena accennate.

Di Sara conosceva la sua sensibilità al solletico. Come per la forma dei suoi piedi, aveva dedotto anch'essa da poche reazioni pubbliche a fugaci contatti coi loro compagni, così giocosi e innocenti. Per un istante, aveva sperato che quelle dita fossero le sue. Ma l'idea che qualcuno potesse cogliere sul suo volto un guizzo di soddisfazione, di piacere, sì, gli incuteva gran timore: aveva paura, in fondo, di non esser capito, di esser deriso o guardato con disgusto per quella che era la sua intimità, la sua natura, e che alla fin fine era qualcosa di semplice, di spontaneo e di innocuo. Che poteva farci lui, si domandava spesso, se fin da piccolo l'atto di fare il solletico a qualcuno gli piaceva, lo entusiasmava, lo divertiva? Che poteva farci se si sentiva attratto dai piedi femminili, se vi si soffermava con lo sguardo, quando magari altri ragazzi avrebbero al suo posto posato gli occhi su un bel seno, o su un fondoschiena? Che male c'era, poi?

Quel giorno, Sara gli si sedette vicino, a lezione. Capitava spesso. Quasi sempre, in effetti, perché erano molto amici. Lei era amica sua, e lui amico suo, e sebbene lui non potesse negare di apprezzare la giovinezza e l'armonia che si affermavano nell'aspetto di lei, non poteva dirsi propriamente attratto. Eppure, avrebbe avuto curiosità di vedere i suoi piedi, di solleticarglieli. Sentiva che se c'era qualcuno che poteva capire il suo stato d'animo, era la sua amica.
La lezione non era delle più tediose, anzi non si poteva certo negare che fosse interessante, ma quel giorno in particolare lui si era fatto distrarre. Sedeva nella seconda fila di banchi (la prima, al solito, era vuota), alla sinistra di lei; lei piegata sugli appunti presi a velocità insostenibile, con la gamba destra accavallata sulla sinistra, la caviglia sul ginocchio. La sua Converse blu, numero di scarpe 39, oscillava nervosamente da quella posizione. Lui sbuffò appena, con discrezione - non voleva certo esser beccato dal docente.

«Quanto manca?» chiese. Lei prese fiato, sollevando il capo dal quaderno e la penna dal foglio, sbirciò il cellulare puntualmente nascosto sotto il banco. «Dai, quaranta minuti...». Il piedino si arrestò. Lui le fece un mezzo sorriso, poi riprese a guardare avanti, verso le slide che scorrevano alle spalle del professore di Storia Medievale, e con nonchalance pizzicò uno dei lacci di quella scarpa Converse-numero-di-scarpe-39, così alla sua portata, così vicina alla sua mano, e tirò, snonandola.

«Daiii!» fece lei sottovoce, divertita. «Sta' a sentire sennò poi vai male all'esame» rispose lui, divertito a sua volta, a sua volta sottovoce. Agguantò, sia pur con delicatezza estrema, la parte posteriore della scarpa, e tirò, sfilandola via dal tallone, che si rivelò coperto da un sottile fantasmino di cotone turchese - il malleolo ed il tendine d'Achille in vista sotto il risvolto del jeans attillato e morbido. «Ma che fai?» fece lei, sempre curandosi di restare al di sotto della soglia dell'udibile. Nello sguardo di Sara non v'era traccia di quello sgomento che lui temeva di leggere nelle espressioni delle persone quando, a volte, fantasticava sul suo "outing". Anzi, sembrava che Sara gradisse il gioco a cui stavano, tutt'e due, giocando. Senza lasciar la presa sulla scarpa, lui allungò appena il medio della stessa mano, ed uncinò il calzino, sfilandoglielo: ora il tallone, liscio e roseo, si mostrava del tutto scoperto. Lei strabuzzò gli occhi, ma sempre sorridendo. Lui sentì un sussulto al cuore, come di un timore che si mescola alla gioia di poter essere, almeno per un po', almeno con qualcuno, naturalmente se stesso. «Seria! Il prof ti guarda...» bisbigliò.

Sara avrebbe potuto ritrarre a quel punto la gamba, ma non lo fece. Lui non si fece scappar l'occasione: prese nella mano sinistra la scarpa ed il calzino e sfilò tutto via, mentre con la destra, come nulla fosse, riprese in mano la penna a sfera e riprese a scarabocchiare il suo quaderno, fingendo di appuntarsi anche le pause del professore. Le sue labbra tremarono leggermente per l'emozione difficilmente contenibile: ora vedeva, con la coda dell'occhio o abbassando di quando in quando lo sguardo, la pianta del suo piede numero-di-scarpe-39 in tutta la sua bellezza. Quelle dita, così piccole e diritte, che tanto si erano celate al suo sguardo scivolando nella sabbia, erano ora lì, nude alla sua vista, sotto la sua mano, alla sua mercé.

Le accarezzò il piedino e lei, che come lui ormai fingeva di prendere appunti, fece un risolino chiaro ma appena percettibile. Le sue spalle si mossero all'insù, dimostrando una sensibilità al solletico a fece vibrare lui. Nessuno, dalla posizione in cui erano e vista la struttura delle file di banchi dell'università, poteva vedere alcun che di ciò che accadeva appena a pochi metri di distanza: tutti, o perché distanti, o perché molto presi dalla lezione o dai singoli passatempi trovati da ciascuno per ammazzar la noia, avevano gli occhi e le orecchie da un'altra parte.

«Che fa', signorina, ride?» chiese lui, scimmiottando compiaciuto la voce del professore, mentre le sue dita pizzicavano piano i polpastrelli delle dita del piede di lei. «Simone, no, dai, dai» replicò lei. «È importante sapersi concentrare in ogni situazione» disse lui con tono affabulatorio e fintamente saccente. Lei sapeva che questa era una sfida, nel gergo della loro amicizia.

Le unghie di lui strisciarono lungo tutta la pianta del piedino di lei, dall'avampiede fino al tallone, come una frotta di disordinati sciatori che slittano sul un manto di neve morbida e appena umida. Lei si mordicchiò il labbro inferiore per nascondere a lui come al professore che una risata, dal di dentro di lei, voleva prorompere con prepotenza; il piedino si agitava ora con frenesia, le dita che si aprivano e poi flettevano e poi si aprivano di nuovo, spinte dallo stress del solletico, senza però che Sara ne volesse sapere di staccar la caviglia dal ginocchio su cui era appoggiata. Forse perché aveva preso a cuore la sfida? Forse perché, in fondo, a lei il solletico piaceva? Queste le domande che scorrevano nella mente di lui.

Continua...
 
Last edited:
Che bella sorpresa!! Stamattina c'è una novità in TMF :)
Ti do il benevenuto su questo forum e ti faccio un applauso per la storia che hai scritto.
L'inizio di questo racconto suona proprio interessante ed ora aspetto con curiosità di vedere come prosegue.
Verdiamo se hai in mente qualche colpo di scena!

:welcome:
 
Non son degno dell'applauso! :)

Ho scelto un tema e improvvisato ciò che mi veniva in mente, tutto qua.

Al "sequel" ci sto già pensando, colpo di scena incluso, ma devo trovare un po' di tempo e di raccoglimento!

(se avete suggerimenti dite pure)

Grazie comunque, e a presto!
 
debutto interessante, leggerò senza dubito anche il seguito. benvenuto!!
 
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