A little story in italian and english, enjoy her torment!
L'aria della palestra era satura di odore ferroso, mescolato asudore e plastica calda. L’ora era tardi—troppo tardi perchiunque non fosse un’ossessionata. Le luci al neon riflettevanosulle superfici lucide degli attrezzi e sulle braccia lucide di lei,la donna che si muoveva fluida come un felino fra una serie el’altra, senza alcun bisogno di motivazione esterna.
Si chiamava Elisa. Trentatré anni, occhi grigi come acciaiolucidato, zigomi alti e scolpiti, mascella stretta da chi mastica ladisciplina ogni giorno da anni. Indossava un top sportivo grigioscuro tagliato appena sopra l’ombelico, il tessuto elasticizzatoincollato alla pelle, messo a dura prova dai movimenti e dal sudore.Le ascelle nude, lisce, tirate da ogni stiramento, brillavano di unaleggera umidità, incorniciate da bicipiti affilati e deltoidicesellati a scalpello. Ogni respiro le gonfiava il torace e sollevavale costole come corde di un’arpa tesa.
Il top lasciava intravedere il margine degli addominali: nonsemplicemente definiti, ma scolpiti come se l’aria stessa nonavesse il diritto di accarezzare la pelle senza scivolare lungoquelle pieghe profonde. Portava leggings neri a vita alta, lucidi,sottili come una seconda pelle, con una sottile striscia grigia checorreva lungo il fianco fino al ginocchio. I piedi, saldamentepiantati su scarpe da training nere e rosse, affondavano nelpavimento gommato con la stabilità di chi ha conquistato ognicentimetro di sé.
Afferrò le impugnature del macchinario per le trazioni al cavo,posizionando le braccia sopra la testa con quella calma precisione dachirurgo. Le scapole si strinsero, tirando la pelle in una V tesalungo la schiena. I tricipiti si contrassero mentre iniziava laserie, e ogni ripetizione era un lento morso contro il limite. Grugnìappena—non per fatica, ma per liberare la tensione crescente, comese contenesse un motore sotto la pelle.
La musica era un battito basso che pulsava dalle casse in alto, maElisa non ci faceva caso. Era sola, o almeno credeva di esserlo. Nonaveva sentito la porta sul retro aprirsi di nuovo dopo il bipelettronico del badge. Non aveva notato lo sguardo che la scrutavadal riflesso incerto dello specchio davanti ai manubri.
Ancora dieci ripetizioni. Otto. Sei. Le braccia ben alzate, igomiti completamente distesi. La posizione perfetta. Il respiromodulato, il diaframma che si comprimeva a ogni trazione. Ogni tantoun rivolo di sudore le scivolava lungo il fianco, sfiorando la pellecome una carezza sottile.
Dietro di lei, silenziosa, un’altra presenza si avvicinava.Scarpe leggere, passo felpato. Un’ombra più piccola, più giovane.Ma ancora invisibile, per ora.
Elisa scese lentamente con l’ultima ripetizione, braccia ancoratese sopra la testa, e si fermò per un momento in quella posa diforza congelata. Non sapeva ancora che quel gesto, quel semplicefermarsi con le braccia sollevate, sarebbe stato l’inizio del suopiccolo, contorto inferno personale.
Il peso stava ancora sospeso, immobile, tirando le spalle di Elisaverso l’alto. I muscoli delle braccia vibravano lievemente sotto latensione, ma lei non mollava. C’era qualcosa in quella faticaverticale che la faceva sentire viva, padrona del proprio corpo. Comese ogni secondo in quella posizione non fosse un cedimento, ma untrionfo. Il tempo si dilatava nel silenzio della sala.
Poi, un suono. Leggero. Un click.
Non proveniva dalle macchine. Non era elettronico. Era il click diqualcosa di meccanico. Qualcosa vicino.
Le sopracciglia si aggrottarono, ma non disse nulla. Solo unattimo dopo sentì un movimento alle sue spalle—rapido, piccolo, mapreciso. Il tipo di movimento che solo chi conosce quel posto puòfare, perché chi non lo conosce inciampa, si muove impacciato. Elisanon si voltò. Non poteva voltarsi. Le braccia ancora in alto, ipolsi stretti attorno alle impugnature del macchinario, la presasalda.
Poi, come un coltello sottile tra le vertebre, la voce.
«Non mollare ancora.»
Una voce femminile. Giovane. Un sussurro basso, quasi gentile, macarico di qualcosa. Malizia, forse. O semplicemente voglia digiocare.
Elisa si irrigidì. Lo sguardo si spostò di lato, cercando ilriflesso nello specchio davanti. E lo trovò.
La ragazza era lì. Minuta ma compatta, un corpo da ginnasta,snodato, letale. Indossava pantaloncini cortissimi e una canottierache lasciava scoperta la pancia piatta, il seno contenuto ma rotondoincorniciato da un top sportivo azzurro. I capelli raccolti in unochignon spettinato. E negli occhi, qualcosa di strano. Non paura. Nonrispetto. Qualcosa che assomigliava a desiderio mascherato da sfida.
«Tu sei…?» Elisa ruppe il silenzio, senza voltarsi. La voceferma. Il tono basso, senza inchini.
La ragazza fece due passi avanti, poi altri due. Ora era dietro dilei. Vicinissima. Elisa sentiva il calore del suo corpo irradiarsi.Sentiva anche l’odore: dolce, un po’ fruttato. Mela verde, oforse pesca.
«Mi chiamo Lara. Sono nuova. Ho visto il tuo programma diallenamento sulla lavagna…» sussurrò, come se confidasse unsegreto. «Mi chiedevo quanto resisti davvero.»
Elisa fece un mezzo sorriso, ma non si fidò. «E questo cosadovrebbe significare?»
Click.
Un secondo rumore, stavolta distinto. Elisa abbassò subito losguardo, e vide qualcosa—una fascetta, una cinghia innylon—avvolgersi attorno al polso sinistro. E poi un’altra suldestro. Aveva lasciato le mani chiuse attorno alle impugnature delcavo, e ora le due strisce di tessuto si erano chiuse serrate attornoai polsi, ancorandole le braccia al macchinario.
Il cuore accelerò. Un riflesso nervoso la spinse a strattonarsi,ma le fascette non cedevano. Tirò, forte, ruotando le spalle perliberarsi, ma le braccia rimasero tese sopra la testa, vulnerabili,esposte.
«Ehi!» ringhiò, il tono brusco, rabbioso.
Lara non si allontanò. Anzi, appoggiò delicatamente una mano sulfianco nudo di Elisa, proprio dove il top terminava e iniziava lacurva dell’anca. Un tocco leggerissimo. Ma bastò per trasformareil sangue di Elisa in ghiaccio.
«Shh. Non è pericoloso. È solo un esperimento…» La voce diLara ora era sottile, insinuante. «Niente che tu non possa fermare.Basta dire la parola giusta.»
«E quale sarebbe?» chiese Elisa, il tono ancora duro, maincrespato da un dubbio sottile.
«Vedremo se la troverai.»
La ragazza le girò attorno con la lentezza di una creatura che sigusta il momento. Ogni passo era misurato, teatrale. Ora Elisa potevavederla in pieno. Gli occhi castani di Lara scintillavano, fissi sudi lei con l'intensità di un predatore che ha finalmenteintrappolato la preda, ma non ha alcuna fretta di sbranarla. Ilsorriso sulle labbra era troppo dolce per essere sincero.
Elisa tirò di nuovo i polsi, ruotando i gomiti, cercando diliberarsi. Ma nulla. Bloccata. E quella posizione—con le bracciatese sopra la testa, il petto aperto, le ascelle completamenteesposte—non le dava alcun vantaggio. Anzi. La lasciava… esposta.Vulnerabile.
«Questo non è divertente.»
«Per me lo è già tantissimo.»
Lara si avvicinò ancora. Ora le era davanti. Gli occhi bassi, latesta inclinata, come se stesse studiando un’opera d’arte. Ilrespiro lento. Lo sguardo vagava tra il profilo duro dei muscoliaddominali, il seno compresso nel top aderente, e poi… le ascellenude, tese, perfettamente lisce e vulnerabili.
Il sorriso di Lara si fece più marcato. E rimase lì, immobile, apochi centimetri dal corpo intrappolato di Elisa. Il silenzio eradiventato pesante come piombo. Non un suono, solo il respiro semprepiù irregolare della donna più grande, e il fruscio lieve deltessuto sportivo che si tendeva con ogni sussulto.
«Ti sei mai chiesta quanto può essere sensibile una parte deltuo corpo… anche quando sei dura come una roccia?»
La domanda rimase sospesa nell’aria, densa come vapore.
Elisa non rispose.
Ma il modo in cui le sue dita si flettevano, la leggera torsionedei fianchi, il lieve fremito sotto la pelle… dicevano tutto.
Lara non parlò. Il silenzio, adesso, era un’arma. Si chinòappena, sollevando la mano destra, le dita distese, lente, come seavesse tutto il tempo del mondo. Elisa serrò la mascella, il colloteso, lo sguardo fisso davanti a sé. Ma le spalle tremaronoleggermente, impercettibilmente.
E poi, il tocco.
Un solo dito. L’indice. Tracciò una linea lenta e precisa, dalcentro dell’ascella destra verso l’esterno, seguendo la curvanaturale della pelle liscia. Un contatto quasi impalpabile, come unapiuma, come un sussurro che non osa ancora trasformarsi in voce.
Elisa trasalì. Il busto si contrasse, i muscoli delle braccia sitesero fino a far pulsare i bicipiti. Un’espressionefugace—sorpresa, fastidio, qualcosa di più profondo—le passòsul volto.
«Tsk… già così?»
Lara sorrise, leccandosi appena il labbro inferiore. Tornòindietro con lo stesso dito, stavolta sfiorando la pelle conl’unghia, sottilissima, come una lama di vetro temperato. Elisascosse la testa, gli occhi stretti, trattenendo il respiro.
«Non è niente…» mormorò. Ma la sua voce era roca. E leanche, senza volerlo, si mossero.
«Davvero?» sussurrò Lara, con una nota di finta innocenza.«Perché sembri piuttosto… sensibile.»
Poi, senza preavviso, entrambe le mani scattarono in avanti.
Le dita di Lara si immersero nelle ascelle tese di Elisa conprecisione chirurgica. Dieci dita danzanti, leggere ma rapide,cominciarono a vibrare come zampe di un ragno impazzito, graffiandola pelle liscia con movimenti alternati, a tratti lineari, a tratticircolari. Solletico puro. Crudele. Spietato.
Elisa urlò.
«Ah—no, cazzo—!» si contorse istintivamente, cercando dichiudere le braccia, di difendersi, ma nulla si mosse. Le cinghie letenevano i polsi bloccati in alto. Ogni contrazione dei muscoli nonfaceva che accentuare la tensione, e ogni respiro diventava unarisata strozzata.
«Smettila!» gridò, tra un respiro e l’altro, la voce spezzatada brevi singhiozzi di risa incontrollate. «Lara, ti giuro—tifaccio a pezzi—»
«Oh, sì. Violentissima. Ma quanto resisti, mmh?»
Le mani di Lara si mossero con più precisione, cercando i puntipiù sensibili. L’interno delle ascelle, appena sotto il muscolopettorale. La linea del deltoide. I nervi superficiali che siagitavano sotto la pelle ogni volta che sfiorava troppo vicinoall’attaccatura del seno.
Elisa rideva. Incredula. Furiosa.
Ma rideva.
Una risata piena, quasi bestiale, che cercava di soffocaremordendosi il labbro ma che esplodeva ugualmente, scavalcando ognibarriera. Il corpo si contorceva in una danza disperata, ma lebraccia restavano serrate in alto, tirando la pelle ancora di più,esponendo ogni centimetro, ogni minuscolo punto sensibile.
«Mi fai impazzire, guarda come ti dimeni…» sussurrò Lara,chinandosi per osservare da vicino il tremolio della pelle sotto isuoi polpastrelli. «E dire che sembri così dura, così incontrollo…»
«Fottiti!» urlò Elisa, le lacrime agli occhi, la fronte madidadi sudore. «Non—non è divertente—hahaha—stronza!»
Lara rise anche lei, bassa e cattiva. Ma non si fermò. Alcontrario, iniziò a variare i movimenti. Dita che grattavano, poiimprovvisamente si fermavano, lasciando Elisa ansimante, con imuscoli tesi nel silenzio, in attesa… solo per poi ripartireall’improvviso con un attacco più violento, più mirato.
La ragazza si fece più audace. Si avvicinò tanto che il seno lesfiorò quasi il fianco sudato di Elisa. Passò la lingua sullelabbra, eccitata dal potere, dalla reazione. Elisa stava scoppiando.
Le risate si mischiavano ai grugniti, alla rabbia eall’umiliazione.
Una guerriera, ridotta a una preda. Intrappolata, impotente,torturata con il più sottile degli strumenti: il tocco.
«Posso andare avanti per ore, sai?» mormorò Lara, orarallentando per un istante, facendo scivolare i polpastrelli conestrema lentezza. «O magari passo alla pancia, alle costole…chissà dove sei più sensibile.»
«Vaffanculo!»
«Oh sì, proprio lì. Tesa, nuda, indifesa… una vera roccia. Maanche la pietra può ridere.»
E il tormento continuò.
«Hhhahahahaha—NNO! No no no NO! Basta, BASTA!»
La voce diElisa esplose come un tuono, squarciando la quiete artificiale dellapalestra vuota. Ma era una voce rotta, screpolata dalla fatica edalla disperazione, un urlo straziato che si mescolava con un fiumeinarrestabile di risate selvagge e convulse. Il volto paonazzo, icapelli incollati alla fronte madida, il busto che si torceva come unserpente impazzito sotto la tensione.
Le dita di Lara non davano tregua.
Dieci artigli sottili si insinuavano incessanti nelle ascelle tesedi Elisa, scavando risate dal profondo, scavando follia. Non era piùsolletico. Era una forma di controllo primitivo, una tortura cheignorava la forza, ignorava l’orgoglio. Ogni movimento di quellemani veloci era uno schiaffo al suo dominio, ogni colpo ai nerviscoperti le strappava un altro pezzo di resistenza.
«Hahahaha—Fermatiiihh—Lara, ti giuro che—chehahahHAHAAAH—»
Lavoce si spezzava, si frantumava in risate gutturali, ansiti violenti,gemiti impastati d’aria e disperazione.
«Shh… ma che urli a fare, mmh?» sussurrò Lara con tonozuccherino, inclinando la testa come se stesse parlando a una bambinacapricciosa. Il suo respiro era calmo, quasi freddo. Le sue dita,però, erano il contrario: febbrili, maliziose, scatenate. «Non c’ènessuno qui, ricordi? Solo io… e le tue ascelle.»
Poi abbassò la voce, alitandole contro l’orecchio.
«Così...vulnerabili. Così… perfette.»
E di nuovo. Una raffica. Le dita si lanciarono in una danzaimpazzita, scavando con rapidissimi colpetti proprio nella concadell’ascella sinistra, mentre la destra veniva presa da piccoligrattini concentrici, intorno al nervo ascellare, dove la pelle erapiù sottile, più viva, più fragile.
Elisa urlò. Ma non di rabbia, ora.
Era un urlo puro,incontaminato, primordiale.
«NOOOO-hahahaaa—BASTAAHHHH! Non ce la faccio—NON CE LA FACCIOPIUUUUHH—»
Le gambe si muovevano a scatti incontrollabili, i quadricipititirati al massimo, ma inutili. Le ginocchia si piegavano, cercandoistintivamente di farla crollare, di sfuggire, di proteggersi… mail peso delle braccia bloccate le imponeva di restare in piedi,esposta, tesa. Un manichino di carne. Un bersaglio.
Le lacrime le rigavano il viso.
Sudore e saliva le colavano sulmento.
E rideva. Rideva così forte da non riuscire più aparlare, da non distinguere le parole dalle risate, da non sapere piùse stesse ridendo o urlando o implorando.
Lara si morse il labbro inferiore, lo sguardo pieno di unasoddisfazione morbosa.
«Oh Dio… ti vedessi. Sei una visione, Eli.»
Le diede unaltro colpetto nella cavità dell’ascella, con due dita piegate agranchio.
«La dura, la tosta, la guerriera… che implora perchéqualcuno le smetta di fare…»
Le dita fecero un altro ticchettioritmico e crudele,
«…così.»
Elisa fece un suono spezzato, un rantolo intriso di risate, comese stesse affogando nel proprio stesso respiro.
«Smetti, SMETTIIIII—smetti ti prego, ti prego—»
Le sueparole finalmente cominciavano a suonare diverse.
Non piùminacce.
Non più insulti.
Ma suppliche.
Vere.
«Non ne posso più… non ne posso più…!»
Il fianco le sicontrasse. Il busto si contorceva verso destra, poi verso sinistra,senza controllo. Le ginocchia sbattevano fra loro, la schienaarcuata, la bocca spalancata in una risata muta che sembrava più unsinghiozzo isterico.
Lara si avvicinò, quasi incollandosi al corpo tremante di Elisa.Passò lentamente la lingua sulla guancia bagnata di sudore, senzafretta, godendosi il sale e la disperazione.
«Oh, ma certo che puoi…» mormorò.
Poi le diede un’altrastoccata precisa, proprio al centro dell’ascella sinistra.
«…puoiresistere ancora un po'.»
E riprese.
Più decisa.
Più profonda.
Con entrambe le mani immerse fino ai polsi nelle ascelle delladonna intrappolata, le dita si piegarono come lame flessibili,scavando, tormentando, premendo, pizzicando ogni millimetro di pelleesposta.
E lì, in quel momento, il corpo di Elisa sembrò spezzarsi.
Non solo rideva. Non solo urlava.
Ora tremava.
Scossa.
Prosciugata.
Fragile.
Eppure ancora lì.
Ancora bloccata.
Ancora soggetta altormento.
Il corpo di Elisa era un relitto di muscoli contratti e risatedevastate. Le braccia sempre tirate in alto, le ascelle arrossate, lapelle lucida di sudore, e il petto che si sollevava a scatti, come sestesse cercando aria in un oceano di solletico.
Lara la guardava come si guarda un’opera d’arte spezzata, conocchi spalancati di piacere e labbra umide di malizia. Si leccò undito. Poi un altro. Come per pulirli. O per assaporare. Poi,lentamente, lasciò scivolare le mani lungo i fianchi di Elisa,scendendo oltre le costole, le dita ancora vibranti di quella vogliadi tortura leggera, quel bisogno infantile e crudele.
Elisa annaspava, la testa piegata all’indietro, i capelli ormaimadidi appiccicati alla nuca. Le gambe tremavano, ma la posizione laobbligava a rimanere eretta, le braccia sempre tese sopra la testa.Ogni respiro era una lotta. Ogni secondo, una condanna.
E le mani di Lara scesero ancora.
Le dita scivolarono sui fianchi, rallentando… accarezzando…fino a quando l’indice destro si posò, lieve, proprio sopral’ombelico.
Quel punto.
Quella piccola cavità incastonata nel ventre duro e teso come unapietra. L’addome di Elisa sembrava scolpito da un dio ossessionatodalla perfezione, ogni linea definita come su una statua greca, mal’ombelico… l’ombelico era una piccola fossa vulnerabile,profonda, sensibile, un invito involontario alla violazione.
Lara ci fece roteare il dito lentamente, tracciando cerchiconcentrici intorno al bordo, senza mai toccare direttamente ilcentro. Elisa irrigidì tutto il corpo. Il ventre si contrasse, e ilrespiro le si bloccò in gola.
«Oooh…» sussurrò Lara, col sorriso di una ladra che hatrovato il tesoro nascosto. «Cos’è questo, eh?»
Poi, il dito affondò. Un colpetto, secco, preciso, proprio alcentro dell’ombelico.
E l’urlo esplose.
«AAAAAAHHHHHHHHAHAHAHAHAHAAAAAA!!»
Un suono animalesco, disumano, primordiale. Elisa non aveva piùcontrollo. Il suo addome si piegò, i muscoli si contrassero inun’impennata spasmodica, le gambe si piegarono sotto il colpo, male braccia bloccate la inchiodarono lì, inarcata, esposta, indifesa.Le risate divennero singhiozzi, le parole si disintegrarono.
«NO! NO NO LARA TI PREGO—NON L’OMBELICO—NON LÌ, NONLÌ—HAHAHAHAAAAH!»
Ma Lara era già oltre.
Affondò due dita dentro la cavità con movimenti rapidi,rotatori, scavando, esplorando. Il suo viso era rapito, come sestesse suonando uno strumento musicale e avesse appena trovato lanota perfetta.
Elisa contorceva il busto, lo stomaco a scatti, la schiena tirata,ma non poteva fare nulla. Le dita sembravano infilarsi nel suosistema nervoso, risucchiando ogni sua forza, ogni suo scudo.
«Dio santo… sei completamente pazza qui sotto, eh?» Larasussurrava con la voce rotta dall’eccitazione. «Così dura fuori,ma l’ombelico… è la tua criptonite, vero?»
Grattò con l’unghia la parte interna.
Un’altra esplosione.
«AAAAAAHHHhhahahAHAHHHhhhhhNOOOOOHMAAADONN—NON—CE—LA—FAAAACCIHHHHOOOO!!»
Elisa ora rideva in un registro diverso. Alto. Strozzato. In unatonalità disperata, quasi erotica. Le lacrime le rigavano le guancein rivoli sottili, il petto si gonfiava e si svuotava come se stessepartorendo la follia. L’ombelico sembrava pulsare, vivo, reattivo aogni minimo sfioro.
Lara appoggiò il palmo sull’addome teso, premendo leggermentementre con il pollice continuava a tormentare il punto debole conprecisione chirurgica.
«Scommetto che nessuno ti ha mai solleticato qui, eh?»
Unaltro colpetto circolare.
Elisa si piegò in due, tirata indietrosolo dai polsi.
«E adesso guarda come ti pieghi. Guarda come urli.»
La ragazza si abbassò, inginocchiandosi davanti al ventre ormaistravolto di Elisa, e premette la lingua contro il bordodell’ombelico.
Un colpo.
Umido.
Lento.
La reazione fu devastante.
Elisa lanciò un grido che sembrava un orgasmo misto a panico.
«AAAHHHHAAAH NON LA LINGUA—NON CI METTERE LALINGUAAAHAHAHAHAHAAAH—!!»
E Lara obbedì… solo per un secondo.
Poi affondò di nuovo.
La punta della lingua roteava dentro quella fossa sensibile mentrele mani afferravano i fianchi di Elisa per impedirle di muoversitroppo. Il contatto era carnale, intimo, osceno nella sua innocenza.Ma per Elisa era tortura. Totale.
Rideva. Piangeva. Implorava.
Si rompeva.
Punto dopopunto.
Respiro dopo respiro.
E l’ombelico restava lì. Il suo tallone d’Achille.
E Lara… aveva appena cominciato a giocarci.
La lingua di Lara si fece più feroce. Non più solo esploratrice,ma vera e propria arma. Una piccola spada viva e bagnata cheaffondava e roteava nel pozzo delicatissimo dell’ombelico di Elisacon un’intenzione cruda, precisa, sadica.
«AAAAAAHHH—AHHAHAHAHAHAAAH! L-LARAAA BASTA! BASTAAAAA NON LALINGUA—AAHHHH!»
Elisa urlava, rideva, rantolava, sbavava paroleche si fondevano a gemiti di puro terrore sensoriale. Il busto ormaisi muoveva a scatti convulsi, le gambe battevano come se cercasserodisperatamente un appoggio, ma ogni scatto la lasciava nella stessaposa crudele: braccia tirate in alto, ventre completamente esposto,l’ombelico sotto attacco diretto.
Lara era inginocchiata davanti a lei come una devota perversa, lemani strette ai fianchi scolpiti della donna, le dita che lasciavanoleggere impronte rosse nella pelle calda, e il volto sepolto nelladepressione umida del suo addome.
Ogni colpo di lingua era un affondo—un duello contro la volontàdi Elisa.
Roteava dentro il buco come una punta d’acciaioincandescente, vibrava in cerchi veloci, poi affondava al centro, poiusciva con uno schiocco umido per tornare subito dopo con una rafficadi leccate strette e ritmate.
Slurp. Slirp. Schlick.
Rumori osceni, bagnati, amplificati dalsilenzio irreale della palestra.
Elisa si dimenava come posseduta.
«AHHHHHH—NON CE LA FACCIO PIÙ—MI STAIDISTRUGGENDO—HAHAHAHAHAHAH!!!»
Ogni fibra dei suoi addominali era in fiamme. I muscoli sicontorcevano in spasmi disordinati. Il ventre ormai era diventato uncampo di battaglia, lucido di sudore, le vene in rilievo, e in mezzoquell’ombelico… in apparenza così piccolo, ma in realtà ilcentro nevralgico della sua rovina.
Lara alzò lo sguardo, gli occhi iniettati di piacere crudele.
Ilsuo viso era lucido, bagnato. Il respiro accelerato.
«Oh Eli…non puoi immaginare quanto mi diverta questo.
Il tuo corpo cosìforte… ma il tuo ombelico? Così fragile… così adorabile…»
Espinse di nuovo la lingua, veloce, come un colpo di frusta dentro lafossa sensibile.
Elisa piegò la schiena indietro e urlò.
Non una risata.
Unvero e proprio ruggito straziato.
Animalesco.
Bestiale.
«AAAAAAHHHHHHHAHAHAHAAA MI STAI FACENDO IMPAZZIRE!!!»
Il suo corpo ormai sfiorava il collasso.
Le gambe non lareggevano.
Le ginocchia tremavano violentemente.
La boccaspalancata, il viso bagnato di lacrime e saliva.
Eppure Lara non si fermava.
Non ancora.
Affondava la lingua e la faceva vibrare.
Poi le leccate sifacevano rapide, a scatti. Poi lente. Poi circolari, il bordodell’ombelico esplorato con la punta come un serpente curioso. Ognivariazione mandava scosse di puro terrore sensoriale attraversoElisa, come se la lingua di Lara fosse collegata direttamente al suocervello, come se ogni leccata azzerasse ogni pensiero.
«Guarda come ti contorci…» sussurrò Lara, la voce rotta dalrespiro.
«Sei così, così dannatamente viva… sotto la mialingua…»
Poi le diede una piccola serie di colpetti rapidi, decisi, dentroil buco con la punta rigida.
Tac tac tac tac—
Ogni tocco unascarica.
Elisa urlò di nuovo, squarciando il silenzio:
«NOOOOOOOOAHAHAHAAA TI PREGO MI STAI UCCIDENDO LARA BASTAAAAAAH!!»
I suoi addominali si tendevano come corde d’arco, il bacino sitorceva da una parte all’altra, l’intero corpo tremava in unasequenza incontrollata di spasmi da solletico.
E Lara non si fermava.
Le mani ai fianchi stringevano.
Labocca premuta al ventre.
La lingua una fiamma viva, tagliente, chebruciava l’ombelico a ogni affondo.
Slurp. Schlick. Slrrrp.
«Resisti ancora un po’, Eli…
Devoproprio capire se c’è un limite al tuo urlo.»
E di nuovo, lalingua colpì.
Al centro.
Profondo.
Rotante.
E Elisa… crollò.
Un urlo finale. Infinito.
Un’esplosione.
Unruggito che sembrava un orgasmo isterico e disperato.
Poi… le gambe si piegarono.
Il corpo tremava, sudato,esausto, rotto.
Le braccia ancora tese.
L’ombelico ancorapalpitante.
E Lara… ancora affamata.
Lara si tirò indietro lentamente, leccandosi le labbra conlentezza indecente, il viso ancora lucido del sudore di Elisa e dellapropria opera malata. Il sorriso che le si dipinse sul volto eraquello di una bambina soddisfatta dopo aver smontato il suogiocattolo preferito solo per il gusto di vedere com’era fattodentro.
Elisa era distrutta.
Le braccia ancora alzate, i polsi serrati e tesi come corde daforca. Il busto floscio, penzolante, la testa piegata in avanti, icapelli appiccicati alle guance arrossate, al mento tremante. Ognirespiro era un colpo di tosse spezzato da singhiozzi e resti di risadisumane. L’addome ansimava come se avesse corso per chilometrisotto la pioggia e poi fosse stata colpita da un fulmine. L’ombelico,lucido, umido, rosso, pulsava ancora. E tremava.
Lara le accarezzò piano la pancia con le nocche, quasiaffettuosa. Poi si rialzò e si avvicinò al viso di Elisa,sussurrandole all’orecchio con la voce morbida, zuccherina.
«Shh… riposa un po’, guerriera…»
Le sfiorò una guanciacon le labbra.
«Te lo sei meritato.»
Poi si voltò di lato, si chinò piano davanti a lei e allungòuna mano verso i piedi di Elisa, ancora ben piantati a terra. Unpiccolo sorriso beffardo le si accese sulle labbra. Uno sguardoveloce ai talloni, poi alle dita compresse nelle scarpe da training.
«Ma sai…» disse con tono canticchiato, «mi sa che lì sottoci nascondi un altro paio di segreti.»
La sua voce divenne unsussurro incantato.
«Avremo tempo. Tanto, tanto tempo perscoprirli…»
E le dita sfiorarono dolcemente la caviglia.
Il preludio.
Ilpromemoria.
La promessa.
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The gym air was thick with the smell ofiron, mixed with sweat and hot plastic. It was late—too late foranyone who wasn't obsessed. The neon lights reflected off the shinysurfaces of the equipment and her slick arms, the woman moving asfluidly as a feline between sets, without any need for externalmotivation.
Her name was Elisa. Thirty-three years old, eyes graylike polished steel, high, sculpted cheekbones, and the tight jawlineof someone who has chewed discipline every day for years. She wore adark gray sports top cut just above her navel, the stretch fabricglued to her skin, strained by movement and sweat. Her bare, smootharmpits, taut from every stretch, glistened with a light moisture,framed by sharp biceps and chisel-like deltoids. Every breath swelledher chest and lifted her ribs like the strings of a taut harp.
Hertop revealed the edges of her abs: not simply defined, but sculpted,as if the air itself had no right to caress the skin without slidingalong those deep folds. She wore high-waisted black leggings, shiny,thin as a second skin, with a thin gray stripe running down the sideto the knee. Her feet, firmly planted in black and red trainingshoes, sank into the rubber floor with the stability of someone who'sconquered every inch of herself.
She gripped the handles of thecable pulldown machine, positioning her arms above her head with thecalm precision of a surgeon. Her shoulder blades tightened, pullingthe skin into a tight V along her back. Her triceps contracted as shebegan the set, and each rep was a slow bite against the edge. Shegrunted slightly—not from fatigue, but from releasing the buildingtension, as if she contained a motor beneath her skin.
The musicwas a low beat pulsing from the speakers overhead, but Elisa paid noattention. She was alone, or at least she thought she was. She hadn'theard the back door open again after the electronic beep of thebadge. She hadn't noticed the gaze scrutinizing her from theuncertain reflection in the mirror in front of the dumbbells.
Tenmore reps. Eight. Six. Arms raised, elbows fully extended. Theperfect position. Breathing modulated, diaphragm contracting witheach pull. Every now and then, a trickle of sweat ran down her side,touching her skin like a subtle caress.
Behind her, silent,another presence approached. Light shoes, soft step. A smaller,younger shadow. But still invisible, for now.
Elisa slowlydescended with the last rep, arms still stretched above her head, andpaused for a moment in that pose of frozen strength. She didn't yetknow that that gesture, that simple stopping with her arms raised,would be the beginning of her small, twisted personal hell.
Theweight still hung, motionless, pulling Elisa's shoulders upward. Themuscles in her arms vibrated slightly under the tension, but shedidn't let go. There was something in that vertical effort that madeher feel alive, in control of her body. As if every second in thatposition wasn't a surrender, but a triumph. Time expanded in thesilence of the room.
Then, a sound. Soft. A click.
It didn'tcome from the machines. It wasn't electronic. It was the click ofsomething mechanical. Something nearby.
Her eyebrows furrowed, butshe said nothing. Only a moment later, she felt a movement behindher—quick, small, but precise. The kind of movement only those whoknow that place can make, because those who don't stumble, moveawkwardly. Elisa didn't turn around. She couldn't turn around. Herarms still raised, her wrists tight around the handles of themachine, her grip firm.
Then, like a thin knife between hervertebrae, the voice.
"Don't give up yet."
A female voice. Young. A low whisper,almost gentle, but charged with something. Mischief, perhaps. Orsimply a desire to play.
Elisa stiffened. Her gaze shifted to theside, searching for her reflection in the mirror in front of her. Andshe found it.
The girl was there. Petite but compact, with agymnast's body, lithe, lethal. She wore very short shorts and a tanktop that revealed her flat stomach, her small but round breastsframed by a blue sports top. Her hair was pulled back in a messy bun.And in her eyes, something strange. Not fear. Not respect. Somethingthat resembled desire disguised as defiance.
"Are you…?"Elisa broke the silence, without turning around. Her voice was firm.Her tone low, without bowing.
The girl took two steps forward,then two more. Now she was behind her. Very close. Elisa felt theheat radiating from her body. She could smell her scent, too: sweet,a little fruity. Green apple, or maybe peach.
"My name isLara. I'm new. I saw your training program on the board..." shewhispered, as if sharing a secret. "I was wondering how long youcould really last."
Elisa half-smiled, but didn't trust it."And what's that supposed to mean?"
Click.
A secondnoise, this time distinct. Elisa immediately looked down and sawsomething—a zip tie, a nylon strap—wrapping around her leftwrist. And then another on her right. She had left her hands closedaround the cable handles, and now the two strips of fabric had closedtightly around her wrists, anchoring her arms to the machine.
Herheart raced. A nervous reflex made her tug, but the straps wouldn'tlet go. She pulled hard, twisting her shoulders to free herself, buther arms remained stretched above her head, vulnerable,exposed.
"Hey!" she growled, her tone brusque,angry.
Lara didn't move away. Instead, she gently placed a hand onElisa's bare hip, right where the top ended and the curve of her hipbegan. A very light touch. But it was enough to turn Elisa's blood toice.
"Shh. It's not dangerous. It's just an experiment..."Lara's voice was now thin, insinuating. "Nothing you can't stop.Just say the right word."
"And what would that be?"Elisa asked, her tone still hard, but rippled with a subtledoubt.
"We'll see if you find it."
The girl circledher with the slowness of a creature savoring the moment. Each stepwas measured, theatrical. Now Elisa could see her fully. Lara's browneyes were sparkling, fixed on her with the intensity of a predatorthat has finally trapped its prey, but is in no hurry to devour it.The smile on her lips was too sweet to be sincere.
Elisa tugged onher wrists again, twisting her elbows, trying to free herself. Butnothing. Stuck. And that position—with her arms stretched above herhead, her chest open, her armpits completely exposed—gave her noadvantage. On the contrary. It left her… exposed. Vulnerable.
"Thisisn't fun."
"It's already so much fun for me."
Laramoved closer. Now she was in front of her. Her eyes lowered, her headtilted, as if she were studying a work of art. Her breathing slow.Her gaze wandered from the hard outline of her abdominal muscles, herbreasts compressed by her tight top, and then… her bare armpits,taut, perfectly smooth and vulnerable.
Lara's smile deepened. And she remainedthere, motionless, inches from Elisa's trapped body. The silence hadbecome as heavy as lead. Not a sound, only the older woman'sincreasingly irregular breathing, and the faint rustle of theathletic fabric stretching with every jolt.
"Have you everwondered how sensitive a part of your body can be... even when you'rehard as a rock?"
The question hung in the air, thick assteam.
Elisa didn't answer.
But the way her fingers flexed, theslight twist of her hips, the slight tingle under her skin... said itall.
Lara didn't speak. Silence, now, was a weapon. She bentslightly, raising her right hand, her fingers stretched out, slow, asif she had all the time in the world. Elisa clenched her jaw, herneck tense, her gaze fixed straight ahead. But her shoulders trembledslightly, imperceptibly.
And then, the touch.
A single finger.The index finger. He traced a slow, precise line, from the center ofher right armpit outward, following the natural curve of her smoothskin. An almost impalpable contact, like a feather, like a whisperthat doesn't yet dare turn into a voice.
Elisa flinched. Her torsotensed, the muscles in her arms tensed until her biceps throbbed. Afleeting expression—surprise, annoyance, something deeper—passedover her face.
"Tsk... already like this?"
Larasmiled, lightly licking her lower lip. She moved the same fingerback, this time grazing the skin with her very thin nail, like ablade of tempered glass. Elisa shook her head, her eyes narrowed,holding her breath.
"It's nothing..." she murmured. Buther voice was hoarse. And her hips, involuntarily, moved.
"Really?"Lara whispered, with a hint of feigned innocence. "Because youseem rather… sensitive."
Then, without warning, both handsshot forward.
Lara's fingers plunged into Elisa's tense armpitswith surgical precision. Ten dancing fingers, light but swift, beganto vibrate like the legs of a crazed spider, scratching the smoothskin with alternating movements, sometimes linear, sometimescircular. Pure tickling. Cruel. Merciless.
Elisa screamed.
"Ah—no,fuck—!" she twisted instinctively, trying to close her arms,to defend herself, but nothing moved. The straps held her wristspinned high. Every muscle contraction only accentuated the tension,and every breath became a strangled laugh.
"Stop it!"she cried, between breaths, her voice cracking with short sobs ofuncontrolled laughter. "Lara, I swear—I'll tear you topieces—"
"Oh, yes. Very violent. How long can youlast, mmh?"
Lara's hands moved more precisely, seeking outthe most sensitive spots. The inside of her armpits, just below thepectoral muscle. The line of her deltoid. The superficial nerves thattingled beneath the skin every time she brushed too close to herbreastbone.
Elisa laughed. Incredulous. Furious.
But shelaughed.
A full, almost bestial laugh, which shetried to stifle by biting her lip but which exploded anyway,overcoming every barrier. Her body writhed in a desperate dance, buther arms remained clenched high, pulling the skin even tighter,exposing every inch, every tiny sensitive spot.
"You'redriving me crazy, look at you writhing..." Lara whispered,leaning in to observe the trembling skin beneath her fingertips. "Andto think you seem so tough, so in control..."
"Fuckyou!" Elisa screamed, tears in her eyes, her forehead drenchedin sweat. "It—it's not funny—hahaha—bitch!"
Laralaughed too, low and mean. But she didn't stop. On the contrary, shebegan to vary her movements. Fingers scratched, then suddenlystopped, leaving Elisa panting, her muscles tense in silence,waiting... only to suddenly restart with a more violent, moretargeted attack.
The girl grew bolder. She moved so close that herbreasts almost touched Elisa's sweaty flank. She ran her tongue overher lips, excited by the power, by the reaction. Elisa wasbursting.
Laughter mingled with grunts, anger, and humiliation.
Awarrior, reduced to prey. Trapped, helpless, tortured with thesubtlest of tools: touch.
"I can go on for hours, you know?"Lara murmured, now slowing for a moment, sliding her fingertips everso slowly. "Or maybe I'll move on to your belly, your ribs... Iwonder where you're most sensitive."
"Fuck you!"
"Ohyeah, right there. Tense, naked, defenseless… a real rock. But evenstone can laugh.”
And the torment continued.
“Hhhahahahaha—NNO!No no no NO! Enough, ENOUGH!”
Elisa’s voice exploded likethunder, piercing the artificial quiet of the empty gym. But it was abroken voice, cracked by fatigue and desperation, a heart-rendingscream that mingled with an unstoppable river of wild, convulsivelaughter. Her face was purple, her hair plastered to her dampforehead, her torso twisting like a mad snake under thestrain.
Lara’s fingers gave no respite.
Ten thin clawsincessantly dug into Elisa’s tense armpits, digging laughter fromdeep within, digging madness. It wasn’t tickling anymore. It was aform of primitive control, a torture that ignored strength, ignoredpride. Every movement of those swift hands was a slap in the face toher dominance, every blow to her exposed nerves stripped away anotherpiece of resistance.
"Hahahaha—Stopiiiiii—Lara, Iswear—whathahahaHAHAAAH—"
Her voice cracked, shatteredinto guttural laughter, violent gasps, moans thick with air anddesperation.
"Shh... what are you screaming for, mmh?"Lara whispered in a sweet tone, tilting her head as if speaking to acapricious child. Her breathing was calm, almost cold. Her fingers,however, were the opposite: feverish, mischievous, unleashed."There's no one here, remember? Just me... and yourarmpits."
Then he lowered his voice, breathing against herear.
"So... vulnerable. So... perfect."
And again. Aburst. Her fingers launched into a mad dance, digging with rapid tapsright into the hollow of her left armpit, while her right armpit wasgripped by small, concentric scratches, around the axillary nerve,where the skin was thinner, more alive, more fragile.
Elisascreamed. But not with rage, now.
It was a pure, uncontaminated,primal scream.
"NOOOO-hahahaaa—ENOUGHAHHHH! Ican't—I CAN'T TAKE IT ANYMORE—"
Her legs jerkeduncontrollably, her quadriceps tensed to the max, but to no avail.Her knees buckled, instinctively trying to make her collapse, toescape, to protect herself… but the weight of her locked armsforced her to remain standing, exposed, tense. A flesh dummy. Atarget.
Tears streamed down her face.
Sweat and saliva drippeddown her chin.
And she laughed. She laughed so hard she couldn'tspeak, she couldn't distinguish words from laughter, she couldn'ttell if she was laughing or screaming or begging.
Lara bit herlower lip, her gaze filled with morbid satisfaction.
"Oh God…I wish I could see you. You're a vision, Eli."
He poked herarmpit again, two fingers curled into a crab-like shape.
"Thetough one, the tough one, the warrior... begging for someone to stopdoing this..."
The fingers made another rhythmic, cruelclicking sound,
"...like this."
Elisa made a brokensound, a gasp laced with laughter, as if she were drowning in her ownbreath.
"Stop, STOP—stop, please, please—"
Herwords were finally starting to sound different.
No morethreats.
No more insults.
But pleas.
Real ones.
"Ican't take it anymore... I can't take it anymore..."
Her sidetwitched. Her torso twisted to the right, then to the left,uncontrollably. Her knees banged together, her back arched, her mouthwide open in a silent laugh that sounded more like a hystericalsob.
Lara moved closer, almost glued to Elisa's trembling body.She slowly ran her tongue across her sweat-drenched cheek, unhurried,enjoying the salt and the desperation.
"Oh, of course youcan..." she murmured.
Then she gave her another precisethrust, right in the center of her left armpit.
"...you canhold on a little longer."
And she continued.
Moredecisively.
Deeper.
With both hands immersed wrist-deep in thetrapped woman's armpits, her fingers bent like flexible blades,digging, tormenting, pressing, pinching every millimeter of exposedskin.
And there, in that moment, Elisa's body seemed to break.
Notjust laughing. Not just screaming.
Now she wasshaking.
Shaken.
Drained.
Fragile.
Yet still there.
Still stuck.
Stilltormented.
Elisa's body was a wreck of contracted muscles andravaged laughter. Her arms were still drawn high, her armpits red,her skin glistening with sweat, and her chest heaving in fits andstarts, as if gasping for air in an ocean of tickles.
Lara lookedat her like a broken work of art, her eyes wide with pleasure andlips moist with mischief. She licked a finger. Then another. As if toclean them. Or to savor them. Then, slowly, she let her hands slidedown Elisa's sides, down past her ribs, her fingers still throbbingwith that desire for light torture, that childish and cruelneed.
Elisa gasped, her head tilted back, her hair now soaked andplastered to the nape of her neck. Her legs trembled, but theposition forced her to remain upright, her arms still stretched aboveher head. Every breath was a struggle. Every second, acondemnation.
And Lara's hands descended further.
The fingersslid down her sides, slowing... caressing... until the right indexfinger rested, lightly, just above her navel.
That spot.
Thatsmall cavity nestled in her belly, hard and taut as a stone. Elisa'sabdomen seemed sculpted by a god obsessed with perfection, every linedefined as on a Greek statue, but her navel... her navel was a small,vulnerable pit, deep, sensitive, an involuntary invitation toviolation.
Lara slowly swirled her finger around it, tracingconcentric circles around the edge, never directly touching thecenter. Elisa's entire body tensed. Her belly contracted, and herbreath caught in her throat.
"Oooh..." Lara whispered,with the smile of a thief who has found hidden treasure. "Whatis this, huh?"
Then, the finger sank in. A sharp, precisejab, right in the center of her navel.
And the screamexploded.
"AAAAAAHHHHHHHHHAHAHAHAHAHAAAAAA!!"
Ananimalistic, inhuman, primal sound. Elisa no longer had control. Herabdomen collapsed, her muscles contracted in a spasmodic surge, herlegs buckled under the blow, but her locked arms pinned her there,arched, exposed, defenseless. The laughter turned to sobs, the wordsdisintegrated.
"NO! NO NO LARA PLEASE—NOT THE NAVEL—NOTTHERE, NOT THERE—HAHAHAHAAAAH!"
But Lara was alreadybeyond.
She sank two fingers into the cavity with rapid, rotatingmovements, digging, exploring. Her face was transfixed, as if shewere playing a musical instrument and had just found the perfectnote.
Elisa's torso twisted, her stomach jerking, her back tense,but she couldn't do anything. Her fingers seemed to dig into hernervous system, sucking away every last bit of strength, everyshield.
"Good God... you're completely crazy down here, huh?"Lara whispered, her voice cracking with excitement. "So hard onthe outside, but your belly button... that's your kryptonite,right?"
She scratched the inside with her fingernail.
Anotherexplosion.
“AAAAAAHHHhhahahAHAHHHhhhhhNOOOOOHMAAAWONN—CAN'T—DO—ITHHHHHOOOO!!”
Elisa was laughing now ina different register. High. Strangled. In a desperate, almost erotictone. Tears streamed down her cheeks in thin rivulets, her chestheaving and emptying as if giving birth to madness. Her navel seemedto pulsate, alive, responsive to the slightest touch.
Lara placedher palm on her taut abdomen, pressing lightly while her thumbcontinued to torment the sweet spot with surgical precision.
“Ibet no one's ever tickled you here, huh?”
Another circulartap.
Elisa doubled over, held back only by her wrists.
“Andnow look at how you bend. Look at how you scream.”
The girl bentdown, kneeling before Elisa's now distorted belly, and pressed hertongue against the edge of her navel.
A thrust.
Wet.
Slow.
Thereaction was devastating.
Elisa let out a scream that sounded likean orgasm mixed with panic.
«AAAHHHHAAAH NOT THE TONGUE—DON'TPUT YOUR TONGUE IN THEREAAHAHAHAHAHAAAH—!»
And Lara obeyed…just for a second.
Then she sank again.
The tip of her tongueswirled inside that sensitive pit while her hands gripped Elisa'ships to keep her from moving too much. The contact was carnal,intimate, obscene in its innocence. But for Elisa, it was torture.Total.
She laughed. She cried. She begged.
She broke.
Stitchafter stitch.
Breath after breath.
And her navel remainedthere. Her Achilles' heel.
And Lara... had just begun to play withit.
Lara's tongue grew more ferocious. No longer just an explorer,but a true weapon. A small, living, wet sword that sank and swirledin the delicate well of Elisa's navel with a crude, precise, sadisticintent.
"AAAAAAHHH—AHHAHAHAHAHAAAH! L-LARAAA ENOUGH! ENOUGHNOT THE TONGUE—AAHHHH!"
Elisa screamed, laughed, gasped,drooled words that blended into moans of pure sensory terror. Hertorso was now moving in convulsive jerks, her legs thumping as ifdesperately seeking support, but each jerk left her in the same cruelpose: arms raised high, belly completely exposed, navel under directattack.
Lara knelt before her like a perverse devotee, her handsgripping the woman's sculpted hips, her fingers leaving light redimprints in the warm skin, and her face buried in the moistdepression of her abdomen.
Every thrust of his tongue was athrust—a duel against Elisa's will.
It swirled inside her holelike a red-hot steel tip, vibrating in rapid circles, then sinkinginto the center, then emerging with a wet pop, only to returnimmediately with a flurry of tight, rhythmic licks.
Slurp. Slirp.Slick.
Obscene, wet noises, amplified by the eerie silence of thegym.
Elisa writhed like a possessed being.
"AHHHHHH—ICAN'T TAKE IT ANYMORE—YOU'RE DESTROYING ME—HAHAHAHAHAHAH!!!"
Everyfiber of her abs was on fire. The muscles writhed in disorderlyspasms. Her belly had become a battlefield, glistening with sweat,her veins standing out, and in the middle that navel... seemingly sosmall, but in reality the nerve center of her ruin.
Lara lookedup, her eyes shot with cruel pleasure.
Her face was shiny, wet.Her breathing was rapid.
"Oh, Eli... you can't imagine howmuch this amuses me.
Your body is so strong... but your navel? Sofragile... so adorable..."
And she thrust her tongue again,fast, like a whiplash into the sensitive pit.
Elisa bent her backand screamed.
Not a laugh.
A real, heart-rendingroar.
Animalistic.
Bestial.
"AAAAAAHHHHHHHAHAHAHAAAYOU'RE DRIVING ME CRAZY!!!"
Her body was on the verge ofcollapse.
Her legs wouldn't hold her up.
Her knees were shakingviolently.
Her mouth was wide open, her face wet with tears andsaliva.
Yet Lara didn't stop.
Not yet.
She sank her tongueand made it vibrate.
Then the licks became quick, jerky. Thenslow. Then circular, the edge of her navel explored with the tip likea curious snake. Each variation sent shocks of pure sensory terrorthrough Elisa, as if Lara's tongue were directly connected to herbrain, as if each lick erased all thought.
"Look at youwrithing..." Lara whispered, her voice broken by breath.
"You'reso, so damn alive... under my tongue..."
Then he gave her asmall series of quick, firm strokes inside the hole with the rigidtip.
Tac tac tac tac—
Each touch a shock.
Elisa screamedagain, piercing the silence:
"NOOOOOOO AHAHAHAAA PLEASEYOU'RE KILLING ME LARA ENOUGH!!"
Her abs tensed likebowstrings, her pelvis twisted from side to side, her entire bodytrembled in an uncontrolled sequence of ticklish spasms.
And Laradidn't stop.
Her hands on her hips, squeezing.
Her mouthpressed against her belly.
Her tongue was a living, sharp flame,burning her navel with every thrust.
Slurp. Schlick. Slrrrp.
"Holdon a little longer, Eli...
I really need to know if there's alimit to your scream."
And again, the tongue struck.
Inthe center.
Deep.
Rotating.
And Elisa... collapsed.
Afinal scream. Infinite.
An explosion.
A roar that sounded likea hysterical, desperate orgasm.
Then... her legs buckled.
Herbody trembled, sweaty, exhausted, broken.
Her arms stilltense.
Her navel still throbbing.
And Lara... stillhungry.
Lara pulled back slowly, licking her lips with indecentslowness, her face still shiny with Elisa's sweat and her own sickhandiwork. The smile that spread across her face was that of asatisfied little girl after taking apart her favorite toy just to seewhat it looked like inside.
Elisa was devastated.
Her arms werestill raised, her wrists clenched and tense like gallows ropes. Hertorso was limp, dangling, her head bent forward, her hair plasteredto her red cheeks and trembling chin. Every breath was a coughpunctuated by sobs and the remnants of inhuman laughter. Her abdomenheaved as if she'd run for miles in the rain and then been struck bylightning. Her navel, shiny, moist, red, was still throbbing. And itwas trembling.
Lara gently stroked her belly with her knuckles,almost affectionately. Then she stood up and approached Elisa's face,whispering in her ear with a soft, sugary voice.
"Shh... resta bit, warrior..."
He touched her cheek with his lips.
"Youdeserved it."
Then he turned sideways, bent slowly beforeher, and reached out to Elisa's feet, still firmly planted on theground. A small, mocking smile played across her lips. A quick glanceat her heels, then at her toes squeezed into her training shoes.
"Butyou know..." she said in a low voice, "I think you'rehiding a couple more secrets down there."
Her voice droppedto an enchanted whisper.
"We'll have time. Lots and lots oftime to discover them..."
And her fingers gently touched herankle.
The prelude.
The reminder.
The promise.
L'aria della palestra era satura di odore ferroso, mescolato asudore e plastica calda. L’ora era tardi—troppo tardi perchiunque non fosse un’ossessionata. Le luci al neon riflettevanosulle superfici lucide degli attrezzi e sulle braccia lucide di lei,la donna che si muoveva fluida come un felino fra una serie el’altra, senza alcun bisogno di motivazione esterna.
Si chiamava Elisa. Trentatré anni, occhi grigi come acciaiolucidato, zigomi alti e scolpiti, mascella stretta da chi mastica ladisciplina ogni giorno da anni. Indossava un top sportivo grigioscuro tagliato appena sopra l’ombelico, il tessuto elasticizzatoincollato alla pelle, messo a dura prova dai movimenti e dal sudore.Le ascelle nude, lisce, tirate da ogni stiramento, brillavano di unaleggera umidità, incorniciate da bicipiti affilati e deltoidicesellati a scalpello. Ogni respiro le gonfiava il torace e sollevavale costole come corde di un’arpa tesa.
Il top lasciava intravedere il margine degli addominali: nonsemplicemente definiti, ma scolpiti come se l’aria stessa nonavesse il diritto di accarezzare la pelle senza scivolare lungoquelle pieghe profonde. Portava leggings neri a vita alta, lucidi,sottili come una seconda pelle, con una sottile striscia grigia checorreva lungo il fianco fino al ginocchio. I piedi, saldamentepiantati su scarpe da training nere e rosse, affondavano nelpavimento gommato con la stabilità di chi ha conquistato ognicentimetro di sé.
Afferrò le impugnature del macchinario per le trazioni al cavo,posizionando le braccia sopra la testa con quella calma precisione dachirurgo. Le scapole si strinsero, tirando la pelle in una V tesalungo la schiena. I tricipiti si contrassero mentre iniziava laserie, e ogni ripetizione era un lento morso contro il limite. Grugnìappena—non per fatica, ma per liberare la tensione crescente, comese contenesse un motore sotto la pelle.
La musica era un battito basso che pulsava dalle casse in alto, maElisa non ci faceva caso. Era sola, o almeno credeva di esserlo. Nonaveva sentito la porta sul retro aprirsi di nuovo dopo il bipelettronico del badge. Non aveva notato lo sguardo che la scrutavadal riflesso incerto dello specchio davanti ai manubri.
Ancora dieci ripetizioni. Otto. Sei. Le braccia ben alzate, igomiti completamente distesi. La posizione perfetta. Il respiromodulato, il diaframma che si comprimeva a ogni trazione. Ogni tantoun rivolo di sudore le scivolava lungo il fianco, sfiorando la pellecome una carezza sottile.
Dietro di lei, silenziosa, un’altra presenza si avvicinava.Scarpe leggere, passo felpato. Un’ombra più piccola, più giovane.Ma ancora invisibile, per ora.
Elisa scese lentamente con l’ultima ripetizione, braccia ancoratese sopra la testa, e si fermò per un momento in quella posa diforza congelata. Non sapeva ancora che quel gesto, quel semplicefermarsi con le braccia sollevate, sarebbe stato l’inizio del suopiccolo, contorto inferno personale.
Il peso stava ancora sospeso, immobile, tirando le spalle di Elisaverso l’alto. I muscoli delle braccia vibravano lievemente sotto latensione, ma lei non mollava. C’era qualcosa in quella faticaverticale che la faceva sentire viva, padrona del proprio corpo. Comese ogni secondo in quella posizione non fosse un cedimento, ma untrionfo. Il tempo si dilatava nel silenzio della sala.
Poi, un suono. Leggero. Un click.
Non proveniva dalle macchine. Non era elettronico. Era il click diqualcosa di meccanico. Qualcosa vicino.
Le sopracciglia si aggrottarono, ma non disse nulla. Solo unattimo dopo sentì un movimento alle sue spalle—rapido, piccolo, mapreciso. Il tipo di movimento che solo chi conosce quel posto puòfare, perché chi non lo conosce inciampa, si muove impacciato. Elisanon si voltò. Non poteva voltarsi. Le braccia ancora in alto, ipolsi stretti attorno alle impugnature del macchinario, la presasalda.
Poi, come un coltello sottile tra le vertebre, la voce.
«Non mollare ancora.»
Una voce femminile. Giovane. Un sussurro basso, quasi gentile, macarico di qualcosa. Malizia, forse. O semplicemente voglia digiocare.
Elisa si irrigidì. Lo sguardo si spostò di lato, cercando ilriflesso nello specchio davanti. E lo trovò.
La ragazza era lì. Minuta ma compatta, un corpo da ginnasta,snodato, letale. Indossava pantaloncini cortissimi e una canottierache lasciava scoperta la pancia piatta, il seno contenuto ma rotondoincorniciato da un top sportivo azzurro. I capelli raccolti in unochignon spettinato. E negli occhi, qualcosa di strano. Non paura. Nonrispetto. Qualcosa che assomigliava a desiderio mascherato da sfida.
«Tu sei…?» Elisa ruppe il silenzio, senza voltarsi. La voceferma. Il tono basso, senza inchini.
La ragazza fece due passi avanti, poi altri due. Ora era dietro dilei. Vicinissima. Elisa sentiva il calore del suo corpo irradiarsi.Sentiva anche l’odore: dolce, un po’ fruttato. Mela verde, oforse pesca.
«Mi chiamo Lara. Sono nuova. Ho visto il tuo programma diallenamento sulla lavagna…» sussurrò, come se confidasse unsegreto. «Mi chiedevo quanto resisti davvero.»
Elisa fece un mezzo sorriso, ma non si fidò. «E questo cosadovrebbe significare?»
Click.
Un secondo rumore, stavolta distinto. Elisa abbassò subito losguardo, e vide qualcosa—una fascetta, una cinghia innylon—avvolgersi attorno al polso sinistro. E poi un’altra suldestro. Aveva lasciato le mani chiuse attorno alle impugnature delcavo, e ora le due strisce di tessuto si erano chiuse serrate attornoai polsi, ancorandole le braccia al macchinario.
Il cuore accelerò. Un riflesso nervoso la spinse a strattonarsi,ma le fascette non cedevano. Tirò, forte, ruotando le spalle perliberarsi, ma le braccia rimasero tese sopra la testa, vulnerabili,esposte.
«Ehi!» ringhiò, il tono brusco, rabbioso.
Lara non si allontanò. Anzi, appoggiò delicatamente una mano sulfianco nudo di Elisa, proprio dove il top terminava e iniziava lacurva dell’anca. Un tocco leggerissimo. Ma bastò per trasformareil sangue di Elisa in ghiaccio.
«Shh. Non è pericoloso. È solo un esperimento…» La voce diLara ora era sottile, insinuante. «Niente che tu non possa fermare.Basta dire la parola giusta.»
«E quale sarebbe?» chiese Elisa, il tono ancora duro, maincrespato da un dubbio sottile.
«Vedremo se la troverai.»
La ragazza le girò attorno con la lentezza di una creatura che sigusta il momento. Ogni passo era misurato, teatrale. Ora Elisa potevavederla in pieno. Gli occhi castani di Lara scintillavano, fissi sudi lei con l'intensità di un predatore che ha finalmenteintrappolato la preda, ma non ha alcuna fretta di sbranarla. Ilsorriso sulle labbra era troppo dolce per essere sincero.
Elisa tirò di nuovo i polsi, ruotando i gomiti, cercando diliberarsi. Ma nulla. Bloccata. E quella posizione—con le bracciatese sopra la testa, il petto aperto, le ascelle completamenteesposte—non le dava alcun vantaggio. Anzi. La lasciava… esposta.Vulnerabile.
«Questo non è divertente.»
«Per me lo è già tantissimo.»
Lara si avvicinò ancora. Ora le era davanti. Gli occhi bassi, latesta inclinata, come se stesse studiando un’opera d’arte. Ilrespiro lento. Lo sguardo vagava tra il profilo duro dei muscoliaddominali, il seno compresso nel top aderente, e poi… le ascellenude, tese, perfettamente lisce e vulnerabili.
Il sorriso di Lara si fece più marcato. E rimase lì, immobile, apochi centimetri dal corpo intrappolato di Elisa. Il silenzio eradiventato pesante come piombo. Non un suono, solo il respiro semprepiù irregolare della donna più grande, e il fruscio lieve deltessuto sportivo che si tendeva con ogni sussulto.
«Ti sei mai chiesta quanto può essere sensibile una parte deltuo corpo… anche quando sei dura come una roccia?»
La domanda rimase sospesa nell’aria, densa come vapore.
Elisa non rispose.
Ma il modo in cui le sue dita si flettevano, la leggera torsionedei fianchi, il lieve fremito sotto la pelle… dicevano tutto.
Lara non parlò. Il silenzio, adesso, era un’arma. Si chinòappena, sollevando la mano destra, le dita distese, lente, come seavesse tutto il tempo del mondo. Elisa serrò la mascella, il colloteso, lo sguardo fisso davanti a sé. Ma le spalle tremaronoleggermente, impercettibilmente.
E poi, il tocco.
Un solo dito. L’indice. Tracciò una linea lenta e precisa, dalcentro dell’ascella destra verso l’esterno, seguendo la curvanaturale della pelle liscia. Un contatto quasi impalpabile, come unapiuma, come un sussurro che non osa ancora trasformarsi in voce.
Elisa trasalì. Il busto si contrasse, i muscoli delle braccia sitesero fino a far pulsare i bicipiti. Un’espressionefugace—sorpresa, fastidio, qualcosa di più profondo—le passòsul volto.
«Tsk… già così?»
Lara sorrise, leccandosi appena il labbro inferiore. Tornòindietro con lo stesso dito, stavolta sfiorando la pelle conl’unghia, sottilissima, come una lama di vetro temperato. Elisascosse la testa, gli occhi stretti, trattenendo il respiro.
«Non è niente…» mormorò. Ma la sua voce era roca. E leanche, senza volerlo, si mossero.
«Davvero?» sussurrò Lara, con una nota di finta innocenza.«Perché sembri piuttosto… sensibile.»
Poi, senza preavviso, entrambe le mani scattarono in avanti.
Le dita di Lara si immersero nelle ascelle tese di Elisa conprecisione chirurgica. Dieci dita danzanti, leggere ma rapide,cominciarono a vibrare come zampe di un ragno impazzito, graffiandola pelle liscia con movimenti alternati, a tratti lineari, a tratticircolari. Solletico puro. Crudele. Spietato.
Elisa urlò.
«Ah—no, cazzo—!» si contorse istintivamente, cercando dichiudere le braccia, di difendersi, ma nulla si mosse. Le cinghie letenevano i polsi bloccati in alto. Ogni contrazione dei muscoli nonfaceva che accentuare la tensione, e ogni respiro diventava unarisata strozzata.
«Smettila!» gridò, tra un respiro e l’altro, la voce spezzatada brevi singhiozzi di risa incontrollate. «Lara, ti giuro—tifaccio a pezzi—»
«Oh, sì. Violentissima. Ma quanto resisti, mmh?»
Le mani di Lara si mossero con più precisione, cercando i puntipiù sensibili. L’interno delle ascelle, appena sotto il muscolopettorale. La linea del deltoide. I nervi superficiali che siagitavano sotto la pelle ogni volta che sfiorava troppo vicinoall’attaccatura del seno.
Elisa rideva. Incredula. Furiosa.
Ma rideva.
Una risata piena, quasi bestiale, che cercava di soffocaremordendosi il labbro ma che esplodeva ugualmente, scavalcando ognibarriera. Il corpo si contorceva in una danza disperata, ma lebraccia restavano serrate in alto, tirando la pelle ancora di più,esponendo ogni centimetro, ogni minuscolo punto sensibile.
«Mi fai impazzire, guarda come ti dimeni…» sussurrò Lara,chinandosi per osservare da vicino il tremolio della pelle sotto isuoi polpastrelli. «E dire che sembri così dura, così incontrollo…»
«Fottiti!» urlò Elisa, le lacrime agli occhi, la fronte madidadi sudore. «Non—non è divertente—hahaha—stronza!»
Lara rise anche lei, bassa e cattiva. Ma non si fermò. Alcontrario, iniziò a variare i movimenti. Dita che grattavano, poiimprovvisamente si fermavano, lasciando Elisa ansimante, con imuscoli tesi nel silenzio, in attesa… solo per poi ripartireall’improvviso con un attacco più violento, più mirato.
La ragazza si fece più audace. Si avvicinò tanto che il seno lesfiorò quasi il fianco sudato di Elisa. Passò la lingua sullelabbra, eccitata dal potere, dalla reazione. Elisa stava scoppiando.
Le risate si mischiavano ai grugniti, alla rabbia eall’umiliazione.
Una guerriera, ridotta a una preda. Intrappolata, impotente,torturata con il più sottile degli strumenti: il tocco.
«Posso andare avanti per ore, sai?» mormorò Lara, orarallentando per un istante, facendo scivolare i polpastrelli conestrema lentezza. «O magari passo alla pancia, alle costole…chissà dove sei più sensibile.»
«Vaffanculo!»
«Oh sì, proprio lì. Tesa, nuda, indifesa… una vera roccia. Maanche la pietra può ridere.»
E il tormento continuò.
«Hhhahahahaha—NNO! No no no NO! Basta, BASTA!»
La voce diElisa esplose come un tuono, squarciando la quiete artificiale dellapalestra vuota. Ma era una voce rotta, screpolata dalla fatica edalla disperazione, un urlo straziato che si mescolava con un fiumeinarrestabile di risate selvagge e convulse. Il volto paonazzo, icapelli incollati alla fronte madida, il busto che si torceva come unserpente impazzito sotto la tensione.
Le dita di Lara non davano tregua.
Dieci artigli sottili si insinuavano incessanti nelle ascelle tesedi Elisa, scavando risate dal profondo, scavando follia. Non era piùsolletico. Era una forma di controllo primitivo, una tortura cheignorava la forza, ignorava l’orgoglio. Ogni movimento di quellemani veloci era uno schiaffo al suo dominio, ogni colpo ai nerviscoperti le strappava un altro pezzo di resistenza.
«Hahahaha—Fermatiiihh—Lara, ti giuro che—chehahahHAHAAAH—»
Lavoce si spezzava, si frantumava in risate gutturali, ansiti violenti,gemiti impastati d’aria e disperazione.
«Shh… ma che urli a fare, mmh?» sussurrò Lara con tonozuccherino, inclinando la testa come se stesse parlando a una bambinacapricciosa. Il suo respiro era calmo, quasi freddo. Le sue dita,però, erano il contrario: febbrili, maliziose, scatenate. «Non c’ènessuno qui, ricordi? Solo io… e le tue ascelle.»
Poi abbassò la voce, alitandole contro l’orecchio.
«Così...vulnerabili. Così… perfette.»
E di nuovo. Una raffica. Le dita si lanciarono in una danzaimpazzita, scavando con rapidissimi colpetti proprio nella concadell’ascella sinistra, mentre la destra veniva presa da piccoligrattini concentrici, intorno al nervo ascellare, dove la pelle erapiù sottile, più viva, più fragile.
Elisa urlò. Ma non di rabbia, ora.
Era un urlo puro,incontaminato, primordiale.
«NOOOO-hahahaaa—BASTAAHHHH! Non ce la faccio—NON CE LA FACCIOPIUUUUHH—»
Le gambe si muovevano a scatti incontrollabili, i quadricipititirati al massimo, ma inutili. Le ginocchia si piegavano, cercandoistintivamente di farla crollare, di sfuggire, di proteggersi… mail peso delle braccia bloccate le imponeva di restare in piedi,esposta, tesa. Un manichino di carne. Un bersaglio.
Le lacrime le rigavano il viso.
Sudore e saliva le colavano sulmento.
E rideva. Rideva così forte da non riuscire più aparlare, da non distinguere le parole dalle risate, da non sapere piùse stesse ridendo o urlando o implorando.
Lara si morse il labbro inferiore, lo sguardo pieno di unasoddisfazione morbosa.
«Oh Dio… ti vedessi. Sei una visione, Eli.»
Le diede unaltro colpetto nella cavità dell’ascella, con due dita piegate agranchio.
«La dura, la tosta, la guerriera… che implora perchéqualcuno le smetta di fare…»
Le dita fecero un altro ticchettioritmico e crudele,
«…così.»
Elisa fece un suono spezzato, un rantolo intriso di risate, comese stesse affogando nel proprio stesso respiro.
«Smetti, SMETTIIIII—smetti ti prego, ti prego—»
Le sueparole finalmente cominciavano a suonare diverse.
Non piùminacce.
Non più insulti.
Ma suppliche.
Vere.
«Non ne posso più… non ne posso più…!»
Il fianco le sicontrasse. Il busto si contorceva verso destra, poi verso sinistra,senza controllo. Le ginocchia sbattevano fra loro, la schienaarcuata, la bocca spalancata in una risata muta che sembrava più unsinghiozzo isterico.
Lara si avvicinò, quasi incollandosi al corpo tremante di Elisa.Passò lentamente la lingua sulla guancia bagnata di sudore, senzafretta, godendosi il sale e la disperazione.
«Oh, ma certo che puoi…» mormorò.
Poi le diede un’altrastoccata precisa, proprio al centro dell’ascella sinistra.
«…puoiresistere ancora un po'.»
E riprese.
Più decisa.
Più profonda.
Con entrambe le mani immerse fino ai polsi nelle ascelle delladonna intrappolata, le dita si piegarono come lame flessibili,scavando, tormentando, premendo, pizzicando ogni millimetro di pelleesposta.
E lì, in quel momento, il corpo di Elisa sembrò spezzarsi.
Non solo rideva. Non solo urlava.
Ora tremava.
Scossa.
Prosciugata.
Fragile.
Eppure ancora lì.
Ancora bloccata.
Ancora soggetta altormento.
Il corpo di Elisa era un relitto di muscoli contratti e risatedevastate. Le braccia sempre tirate in alto, le ascelle arrossate, lapelle lucida di sudore, e il petto che si sollevava a scatti, come sestesse cercando aria in un oceano di solletico.
Lara la guardava come si guarda un’opera d’arte spezzata, conocchi spalancati di piacere e labbra umide di malizia. Si leccò undito. Poi un altro. Come per pulirli. O per assaporare. Poi,lentamente, lasciò scivolare le mani lungo i fianchi di Elisa,scendendo oltre le costole, le dita ancora vibranti di quella vogliadi tortura leggera, quel bisogno infantile e crudele.
Elisa annaspava, la testa piegata all’indietro, i capelli ormaimadidi appiccicati alla nuca. Le gambe tremavano, ma la posizione laobbligava a rimanere eretta, le braccia sempre tese sopra la testa.Ogni respiro era una lotta. Ogni secondo, una condanna.
E le mani di Lara scesero ancora.
Le dita scivolarono sui fianchi, rallentando… accarezzando…fino a quando l’indice destro si posò, lieve, proprio sopral’ombelico.
Quel punto.
Quella piccola cavità incastonata nel ventre duro e teso come unapietra. L’addome di Elisa sembrava scolpito da un dio ossessionatodalla perfezione, ogni linea definita come su una statua greca, mal’ombelico… l’ombelico era una piccola fossa vulnerabile,profonda, sensibile, un invito involontario alla violazione.
Lara ci fece roteare il dito lentamente, tracciando cerchiconcentrici intorno al bordo, senza mai toccare direttamente ilcentro. Elisa irrigidì tutto il corpo. Il ventre si contrasse, e ilrespiro le si bloccò in gola.
«Oooh…» sussurrò Lara, col sorriso di una ladra che hatrovato il tesoro nascosto. «Cos’è questo, eh?»
Poi, il dito affondò. Un colpetto, secco, preciso, proprio alcentro dell’ombelico.
E l’urlo esplose.
«AAAAAAHHHHHHHHAHAHAHAHAHAAAAAA!!»
Un suono animalesco, disumano, primordiale. Elisa non aveva piùcontrollo. Il suo addome si piegò, i muscoli si contrassero inun’impennata spasmodica, le gambe si piegarono sotto il colpo, male braccia bloccate la inchiodarono lì, inarcata, esposta, indifesa.Le risate divennero singhiozzi, le parole si disintegrarono.
«NO! NO NO LARA TI PREGO—NON L’OMBELICO—NON LÌ, NONLÌ—HAHAHAHAAAAH!»
Ma Lara era già oltre.
Affondò due dita dentro la cavità con movimenti rapidi,rotatori, scavando, esplorando. Il suo viso era rapito, come sestesse suonando uno strumento musicale e avesse appena trovato lanota perfetta.
Elisa contorceva il busto, lo stomaco a scatti, la schiena tirata,ma non poteva fare nulla. Le dita sembravano infilarsi nel suosistema nervoso, risucchiando ogni sua forza, ogni suo scudo.
«Dio santo… sei completamente pazza qui sotto, eh?» Larasussurrava con la voce rotta dall’eccitazione. «Così dura fuori,ma l’ombelico… è la tua criptonite, vero?»
Grattò con l’unghia la parte interna.
Un’altra esplosione.
«AAAAAAHHHhhahahAHAHHHhhhhhNOOOOOHMAAADONN—NON—CE—LA—FAAAACCIHHHHOOOO!!»
Elisa ora rideva in un registro diverso. Alto. Strozzato. In unatonalità disperata, quasi erotica. Le lacrime le rigavano le guancein rivoli sottili, il petto si gonfiava e si svuotava come se stessepartorendo la follia. L’ombelico sembrava pulsare, vivo, reattivo aogni minimo sfioro.
Lara appoggiò il palmo sull’addome teso, premendo leggermentementre con il pollice continuava a tormentare il punto debole conprecisione chirurgica.
«Scommetto che nessuno ti ha mai solleticato qui, eh?»
Unaltro colpetto circolare.
Elisa si piegò in due, tirata indietrosolo dai polsi.
«E adesso guarda come ti pieghi. Guarda come urli.»
La ragazza si abbassò, inginocchiandosi davanti al ventre ormaistravolto di Elisa, e premette la lingua contro il bordodell’ombelico.
Un colpo.
Umido.
Lento.
La reazione fu devastante.
Elisa lanciò un grido che sembrava un orgasmo misto a panico.
«AAAHHHHAAAH NON LA LINGUA—NON CI METTERE LALINGUAAAHAHAHAHAHAAAH—!!»
E Lara obbedì… solo per un secondo.
Poi affondò di nuovo.
La punta della lingua roteava dentro quella fossa sensibile mentrele mani afferravano i fianchi di Elisa per impedirle di muoversitroppo. Il contatto era carnale, intimo, osceno nella sua innocenza.Ma per Elisa era tortura. Totale.
Rideva. Piangeva. Implorava.
Si rompeva.
Punto dopopunto.
Respiro dopo respiro.
E l’ombelico restava lì. Il suo tallone d’Achille.
E Lara… aveva appena cominciato a giocarci.
La lingua di Lara si fece più feroce. Non più solo esploratrice,ma vera e propria arma. Una piccola spada viva e bagnata cheaffondava e roteava nel pozzo delicatissimo dell’ombelico di Elisacon un’intenzione cruda, precisa, sadica.
«AAAAAAHHH—AHHAHAHAHAHAAAH! L-LARAAA BASTA! BASTAAAAA NON LALINGUA—AAHHHH!»
Elisa urlava, rideva, rantolava, sbavava paroleche si fondevano a gemiti di puro terrore sensoriale. Il busto ormaisi muoveva a scatti convulsi, le gambe battevano come se cercasserodisperatamente un appoggio, ma ogni scatto la lasciava nella stessaposa crudele: braccia tirate in alto, ventre completamente esposto,l’ombelico sotto attacco diretto.
Lara era inginocchiata davanti a lei come una devota perversa, lemani strette ai fianchi scolpiti della donna, le dita che lasciavanoleggere impronte rosse nella pelle calda, e il volto sepolto nelladepressione umida del suo addome.
Ogni colpo di lingua era un affondo—un duello contro la volontàdi Elisa.
Roteava dentro il buco come una punta d’acciaioincandescente, vibrava in cerchi veloci, poi affondava al centro, poiusciva con uno schiocco umido per tornare subito dopo con una rafficadi leccate strette e ritmate.
Slurp. Slirp. Schlick.
Rumori osceni, bagnati, amplificati dalsilenzio irreale della palestra.
Elisa si dimenava come posseduta.
«AHHHHHH—NON CE LA FACCIO PIÙ—MI STAIDISTRUGGENDO—HAHAHAHAHAHAH!!!»
Ogni fibra dei suoi addominali era in fiamme. I muscoli sicontorcevano in spasmi disordinati. Il ventre ormai era diventato uncampo di battaglia, lucido di sudore, le vene in rilievo, e in mezzoquell’ombelico… in apparenza così piccolo, ma in realtà ilcentro nevralgico della sua rovina.
Lara alzò lo sguardo, gli occhi iniettati di piacere crudele.
Ilsuo viso era lucido, bagnato. Il respiro accelerato.
«Oh Eli…non puoi immaginare quanto mi diverta questo.
Il tuo corpo cosìforte… ma il tuo ombelico? Così fragile… così adorabile…»
Espinse di nuovo la lingua, veloce, come un colpo di frusta dentro lafossa sensibile.
Elisa piegò la schiena indietro e urlò.
Non una risata.
Unvero e proprio ruggito straziato.
Animalesco.
Bestiale.
«AAAAAAHHHHHHHAHAHAHAAA MI STAI FACENDO IMPAZZIRE!!!»
Il suo corpo ormai sfiorava il collasso.
Le gambe non lareggevano.
Le ginocchia tremavano violentemente.
La boccaspalancata, il viso bagnato di lacrime e saliva.
Eppure Lara non si fermava.
Non ancora.
Affondava la lingua e la faceva vibrare.
Poi le leccate sifacevano rapide, a scatti. Poi lente. Poi circolari, il bordodell’ombelico esplorato con la punta come un serpente curioso. Ognivariazione mandava scosse di puro terrore sensoriale attraversoElisa, come se la lingua di Lara fosse collegata direttamente al suocervello, come se ogni leccata azzerasse ogni pensiero.
«Guarda come ti contorci…» sussurrò Lara, la voce rotta dalrespiro.
«Sei così, così dannatamente viva… sotto la mialingua…»
Poi le diede una piccola serie di colpetti rapidi, decisi, dentroil buco con la punta rigida.
Tac tac tac tac—
Ogni tocco unascarica.
Elisa urlò di nuovo, squarciando il silenzio:
«NOOOOOOOOAHAHAHAAA TI PREGO MI STAI UCCIDENDO LARA BASTAAAAAAH!!»
I suoi addominali si tendevano come corde d’arco, il bacino sitorceva da una parte all’altra, l’intero corpo tremava in unasequenza incontrollata di spasmi da solletico.
E Lara non si fermava.
Le mani ai fianchi stringevano.
Labocca premuta al ventre.
La lingua una fiamma viva, tagliente, chebruciava l’ombelico a ogni affondo.
Slurp. Schlick. Slrrrp.
«Resisti ancora un po’, Eli…
Devoproprio capire se c’è un limite al tuo urlo.»
E di nuovo, lalingua colpì.
Al centro.
Profondo.
Rotante.
E Elisa… crollò.
Un urlo finale. Infinito.
Un’esplosione.
Unruggito che sembrava un orgasmo isterico e disperato.
Poi… le gambe si piegarono.
Il corpo tremava, sudato,esausto, rotto.
Le braccia ancora tese.
L’ombelico ancorapalpitante.
E Lara… ancora affamata.
Lara si tirò indietro lentamente, leccandosi le labbra conlentezza indecente, il viso ancora lucido del sudore di Elisa e dellapropria opera malata. Il sorriso che le si dipinse sul volto eraquello di una bambina soddisfatta dopo aver smontato il suogiocattolo preferito solo per il gusto di vedere com’era fattodentro.
Elisa era distrutta.
Le braccia ancora alzate, i polsi serrati e tesi come corde daforca. Il busto floscio, penzolante, la testa piegata in avanti, icapelli appiccicati alle guance arrossate, al mento tremante. Ognirespiro era un colpo di tosse spezzato da singhiozzi e resti di risadisumane. L’addome ansimava come se avesse corso per chilometrisotto la pioggia e poi fosse stata colpita da un fulmine. L’ombelico,lucido, umido, rosso, pulsava ancora. E tremava.
Lara le accarezzò piano la pancia con le nocche, quasiaffettuosa. Poi si rialzò e si avvicinò al viso di Elisa,sussurrandole all’orecchio con la voce morbida, zuccherina.
«Shh… riposa un po’, guerriera…»
Le sfiorò una guanciacon le labbra.
«Te lo sei meritato.»
Poi si voltò di lato, si chinò piano davanti a lei e allungòuna mano verso i piedi di Elisa, ancora ben piantati a terra. Unpiccolo sorriso beffardo le si accese sulle labbra. Uno sguardoveloce ai talloni, poi alle dita compresse nelle scarpe da training.
«Ma sai…» disse con tono canticchiato, «mi sa che lì sottoci nascondi un altro paio di segreti.»
La sua voce divenne unsussurro incantato.
«Avremo tempo. Tanto, tanto tempo perscoprirli…»
E le dita sfiorarono dolcemente la caviglia.
Il preludio.
Ilpromemoria.
La promessa.
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The gym air was thick with the smell ofiron, mixed with sweat and hot plastic. It was late—too late foranyone who wasn't obsessed. The neon lights reflected off the shinysurfaces of the equipment and her slick arms, the woman moving asfluidly as a feline between sets, without any need for externalmotivation.
Her name was Elisa. Thirty-three years old, eyes graylike polished steel, high, sculpted cheekbones, and the tight jawlineof someone who has chewed discipline every day for years. She wore adark gray sports top cut just above her navel, the stretch fabricglued to her skin, strained by movement and sweat. Her bare, smootharmpits, taut from every stretch, glistened with a light moisture,framed by sharp biceps and chisel-like deltoids. Every breath swelledher chest and lifted her ribs like the strings of a taut harp.
Hertop revealed the edges of her abs: not simply defined, but sculpted,as if the air itself had no right to caress the skin without slidingalong those deep folds. She wore high-waisted black leggings, shiny,thin as a second skin, with a thin gray stripe running down the sideto the knee. Her feet, firmly planted in black and red trainingshoes, sank into the rubber floor with the stability of someone who'sconquered every inch of herself.
She gripped the handles of thecable pulldown machine, positioning her arms above her head with thecalm precision of a surgeon. Her shoulder blades tightened, pullingthe skin into a tight V along her back. Her triceps contracted as shebegan the set, and each rep was a slow bite against the edge. Shegrunted slightly—not from fatigue, but from releasing the buildingtension, as if she contained a motor beneath her skin.
The musicwas a low beat pulsing from the speakers overhead, but Elisa paid noattention. She was alone, or at least she thought she was. She hadn'theard the back door open again after the electronic beep of thebadge. She hadn't noticed the gaze scrutinizing her from theuncertain reflection in the mirror in front of the dumbbells.
Tenmore reps. Eight. Six. Arms raised, elbows fully extended. Theperfect position. Breathing modulated, diaphragm contracting witheach pull. Every now and then, a trickle of sweat ran down her side,touching her skin like a subtle caress.
Behind her, silent,another presence approached. Light shoes, soft step. A smaller,younger shadow. But still invisible, for now.
Elisa slowlydescended with the last rep, arms still stretched above her head, andpaused for a moment in that pose of frozen strength. She didn't yetknow that that gesture, that simple stopping with her arms raised,would be the beginning of her small, twisted personal hell.
Theweight still hung, motionless, pulling Elisa's shoulders upward. Themuscles in her arms vibrated slightly under the tension, but shedidn't let go. There was something in that vertical effort that madeher feel alive, in control of her body. As if every second in thatposition wasn't a surrender, but a triumph. Time expanded in thesilence of the room.
Then, a sound. Soft. A click.
It didn'tcome from the machines. It wasn't electronic. It was the click ofsomething mechanical. Something nearby.
Her eyebrows furrowed, butshe said nothing. Only a moment later, she felt a movement behindher—quick, small, but precise. The kind of movement only those whoknow that place can make, because those who don't stumble, moveawkwardly. Elisa didn't turn around. She couldn't turn around. Herarms still raised, her wrists tight around the handles of themachine, her grip firm.
Then, like a thin knife between hervertebrae, the voice.
"Don't give up yet."
A female voice. Young. A low whisper,almost gentle, but charged with something. Mischief, perhaps. Orsimply a desire to play.
Elisa stiffened. Her gaze shifted to theside, searching for her reflection in the mirror in front of her. Andshe found it.
The girl was there. Petite but compact, with agymnast's body, lithe, lethal. She wore very short shorts and a tanktop that revealed her flat stomach, her small but round breastsframed by a blue sports top. Her hair was pulled back in a messy bun.And in her eyes, something strange. Not fear. Not respect. Somethingthat resembled desire disguised as defiance.
"Are you…?"Elisa broke the silence, without turning around. Her voice was firm.Her tone low, without bowing.
The girl took two steps forward,then two more. Now she was behind her. Very close. Elisa felt theheat radiating from her body. She could smell her scent, too: sweet,a little fruity. Green apple, or maybe peach.
"My name isLara. I'm new. I saw your training program on the board..." shewhispered, as if sharing a secret. "I was wondering how long youcould really last."
Elisa half-smiled, but didn't trust it."And what's that supposed to mean?"
Click.
A secondnoise, this time distinct. Elisa immediately looked down and sawsomething—a zip tie, a nylon strap—wrapping around her leftwrist. And then another on her right. She had left her hands closedaround the cable handles, and now the two strips of fabric had closedtightly around her wrists, anchoring her arms to the machine.
Herheart raced. A nervous reflex made her tug, but the straps wouldn'tlet go. She pulled hard, twisting her shoulders to free herself, buther arms remained stretched above her head, vulnerable,exposed.
"Hey!" she growled, her tone brusque,angry.
Lara didn't move away. Instead, she gently placed a hand onElisa's bare hip, right where the top ended and the curve of her hipbegan. A very light touch. But it was enough to turn Elisa's blood toice.
"Shh. It's not dangerous. It's just an experiment..."Lara's voice was now thin, insinuating. "Nothing you can't stop.Just say the right word."
"And what would that be?"Elisa asked, her tone still hard, but rippled with a subtledoubt.
"We'll see if you find it."
The girl circledher with the slowness of a creature savoring the moment. Each stepwas measured, theatrical. Now Elisa could see her fully. Lara's browneyes were sparkling, fixed on her with the intensity of a predatorthat has finally trapped its prey, but is in no hurry to devour it.The smile on her lips was too sweet to be sincere.
Elisa tugged onher wrists again, twisting her elbows, trying to free herself. Butnothing. Stuck. And that position—with her arms stretched above herhead, her chest open, her armpits completely exposed—gave her noadvantage. On the contrary. It left her… exposed. Vulnerable.
"Thisisn't fun."
"It's already so much fun for me."
Laramoved closer. Now she was in front of her. Her eyes lowered, her headtilted, as if she were studying a work of art. Her breathing slow.Her gaze wandered from the hard outline of her abdominal muscles, herbreasts compressed by her tight top, and then… her bare armpits,taut, perfectly smooth and vulnerable.
Lara's smile deepened. And she remainedthere, motionless, inches from Elisa's trapped body. The silence hadbecome as heavy as lead. Not a sound, only the older woman'sincreasingly irregular breathing, and the faint rustle of theathletic fabric stretching with every jolt.
"Have you everwondered how sensitive a part of your body can be... even when you'rehard as a rock?"
The question hung in the air, thick assteam.
Elisa didn't answer.
But the way her fingers flexed, theslight twist of her hips, the slight tingle under her skin... said itall.
Lara didn't speak. Silence, now, was a weapon. She bentslightly, raising her right hand, her fingers stretched out, slow, asif she had all the time in the world. Elisa clenched her jaw, herneck tense, her gaze fixed straight ahead. But her shoulders trembledslightly, imperceptibly.
And then, the touch.
A single finger.The index finger. He traced a slow, precise line, from the center ofher right armpit outward, following the natural curve of her smoothskin. An almost impalpable contact, like a feather, like a whisperthat doesn't yet dare turn into a voice.
Elisa flinched. Her torsotensed, the muscles in her arms tensed until her biceps throbbed. Afleeting expression—surprise, annoyance, something deeper—passedover her face.
"Tsk... already like this?"
Larasmiled, lightly licking her lower lip. She moved the same fingerback, this time grazing the skin with her very thin nail, like ablade of tempered glass. Elisa shook her head, her eyes narrowed,holding her breath.
"It's nothing..." she murmured. Buther voice was hoarse. And her hips, involuntarily, moved.
"Really?"Lara whispered, with a hint of feigned innocence. "Because youseem rather… sensitive."
Then, without warning, both handsshot forward.
Lara's fingers plunged into Elisa's tense armpitswith surgical precision. Ten dancing fingers, light but swift, beganto vibrate like the legs of a crazed spider, scratching the smoothskin with alternating movements, sometimes linear, sometimescircular. Pure tickling. Cruel. Merciless.
Elisa screamed.
"Ah—no,fuck—!" she twisted instinctively, trying to close her arms,to defend herself, but nothing moved. The straps held her wristspinned high. Every muscle contraction only accentuated the tension,and every breath became a strangled laugh.
"Stop it!"she cried, between breaths, her voice cracking with short sobs ofuncontrolled laughter. "Lara, I swear—I'll tear you topieces—"
"Oh, yes. Very violent. How long can youlast, mmh?"
Lara's hands moved more precisely, seeking outthe most sensitive spots. The inside of her armpits, just below thepectoral muscle. The line of her deltoid. The superficial nerves thattingled beneath the skin every time she brushed too close to herbreastbone.
Elisa laughed. Incredulous. Furious.
But shelaughed.
A full, almost bestial laugh, which shetried to stifle by biting her lip but which exploded anyway,overcoming every barrier. Her body writhed in a desperate dance, buther arms remained clenched high, pulling the skin even tighter,exposing every inch, every tiny sensitive spot.
"You'redriving me crazy, look at you writhing..." Lara whispered,leaning in to observe the trembling skin beneath her fingertips. "Andto think you seem so tough, so in control..."
"Fuckyou!" Elisa screamed, tears in her eyes, her forehead drenchedin sweat. "It—it's not funny—hahaha—bitch!"
Laralaughed too, low and mean. But she didn't stop. On the contrary, shebegan to vary her movements. Fingers scratched, then suddenlystopped, leaving Elisa panting, her muscles tense in silence,waiting... only to suddenly restart with a more violent, moretargeted attack.
The girl grew bolder. She moved so close that herbreasts almost touched Elisa's sweaty flank. She ran her tongue overher lips, excited by the power, by the reaction. Elisa wasbursting.
Laughter mingled with grunts, anger, and humiliation.
Awarrior, reduced to prey. Trapped, helpless, tortured with thesubtlest of tools: touch.
"I can go on for hours, you know?"Lara murmured, now slowing for a moment, sliding her fingertips everso slowly. "Or maybe I'll move on to your belly, your ribs... Iwonder where you're most sensitive."
"Fuck you!"
"Ohyeah, right there. Tense, naked, defenseless… a real rock. But evenstone can laugh.”
And the torment continued.
“Hhhahahahaha—NNO!No no no NO! Enough, ENOUGH!”
Elisa’s voice exploded likethunder, piercing the artificial quiet of the empty gym. But it was abroken voice, cracked by fatigue and desperation, a heart-rendingscream that mingled with an unstoppable river of wild, convulsivelaughter. Her face was purple, her hair plastered to her dampforehead, her torso twisting like a mad snake under thestrain.
Lara’s fingers gave no respite.
Ten thin clawsincessantly dug into Elisa’s tense armpits, digging laughter fromdeep within, digging madness. It wasn’t tickling anymore. It was aform of primitive control, a torture that ignored strength, ignoredpride. Every movement of those swift hands was a slap in the face toher dominance, every blow to her exposed nerves stripped away anotherpiece of resistance.
"Hahahaha—Stopiiiiii—Lara, Iswear—whathahahaHAHAAAH—"
Her voice cracked, shatteredinto guttural laughter, violent gasps, moans thick with air anddesperation.
"Shh... what are you screaming for, mmh?"Lara whispered in a sweet tone, tilting her head as if speaking to acapricious child. Her breathing was calm, almost cold. Her fingers,however, were the opposite: feverish, mischievous, unleashed."There's no one here, remember? Just me... and yourarmpits."
Then he lowered his voice, breathing against herear.
"So... vulnerable. So... perfect."
And again. Aburst. Her fingers launched into a mad dance, digging with rapid tapsright into the hollow of her left armpit, while her right armpit wasgripped by small, concentric scratches, around the axillary nerve,where the skin was thinner, more alive, more fragile.
Elisascreamed. But not with rage, now.
It was a pure, uncontaminated,primal scream.
"NOOOO-hahahaaa—ENOUGHAHHHH! Ican't—I CAN'T TAKE IT ANYMORE—"
Her legs jerkeduncontrollably, her quadriceps tensed to the max, but to no avail.Her knees buckled, instinctively trying to make her collapse, toescape, to protect herself… but the weight of her locked armsforced her to remain standing, exposed, tense. A flesh dummy. Atarget.
Tears streamed down her face.
Sweat and saliva drippeddown her chin.
And she laughed. She laughed so hard she couldn'tspeak, she couldn't distinguish words from laughter, she couldn'ttell if she was laughing or screaming or begging.
Lara bit herlower lip, her gaze filled with morbid satisfaction.
"Oh God…I wish I could see you. You're a vision, Eli."
He poked herarmpit again, two fingers curled into a crab-like shape.
"Thetough one, the tough one, the warrior... begging for someone to stopdoing this..."
The fingers made another rhythmic, cruelclicking sound,
"...like this."
Elisa made a brokensound, a gasp laced with laughter, as if she were drowning in her ownbreath.
"Stop, STOP—stop, please, please—"
Herwords were finally starting to sound different.
No morethreats.
No more insults.
But pleas.
Real ones.
"Ican't take it anymore... I can't take it anymore..."
Her sidetwitched. Her torso twisted to the right, then to the left,uncontrollably. Her knees banged together, her back arched, her mouthwide open in a silent laugh that sounded more like a hystericalsob.
Lara moved closer, almost glued to Elisa's trembling body.She slowly ran her tongue across her sweat-drenched cheek, unhurried,enjoying the salt and the desperation.
"Oh, of course youcan..." she murmured.
Then she gave her another precisethrust, right in the center of her left armpit.
"...you canhold on a little longer."
And she continued.
Moredecisively.
Deeper.
With both hands immersed wrist-deep in thetrapped woman's armpits, her fingers bent like flexible blades,digging, tormenting, pressing, pinching every millimeter of exposedskin.
And there, in that moment, Elisa's body seemed to break.
Notjust laughing. Not just screaming.
Now she wasshaking.
Shaken.
Drained.
Fragile.
Yet still there.
Still stuck.
Stilltormented.
Elisa's body was a wreck of contracted muscles andravaged laughter. Her arms were still drawn high, her armpits red,her skin glistening with sweat, and her chest heaving in fits andstarts, as if gasping for air in an ocean of tickles.
Lara lookedat her like a broken work of art, her eyes wide with pleasure andlips moist with mischief. She licked a finger. Then another. As if toclean them. Or to savor them. Then, slowly, she let her hands slidedown Elisa's sides, down past her ribs, her fingers still throbbingwith that desire for light torture, that childish and cruelneed.
Elisa gasped, her head tilted back, her hair now soaked andplastered to the nape of her neck. Her legs trembled, but theposition forced her to remain upright, her arms still stretched aboveher head. Every breath was a struggle. Every second, acondemnation.
And Lara's hands descended further.
The fingersslid down her sides, slowing... caressing... until the right indexfinger rested, lightly, just above her navel.
That spot.
Thatsmall cavity nestled in her belly, hard and taut as a stone. Elisa'sabdomen seemed sculpted by a god obsessed with perfection, every linedefined as on a Greek statue, but her navel... her navel was a small,vulnerable pit, deep, sensitive, an involuntary invitation toviolation.
Lara slowly swirled her finger around it, tracingconcentric circles around the edge, never directly touching thecenter. Elisa's entire body tensed. Her belly contracted, and herbreath caught in her throat.
"Oooh..." Lara whispered,with the smile of a thief who has found hidden treasure. "Whatis this, huh?"
Then, the finger sank in. A sharp, precisejab, right in the center of her navel.
And the screamexploded.
"AAAAAAHHHHHHHHHAHAHAHAHAHAAAAAA!!"
Ananimalistic, inhuman, primal sound. Elisa no longer had control. Herabdomen collapsed, her muscles contracted in a spasmodic surge, herlegs buckled under the blow, but her locked arms pinned her there,arched, exposed, defenseless. The laughter turned to sobs, the wordsdisintegrated.
"NO! NO NO LARA PLEASE—NOT THE NAVEL—NOTTHERE, NOT THERE—HAHAHAHAAAAH!"
But Lara was alreadybeyond.
She sank two fingers into the cavity with rapid, rotatingmovements, digging, exploring. Her face was transfixed, as if shewere playing a musical instrument and had just found the perfectnote.
Elisa's torso twisted, her stomach jerking, her back tense,but she couldn't do anything. Her fingers seemed to dig into hernervous system, sucking away every last bit of strength, everyshield.
"Good God... you're completely crazy down here, huh?"Lara whispered, her voice cracking with excitement. "So hard onthe outside, but your belly button... that's your kryptonite,right?"
She scratched the inside with her fingernail.
Anotherexplosion.
“AAAAAAHHHhhahahAHAHHHhhhhhNOOOOOHMAAAWONN—CAN'T—DO—ITHHHHHOOOO!!”
Elisa was laughing now ina different register. High. Strangled. In a desperate, almost erotictone. Tears streamed down her cheeks in thin rivulets, her chestheaving and emptying as if giving birth to madness. Her navel seemedto pulsate, alive, responsive to the slightest touch.
Lara placedher palm on her taut abdomen, pressing lightly while her thumbcontinued to torment the sweet spot with surgical precision.
“Ibet no one's ever tickled you here, huh?”
Another circulartap.
Elisa doubled over, held back only by her wrists.
“Andnow look at how you bend. Look at how you scream.”
The girl bentdown, kneeling before Elisa's now distorted belly, and pressed hertongue against the edge of her navel.
A thrust.
Wet.
Slow.
Thereaction was devastating.
Elisa let out a scream that sounded likean orgasm mixed with panic.
«AAAHHHHAAAH NOT THE TONGUE—DON'TPUT YOUR TONGUE IN THEREAAHAHAHAHAHAAAH—!»
And Lara obeyed…just for a second.
Then she sank again.
The tip of her tongueswirled inside that sensitive pit while her hands gripped Elisa'ships to keep her from moving too much. The contact was carnal,intimate, obscene in its innocence. But for Elisa, it was torture.Total.
She laughed. She cried. She begged.
She broke.
Stitchafter stitch.
Breath after breath.
And her navel remainedthere. Her Achilles' heel.
And Lara... had just begun to play withit.
Lara's tongue grew more ferocious. No longer just an explorer,but a true weapon. A small, living, wet sword that sank and swirledin the delicate well of Elisa's navel with a crude, precise, sadisticintent.
"AAAAAAHHH—AHHAHAHAHAHAAAH! L-LARAAA ENOUGH! ENOUGHNOT THE TONGUE—AAHHHH!"
Elisa screamed, laughed, gasped,drooled words that blended into moans of pure sensory terror. Hertorso was now moving in convulsive jerks, her legs thumping as ifdesperately seeking support, but each jerk left her in the same cruelpose: arms raised high, belly completely exposed, navel under directattack.
Lara knelt before her like a perverse devotee, her handsgripping the woman's sculpted hips, her fingers leaving light redimprints in the warm skin, and her face buried in the moistdepression of her abdomen.
Every thrust of his tongue was athrust—a duel against Elisa's will.
It swirled inside her holelike a red-hot steel tip, vibrating in rapid circles, then sinkinginto the center, then emerging with a wet pop, only to returnimmediately with a flurry of tight, rhythmic licks.
Slurp. Slirp.Slick.
Obscene, wet noises, amplified by the eerie silence of thegym.
Elisa writhed like a possessed being.
"AHHHHHH—ICAN'T TAKE IT ANYMORE—YOU'RE DESTROYING ME—HAHAHAHAHAHAH!!!"
Everyfiber of her abs was on fire. The muscles writhed in disorderlyspasms. Her belly had become a battlefield, glistening with sweat,her veins standing out, and in the middle that navel... seemingly sosmall, but in reality the nerve center of her ruin.
Lara lookedup, her eyes shot with cruel pleasure.
Her face was shiny, wet.Her breathing was rapid.
"Oh, Eli... you can't imagine howmuch this amuses me.
Your body is so strong... but your navel? Sofragile... so adorable..."
And she thrust her tongue again,fast, like a whiplash into the sensitive pit.
Elisa bent her backand screamed.
Not a laugh.
A real, heart-rendingroar.
Animalistic.
Bestial.
"AAAAAAHHHHHHHAHAHAHAAAYOU'RE DRIVING ME CRAZY!!!"
Her body was on the verge ofcollapse.
Her legs wouldn't hold her up.
Her knees were shakingviolently.
Her mouth was wide open, her face wet with tears andsaliva.
Yet Lara didn't stop.
Not yet.
She sank her tongueand made it vibrate.
Then the licks became quick, jerky. Thenslow. Then circular, the edge of her navel explored with the tip likea curious snake. Each variation sent shocks of pure sensory terrorthrough Elisa, as if Lara's tongue were directly connected to herbrain, as if each lick erased all thought.
"Look at youwrithing..." Lara whispered, her voice broken by breath.
"You'reso, so damn alive... under my tongue..."
Then he gave her asmall series of quick, firm strokes inside the hole with the rigidtip.
Tac tac tac tac—
Each touch a shock.
Elisa screamedagain, piercing the silence:
"NOOOOOOO AHAHAHAAA PLEASEYOU'RE KILLING ME LARA ENOUGH!!"
Her abs tensed likebowstrings, her pelvis twisted from side to side, her entire bodytrembled in an uncontrolled sequence of ticklish spasms.
And Laradidn't stop.
Her hands on her hips, squeezing.
Her mouthpressed against her belly.
Her tongue was a living, sharp flame,burning her navel with every thrust.
Slurp. Schlick. Slrrrp.
"Holdon a little longer, Eli...
I really need to know if there's alimit to your scream."
And again, the tongue struck.
Inthe center.
Deep.
Rotating.
And Elisa... collapsed.
Afinal scream. Infinite.
An explosion.
A roar that sounded likea hysterical, desperate orgasm.
Then... her legs buckled.
Herbody trembled, sweaty, exhausted, broken.
Her arms stilltense.
Her navel still throbbing.
And Lara... stillhungry.
Lara pulled back slowly, licking her lips with indecentslowness, her face still shiny with Elisa's sweat and her own sickhandiwork. The smile that spread across her face was that of asatisfied little girl after taking apart her favorite toy just to seewhat it looked like inside.
Elisa was devastated.
Her arms werestill raised, her wrists clenched and tense like gallows ropes. Hertorso was limp, dangling, her head bent forward, her hair plasteredto her red cheeks and trembling chin. Every breath was a coughpunctuated by sobs and the remnants of inhuman laughter. Her abdomenheaved as if she'd run for miles in the rain and then been struck bylightning. Her navel, shiny, moist, red, was still throbbing. And itwas trembling.
Lara gently stroked her belly with her knuckles,almost affectionately. Then she stood up and approached Elisa's face,whispering in her ear with a soft, sugary voice.
"Shh... resta bit, warrior..."
He touched her cheek with his lips.
"Youdeserved it."
Then he turned sideways, bent slowly beforeher, and reached out to Elisa's feet, still firmly planted on theground. A small, mocking smile played across her lips. A quick glanceat her heels, then at her toes squeezed into her training shoes.
"Butyou know..." she said in a low voice, "I think you'rehiding a couple more secrets down there."
Her voice droppedto an enchanted whisper.
"We'll have time. Lots and lots oftime to discover them..."
And her fingers gently touched herankle.
The prelude.
The reminder.
The promise.
