TITOLO: La Professoressa e Franceschina.
La professoressa entrò in classe come tutte le mattine, alla stessa ora, con lo stesso passo. Si trattava di una bella donna di forse 38/40 anni che amava ostentare con i suoi alunni un atteggiamento austero, forte, a tratti autoritario. Ormai insegnava da quasi 12 anni Matematica e Biologia, in vari licei della Lombardia. Purtroppo quell'anno, per un errore del provveditorato era stata assegnata ad un liceo di Milano: essendo il suo posto di lavoro distante circa 150 chilometri dalla sua casa, era costretta ogni mattina a fare quasi 2 ore di macchina per raggiungere il suo liceo, ed i suoi studenti. Questo la costringeva ad alzarsi la mattina con largo anticipo, lavarsi e vestirsi ed affrontare lo stress del viaggio in macchina per le strade caotiche della metropoli. Queste levatacce la facevano soffrire fisicamente non poco: aveva già fatto più di una richiesta dall'inizio dell'anno per essere trasferita quanto prima in una scuola più vicina a casa sua, ma semplicemente era stata ignorata. Era sposata da 8 anni con un pilota di aerei di linea: un uomo calvo e tarchiato, brutto, che, indirettamente, risentiva dei disagi lavorativi della moglie. Infatti lo stress della Professoressa aveva avuto serie conseguenze sulla loro vita matrimoniale, se mai se ne poteva ancora ipotizzare una qualche esistenza. Infatti avevano smesso da mesi di fare l'amore e la stanchezza della moglie, la sua irritabilità conseguente rendevano il loro rapporto sempre più teso. A causa degli impegni imprevedibili di lui e gli orari impossibili di lei, avevano pochissimo tempo per vedersi, per divertirsi, per consumare la loro unione. Lei si chiedeva come suo marito potesse stare dei mesi senza possederla: riteneva che un uomo avesse delle esigenze "fisiche" irrinunciabili, alle quali non poteva fare a meno. Questi pensieri, sempre più ossessivi, l'avevano portata ad immaginare il marito a letto con un'altra donna, magari una giovane hostess, una delle tante con le quali lui aveva spessissimo a che fare a causa del suo lavoro. Era tormentata da questi dubbi, tanto che ad un certo punto cominciò a darne per scontata la fondatezza, senza neanche chiarirsi esplicitamente con il coniuge. Questa situazione la faceva chiudere in se stessa, in un universo di incomunicabilità che coinvolgeva anche la sua professione. A scuola infatti, aveva un rapporto freddissimo con i propri studenti. Mai una battuta in classe. Se qualcuno provava a ridere durante la sua lezione, lei, senza pensarci due volte, provvedeva a mettergli una nota disciplinare. Il clima che si creava durante le sue ore era insopportabile per gli studenti: questo li portava infatti ad essere spesso disattenti, a non seguirla durante i suoi ragionamenti e le sue spiegazioni alla lavagna, a, semplicemente, occuparsi di altro durante le sue lezioni, come copiare i compiti per l'ora successiva oppure vagare con la mente pensando a tutto tranne che alla matematica. La piccola Franceschina, una sua alunna del 4° liceo, di 17 anni, non faceva eccezione. Durante le sue spiegazioni vagava con la mente pensando ad altro: a quali scarpe si sarebbe comprata o a quel ragazzino del 5° che le piaceva tanto. Difatti la matematica proprio non le piaceva e il comportamento della sua Docente, freddo ed austero, non faceva altro che alimentare questo suo disinteresse. Tale situazione si manifestò presto nella forma di brutti voti e una potenziale rimandatura nella sua materia. Francesca, in ogni caso, era preoccupata della situazione ma, in fondo, non così tanto: se l'era sempre cavata a scuola e quell'anno, nonostante questa Professoressa, le cose sarebbero andate lisce ugualmente. Tra le due c'era un rapporto strettamente scolastico: la Professoressa la chiamava alla lavagna, per esempio, Francesca la raggiungeva, dava qualche risposta sbagliata e poi veniva rimandata a posto, senza un commento, niente, da parte della Docente. Questo teatrino si ripeteva spesso in classe, tanto che Francesca ed i suoi compagni sospettavano, che, in qualche maniera, la Professoressa nutrisse una qualche antipatia specifica nei confronti della piccola ragazzina. Infatti capitava quasi ogni giorno che Francesca venisse chiamata alla cattedra, vicino alla sua Insegnante. La Professoressa, in cuor suo, si era resa conto di questo accanimento verso Franceschina ma lo giustificava con se stessa pensando che alla ragazzina faceva bene essere messa sotto pressione, essere riportata alle sue responsabilità. In realtà, ogni volta che se la trovava vicina, accadeva qualcosa di molto strano, qualcosa che non riusciva a spiegare a se stessa. Mentre le faceva delle domande, mantenendo il suo proverbiale contegno austero, le capitava involontariamente di guardarle le scarpe, i piedi. Non riusciva a capire perchè, a volte, senza volerlo, si ritrovava a fissare le sue estremità; quelle sue scarpe da ginnastica dai colori estrosi, completate da quei suoi calzini corti di cotone che spesso indossava. Quando era un pò più disattenta, il suo guardo quasi incosciamente finiva lì, a contemplare quelle sue scarpette da ragazzina diciassettenne. La Professoressa, invece, non si concedeva niente: il suo abbigliamento era tremendamente formale, scarpe incluse. In fondo in fondo provava una specie di invidia ingiustificabile per Francesca: il suo essere sbarazzina, anche nel vestirsi, la affascinava; invidiava il suo essere innocente, la sua giovinezza, la sua serenità, la sua inconsapevolezza della vita; una igenuità che si può provare solo a 17 anni. A ben pensarci invece, la Professoressa, alla sua età, a 17 anni, mostrava già i segni ed i sintomi della persona che sarebbe diventata poi: al liceo, infatti, era totalmente immersa negli studi. Mentre le sue amichette si divertivano tra di loro e facevano le prime esperienze con i ragazzini, lei si rinchiudeva in uno studio matto e disperato della Matematica, una materia che la affascinava. Sognava da grande di diventare una matematica di successo, di insegnare all'università, di poter fare della ricerca importante. Oggi però, alla soglia dei 40 anni, rivalutando la sua vita e le sue scelte, si sentiva una fallita: il suo matrimonio, con l'unico uomo che aveva mai avuto e con cui aveva fatto l'amore, stava andando in pezzi. La sua situazione lavorativa era precaria: il provveditorato non esaudiva la semplice richiesta del trasferimento, che le avrebbe evitato le levatacce mattutine, ed i suoi studenti, semplicemente, non la calcolavano trascurando compiaciutamente la sua materia. Si sentiva a pezzi, sull'orlo del baratro. La sua infanzia, prima del liceo, non era stata diversa: il rapporto con suo padre e sua madre era stato freddo. L'unica persona con cui riusciva a comunicare un pò più pienamente era la sua sorella maggiore. Passavano molto tempo insieme. Uscivano insieme e cercavano di fare tutto insieme. La sera, a volte, provava un'ansia terribile; era impaurita da qualcosa di indefinito che non riusciva a comprendere. Allora, la sorella maggiore, la raggiungeva nel suo letto per abbracciarla, per starle vicina. Capitava spesso che si addormentavano così, abbracciate insieme, teneramente. Capitava a volte che si ritrovavano nel letto a parlare di tutto: di vestiti, ragazzini, anche dei suoi studi. Fu in questo contesto, che lei sperimentò il suo primo ed unico contatto con il solletico. Infatti in quello stesso letto, capitava spesso che le due sorelle si ritrovassero a giocare al solletichino. La Professoressa provava uno strano piacere ad assalire la sorellina, cercando di immobilizzarla per poi tormentarla con il solletico. Però, essendo la minore, capì ben presto l'importanza della forza fisica durante questi giochi: la sorella maggiore, infatti, molto spesso riusciva a divincolarsi con facilità e a sottomettere compiaciutamente l'altra. A questo punto, sfruttando la maggiore forza che aveva nelle braccia, riusciva ad immobilizzare la Professoressa per poterla solleticare a suo pieno piacimento: piedini, ascelle, pancino. La Professoressa accennava una reazione ma, in cuor suo, sapeva che si trattava di opposizioni puramente fittizie: amava essere immobilizzata, amava perdere il controllo e le forze per il troppo solletico, amava concedersi, platonicamente, in quella maniera stranissima, alla sorellina maggiore. Si trovava a volte, mentre la sorella maggiore dormiva insieme a lei nel suo letto, a fantasticare di prevaricarla, di essere lei la maggiore una volta tanto: si ritrovava ad alimentare fantasie che non riusciva a comprendere, ma che comunque le creavano piacere. Sognava di legare la sorella maggiore a quello stesso letto, di torturarla biecamente col solletico utilizzando una piuma sotto i suoi piedi, tirandoli indietro, tendendo la pianta immobilizzandola, di prendersi tutto il suo tempo, tutto il tempo del mondo per poterlo fare. E, cosa più importante, il fatto che lei era la più debole, la minore, non avrebbe più contato: poteva prendersi la soddisfazione di far soffrire la sorella col solletico, di farla soffrire bene, come lei fantasticava, senza che la poverina potesse in nessuna maniera difendersi. Queste fantasie si persero ben presto nella aridità e nella inettitudine della sua vita: non ebbe mai il coraggio di farsi avanti con la sorella con pretese del genere; d'altro canto non avrebbe mai potuto legarla e torturarla contro la sua volontà: per una fantasia, seppur ossessiva, rischiava di perdere l'amicizia e la stima dell'unica persona al mondo con la quale aveva mai avuto un contatto. Ben presto, dopo l'adolescenza, le sue fantasie di solletico forzato ai piedi svanirono, per lasciare spazio alla sua disperazione e insoddisfazione di adulta. Un giorno, uno qualsiasi, uno dei tanti, la Professoressa, come tutte le mattine, entrò in classe. Tutti gli studenti si alzarono, in un gesto di rispetto che era puramente formale, ma oramai del tutto automatico. Anche Franceschina si alzò in piedi. Nell'entrare in classe, la Professoressa, del tutto incosciamente, notò che Francesca indossava un paio di scarpe da ginnastica di colore rosa, con abbinati un paio di calzini di cotone bianco, corti. Un brivido di emozione si fece spazio dentro di lei: subito badò a contenersi; temeva disperatamente di arrossire, per esempio. Questo, soprattutto perchè non capiva la ragione di quelle emozioni così forti: cosa significavano? perchè adesso? Si sedette come al solito alla cattedra e cominciò la sua lezione. "Bene, oggi concluderemo il discorso sulle derivate. Non scordatevi che tra due settimane abbiamo il compito in classe ed in questo tempo dobbiamo fare più esercizi possibili. Come abbiamo detto la derivata prima rappresenta la pendenza della retta tangente al grafico..." A questo punto, la sua voce, venne interrotta da un rombo furioso, che echeggiò inequivocabilmente in tutta l'aula. Come sappiamo, in ogni classe c'è un tipo di personaggio che è inconfondibile: si tratta del buffone, di uno studente mediocre il cui scopo principale è quello di divertire i suoi compagni. Beh, nella classe di Franceschina, il buffone era un tale Vito. Vito, infatti, era stato sfidato da alcuni suoi compagni a compiere una impresa abbastanza singolare: doveva emettere un peto, che fosse il più rumoroso possibile, durante una lezione della Professoressa. E così fece, zelantemente. Ci fu un secondo di silenzio. La Professoressa si interruppe, imbarazzatissima. Alzò la testa dal libro che stava tenendo in mano e guardò in avanti, alla classe. Era diventata paonazza in viso. A questo punto, il silenzio venne interrotto da una risata fragorosa, generale. Tutti i suoi alunni stavano ridendo per Vito oppure, forse, per l'imbarazzo della Professoressa. La Professoressa, guardando avanti, vide Francesca: era piegata in due dalle risate. Franceschina era diventata rossa, rideva disperatamente, come tutti gli altri suoi compagni. La Professoressa, incontrollabilmente, scattò in piedi e lasciò l'aula, evidentemente in lacrime, per rifugiarsi nella sala professori lì vicino. Era disperata, questa era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. "Questi ingrati" pensò "sacrifico la mia abilità, il mio talento per cercare di insegnargli qualcosa ed ecco come mi ripagano". E così, piangendo su una poltrona della sala professori, da sola, si rese conto di odiare i suoi studenti, di odiarli sul serio, di odiare la sua vita fallimentare. Ripensò alla faccia della povera Franceschina, alle sue risate di scherno, alla piccola ragazzina che da lì a pochi giorni sarebbe divenuta lo strumento inconsapevole ed indifeso della sua sadica vendetta verso se stessa e verso il mondo. Ritornò in classe, dopo essersi asciugata le lacrime. "Ragazzi" disse alla classe costernata, "ho deciso che il compito verrà fatto domani, non tra due settimane." Gli studenti prontamente tentarono di organizzare una difesa ma prontamente la Professoressa lì ammonì "Una sola parola per cercare di farmi cambiare idea su questo e vi faccio sospendere tutti, parola mia!" Detto questo, aggiunse "la mia lezione finisce qui. Impiegate il resto della mia ora facendo esercizi, se vi và." Detto ciò, lasciò l'aula. Gli studenti rimasero di stucco e cominciarono a pensare ad una maniera per uscire vivi da quella situazione. Sicuramente non erano pronti per affrontare un compito in classe su un argomento che avevano appena finito di studiare, senza che nessuno li seguisse facendo fare loro degli esercizi, almeno per un'altra settimana. Il clima era pesante in classe. Ad un certo punto, Vito dichiarò: "Ragazzi, potremmo rubare la fotocopia del compito e prepararci le risposte!" Gli occhietti di Francesca si illuminarono, intravvedendo una soluzione. "La Professoressa tiene le fotocopie dei compiti nel suo cassetto dell'aula professori. Sò di per certo che viene lasciato aperto, durante le ore scolastiche. Qualcuno potrebbe..." Vito fu interrotto da un altro compagno: "Perchè non ci vai tu a prenderle, soprattutto considerando che tutta questa situazione è colpa tua?" Vito rispose: "Beh, non ne sono tanto sicuro. Se venissi visto, potrebbero espellermi... Non lo so ragazzi, magari non è una buona idea..." "Ci vado io!" Franceschina disse con un tono di voce sicuro. Amava che gli altri compagni la considerassero un tipo duro, coraggioso, una che non si tira indietro davanti a niente, proprio come i personaggi dei serial che aveva visto in TV e che ingenuamente ammirava e voleva imitare. La poverina però, quella piccola ragazzina diciassettenne, innocente, ancora inconsapevole del mondo e delle voglie spesso insane e sadiche che la gente adulta intorno a lei poteva provare, non sapeva che da lì a poco quel gesto le sarebbe costato carissimo. La sua presunta durezza sarebbe stata messa alla prova in una maniera, perversa se vogliamo, che lei non avrebbe mai potuto immaginare. "Aspetterò la fine dell'intervallo; poi andrò in sala professori." Venuto il momento, si diresse in sala professori. Capì subito quale era l'armadietto della Professoressa: molto velocemente si fiondò sullo sportello, lo aprì ed incominciò a cercare per le fotocopie del compito del giorno dopo. Con fretta giustificata, cominciò a sfogliare tutti i fogli e gli incartamenti che trovava, nella speranza di individuare il più presto possibile quello che stava cercando. Ci stava mettendo troppo tempo: il compito non saltava fuori e dalla porta poteva entrare chiunque. C'era una infinità di carte in quell'armadietto! Compiti di anni passati, registri, verbali, appunti ecc. ecc. Franceschina era in difficoltà: non poteva tornare dai suoi compagni a mani vuote; che figura ci avrebbe fatto? Ad un certo punto, il Destino!! Inesorabile ed ineluttabile come solo Lui sa essere: dalla porta entra la Professoressa, inconsapevole della scena che avrebbe trovato all'interno della stanza. "Francesca! Che stai facendo con i miei registri?" Francesca impallidì terribilmente, cominciò a sudare freddo come non le era mai capitato nella sua breve vita. Era paralizzata dalla paura. Mille pensieri si confusero in un secondo nella sua testa: cosa sarebbe accaduto se fosse stata espulsa? Cosa avrebbe detto alla sua mamma? Sarebbe stata marchiata a vita come la ragazzina espulsa perchè stava cercando di rubare le fotocopie dei compiti. "Allora, perchè non mi rispondi?" Francesca, con la voce evidentemente alterata dalla fortissima emozione: "Proooofesoressa, mi scusi. Non volevo..." "Cosa non volevi?" disse la Professoressa, avvicinandosi a passo sveltissimo a Francesca che, avendo la donna a pochi centimetri da lei, non osava guardarla negli occhi ed abbassò lo sguardo, diventando rossa paonazza. "Questa volta non te la farò passare liscia! Pagherai per te e per i tuoi compagni, per la tua e per la loro indisponenza!" Francesca cominciò a piangere come una bambina. La Professoressa aggiunse: "Sai che per una cosa del genere il preside non ci penserà due volte ad espellerti?" Francesca, singhiozzando, tra le lacrime, rispose: "La prego, Professoressa. Non lo dica al preside... La prego... la prego. Cosa dirò alla mamma?" "Dovevi pensarci prima. Stasera ho l'ora di ricevimento alla 7, raggiungimi qui, in sala professori, che ti comunicherò che cosa ho deciso. Ora torna dai tuoi compagni, vai." Francesca ritornò in classe, non prima di essersi asciugata le lacrime ed aver preparato una storia credibile per giustificare il suo insuccesso. Arrivate le 7 di sera, Franceschina, che non era mai stata così puntuale in vita sua, entrò in sala professori, una seconda volta quel giorno ma con intenzioni e con un animo ben diversi. "Buona sera Professoressa" "Siediti." fu la risposta fredda che ricevette. "Ci ho pensato, e credo che non lo dirò al preside." Francesca con entusiamo: "Grazie, grazie, non so come ringraziarla..." "Frena il tuo entusiasmo." rispose "Se vuoi che dimentichi questa storia, dovrai farmi un favore, un piacere..." Francesca ribattè con sicurezza: "Qualunque cosa, mi dica." A questo punto la Professoressa era disorientata. Sentiva un imbarazzo terribile che le saliva dallo stomaco fino ad arrivare alla testa, trasformandosi in un rossore che, sperava con tutte le forze, Francesca non avrebbe avvertito. "Beh." provò a dire, fermandosi per riprendere fiato. Le mancavano le forze per poter continuare. Francesca si sorprese di vedere la sua Insegnante in difficoltà. La Professoressa per darsi forza ripensò alle scarpe da ginnastica rosa ed ai calzini bianchi che quella stessa mattina aveva ammirato sotto al banco di Franceschina e, una volta tanto nella sua vita, decise di essere sincera con se stessa: "Voglio farti il solletico, Francesca. Beh, voglio farti il solletico ai piedi con una piuma." Francesca rimase allibita, assolutamente immobile in una espressione del viso che tradiva il suo imbarazzo e il suo totale disorientamento. Cominciò a pensare che forse le sue orecchie l'avevano ingannata. "Che cosa mi sta chiedendo?" pensò. "E' pazza". Nella sua testolina di diciassettenne non poteva immaginare che esistesse al mondo un feticismo del solletico ai piedi e soprattutto che una persona di quel tipo, una Professoressa, una donna matura, una adulta, potesse rivolgerle una richiesta del genere. "Se accetti la mia proposta, dovrò legarti da qualche parte per potertelo fare, per esempio al lettino della infermeria della scuola. Non preoccuparti non voglio farti del male." In cuor suo, la Professoressa aveva, quasi inconsciamente, immaginato tutta la scena: la piccolina legata al lettino a pancia sotto, l'emozione incontenibile di sfilarle prima le scarpe da ginnastica rosa e poi i calzini bianchi e la delizia immensa di farla soffrire col solletico. Non voleva assolutamente farle del male: nonostante quello che era accaduto, il tentato furto, il peto, lo scarso rendimento, in fondo non le voleva male. Immaginava che coinvolgendola, lei così innocente ed inconsapevole, in giochi così perversi ed insoliti, di torturarla oltre la pietà con il solletico forzato alle piante dei piedi, potesse ripagarla dei "torti" che immaginava Francesca ed i suoi compagni, la scuola, il mondo magari le avessero fatto. Fino a quel momento aveva represso disperatamente le sue tendenze sadiche ed adesso, alla soglia dei 40 anni, riteneva che il mondo, che così tanto l'aveva delusa, le dovesse qualcosa. La povera Franceschina è stata una vittima del caso, si giustificò con se stessa la Professoressa, con una punta di perfido compiacimento. "Devo cogliere questa occasione" pensò la Professoressa. "Andiamo in infermeria" disse a Franceschina, che fino a quel momento non aveva aperto bocca. Francesca la seguì, quasi in trance, ancora scioccata per aver udito una richiesta così assurda. Non osava dire niente. Decise quasi inevitabilmente di sottoporsi al probabile supplizio che la Professoressa le avrebbe riservato poichè non poteva fare altrimenti. "Meglio questo che l'espulsione", pensò. E' opinione del Narratore che forse, a conti fatti, si sbagliava. Arrivati in infermeria, Francesca disse con tono incerto e preoccupato, non sapendo che risposta aspettarsi: "Cosa vuole che faccia?" La Professoressa avvertì un fremito di piacere a quelle quattro parole; ciononostante cercava di mantenere il suo proverbiale contegno formale: non voleva che Francesca si accorgeva che, se lei non l'avesse vista, sarebbe anche svenuta dell'emozione e dal piacere incontenibili. "Mi devo togliere scarpe e calzini?" aggiunse. "No assolutamente!" la Professoressa rispose. Infatti non voleva privarsi del piacere incommensurabile di sfilare lei le scarpe ed i calzini alla poverina, quando ormai era legata ed assicurata al lettino, in una posizione di assoluta vulnerabilità. "No. Togliti la maglietta e lasciati i pantaloni e le scarpe. Mettiti sul lettino a pancia sotto, con i piedi rivolti verso di me." Francesca ubbidì. La Professoressa, velocemente, assicurò con delle cordicelle la poverina al lettino della infermeria. I piedi di Francesca penzolavano ai due lati del lettino, divisi, vulnerabili, mentre le sue braccia erano distese sopra la testa, con i polsi assicurati ai due angoli superiori del letto. La Professoressa si diresse ai piedi del lettino, prese una sedia e si sedette a pochi centimetri dalla scarpe rosa di Francesca. Le guardò estasiata. Era la prima volta che le vedeva così da vicino: non vedeva l'ora di togliergliele ma aspettava, sadicamente e masochisticamente, il fatidico momento. Francesca, sul lettino, in quella posizione di assoluta vulnerabilità, col solo reggiseno a coprirle la parte superiore del corpo, non poteva essere più imbarazzata. La presenza della sua Insegnante così vicino a lei, il fatto che non sapeva minimamente che cosa quella insospettabile viziosa avesse in serbo per lei, quali torture, quali fantasie e quali voglie represse voleva scaricare su di lei, la metteva in un disagio che non poteva essere più intenso. Oltre le poche parole che aveva detto chiedendo cosa doveva fare non aveva più aperto bocca. Aspettava il suo martirio. Non poteva fare altrimenti. La Professoressa sfilò la prima scarpa, quella destra, emozionatissima. Quello che ebbe davanti agli occhi fu uno spettacolo che solo in pochi potevano apprezzare sul serio: osservava questo calzino di cotone bianco, corto, indifeso, che lasciava intravvedere, prima della gamba dei jeans, delle zone di pelle bianchissima, deliziosa, del suo polpaccio. La cordicella che assicurava la caviglia al lettino le dava una impagabile sensazione di vulnerabilità: avrebbe potuto fare a quel piedino tutto ciò che decenni di vergogna le avevano impedito di concretizzare. Era in estasi, paralizzata, eccitata SUL SERIO, la prima volta nella sua vita. Stava concretizzando una fantasia che, inconsciamente, la tormentava e torturava da 40 anni. Sentì il sangue salirle alla testa. Prima di dire qualcosa, riguardò il calzino, il piede e la povera vittima che aveva di fronte e fu colta da uno strano senso di tenerezza. Provava quasi pietà per questa piccola creatura indifesa che stava per torturare così crudelmente. Ebbe un impulso fortissimo di chinarsi e baciare la pianta del piede di Franceschina, coperta dal calzino bianco. Avrebbe voluto dare un bacio tenero, platonico, come si fa con una bambina cattiva che si è punita e fatta piangere e per la quale si prova uno sconfinato senso di tenerezza. Disse: "Ti ricordi quando ridevi in classe questa mattina per quel deficiente di Vito?" Francesca non rispose. Continuò a rimanere in silenzio, in attesa. "Non rispondi, ho capito." poi riprese "Vediamo cosa mi dici adesso..." Allungò il dito indice della mano destra e cominciò a grattare con l'unghia lunga e curata il calzino, nella parte centrale. "ghiri ghiri ghiri ghiri" Francesca sobbalzo disperatamente sul lettino. Non si aspettava una sensazione così insopportabile provenire dai suoi piedi. "ghiri ghiri ghiri Allora, perchè non ridi adesso?" La poverina era disperata. Il suo impulso primario era quello di ridere disperatamente, per scaricare l'effetto devastante del solletico fatto in quella maniera. Cominciò a sudare e a fare scatti nervosi sul lettino, inarcando il piede per far diminuire quella sensazione insopportabile. Però rimanendo in silenzio. "Ghiri ghiri ghiri... Vedo che sai resisterlo bene il solletico ai piedi." Francesca aveva troppa vergogna per ridere, era paralizzata ed ammutolita dalla vergogna. La Professoressa, continuando: "ghiri ghiri ghiri, vedo che questo piedino lo muovi un pò troppo." Detto questo, prese le dita dei piedi della poverina e le tirò verso dietro, tendendo deliziosamente il piede ed il calzino. Cominciò a grattare e solleticare tutta la pianta adesso: tallone, arco, sotto le dita. Franceschina non stava più nella pelle, era disperata. Ruppe il silenzio: "La prego, basta. ahahah" Si lasciò sfuggire, cercando in quel martirio di non ridere: "ahahah, la supplico. Che piacere prova a farmi soffrire così. Mi lasci andare. ahahahahaha Basta!" Detto questo la Professoressa si fermò e con tono deciso la ammonì: "Va bene Francesca, ma sai a cosa vai incontro se rompi il nostro patto..." Francesca non rispose. "Immagino che tu abbia capito. Vediamo adesso cosa c'è sotto questo calzino." disse la sadica, sfilandole il calzino bianco. I piedi di Franceschina erano stupendi, avrebbero fatto la felicità di qualunque sadico solleticatore su questa terra, pensò la Professoressa. Le piante dei piedi erano lisce, prive di calli o imperfezioni. "Adesso ti farò qualcosa che temo non ti piacerà, Francesca. Ma sappi che è qualcosa alla quale desideravo sottoporti dal primo istante che ti ho vista, all'inizio dell'anno." La Professoressa, prese dalla sua borsa altre 2 cordicelle, più corte delle precedenti. Dopo aver tolto anche l'altra scarpa ed il calzino, legò entrambi gli alluci a degli agganci che spuntavano dal lettino, in modo che entrambe le piante fossero tese. Il piede era rivolto verso il basso, data la posizione a pancia sotto della poverina. Sulle piante non era presente la minima grinzetta o alterazione: la Professoressa aveva fatto un lavoro ineccepibile nel legare e tendere quelle piantine indifese. Estrasse dalla borsa una grossa piuma dalla punta larghissima, dicendo: "Adesso tu ed i tuoi compagni me la pagate, razza di sfaticati. Non hai idea di quante energie sprechi nell'insegnarvi le derivate, gli integrali e tutto ciò che dovevi ma non hai studiato, tu come i tuoi amici. A casa perdo delle ore a correggere i vostri compiti disastrosi. Per colpa della scuola non ho più un rapporto con mio marito." e poi aggiunse con un pizzico di perfidia "Mi dispiace che ci vada tu di mezzo, piccolina." detto questo prese a dire, solleticando le dita del piede di Franceschina, quanto mai indifese: "Facciamo un esperimento scientifico. Mi sono sempre chiesta quanto una ragazzina come te, con dei piedi così lisci e vergini, possa sopportare." e continuò, agitando la piuma con sadica lentezza: "tichi tichi tichi tichi" "aaaaah ahahahah aaaaah Dio mio! Basta!" Francesca rispose, sconvolta. Non si aspettava che il solletico, fatto così, alle dita indifese dei piedi potesse essere così devastante. "ahahahahaha La smetta subito, la supplico." "So che non parli sul serio, Francesca." disse la sadica, non fermandosi un attimo anzi prendendo una seconda piuma per solleticare anche le dita dell'altro piede contemporaneamente. "aaaaaaaaaaaah ahahah noooooooo!" Francesca, a causa del solletico fatto in questa maniera perfida, era perduta in un mondo tutto suo di sofferenza e risate. Cercava disperatamente di ritrarre i piedi. Tutte le sue energie erano concentrate in questa semplice quanto impossibile impresa: divincolarsi era impensabile, la piccolina lo sapeva, ma cionondimeno continuava ad agitarsi e dimenarsi con disperazione sul lettino. "ahahahahahahhhh la prego, basta sulle ditaaaa la prego. faroooo qualunque cosa mi chieda, la smetta" "Ti accontento, Francesca. Adesso prenderò a solleticarti ANCHE il resto della pianta con queste piume" E così fece. Le piante nude dei piedi, non ancora interessate dal solletico duro e sadico come le dita, erano sensibilissime. Per Franceschina fu come morire. "laaaa supplico, ha vintoooo lei, mi liberi. Preferisco affrontare il preside, tutto, l'espulsione, qualunque cosa... ahahahahahahahah" "Piccola mia, so che non parli sul serio. E' la tortura a farti dire cose che non pensi. Il nostro esperimento deve continuare ricordi. Quando mi sarò resa conto che hai superato il limite, solo allora smetterò, FORSE. Adesso cerca di resistere, per amore della scienza, Francesca!" e così dicendo continuò: "ghiri ghiri ghiri ghiri" "ahahahaah noooo ahahahhahha noooo" La piccola aveva capito che ormai il suo solo compito era quello soffrire, di soffrire per il solo piacere della sua sadica aguzzina, per deliziarla con le sue risa ed i suoi lamenti, in cambio della salvezza scolastica. Quindi smise di supplicarla di smettere, e, praticamente esausta, accettò il suo ruolo di piccolo giocattolo nelle mani di un boia perverso. "Ora proviamo con le unghie sotto i piedi. Proverò a farti il solletico a diverse velocità ed in diverse zone. Nell'interesse del nostro esperimento, dimmi quando proprio ti senti morire, quando la combinazione di zona solleticata e modo di solletico è semplicemente insopportabile." "ahahahahhahhah no bastaa ahahahah lì no, lì no, non lo sopporto, non sotto le dita, no" A queste parole la Professoressa sorrise compiaciuta e, per tutta risposta, intensificò il solletico proprio in quella zona. "Lei è una sadica ahahahahah non ce la faccio più a ridere ahahahah mi dia un attimo di pausa ahahahahah" La Professoressa, che evidentemente non amava essere chiamata sadica, con una punta di rivalsa, prese a solleticare quella stessa zona con due mani contemporaneamente: "Chiamami sadica un'altra volta" le disse "e ti faccio il solletico fino a domani mattina, quando arriva il preside. Poi ti faccio rivestire e ti porto in presidenza e ti faccio espellere." Nel dire queste parole la Professoressa avvertì due sensazioni contrastati dentro di lei: un piacere estremo che si manifestava con una strana fitta allo stomaco, realizzando il potere che ormai aveva sul povero cricciolo inerme, e un pizzico di colpa perchè aveva inteso la perfedia ed il sadismo delle sue pretese. "ahahahahahahah nono come vuole ahahahah" rispose Francesca. Passarono due ore così, due ore di inferno per Francesca, due ore di paradiso per la Professoressa che, per assicurarsi che la sua piccola vittima soffrisse quanto più possibile, di tanto in tanto abbandonava i piedi per concentrarsi per qualche tempo sui fianchi e sulle ascelle ma poi, inevitabilmente, tornava lì, dove proprio Francesca il solletico non lo sopportava, alle piante ed alle dita dei piedi! La piccolina era stremata, ormai aveva a mala pena la forza per ridere. Aveva smesso da tempo di supplicare e chiedere pietà alla sua torturatrice. Il suo potere, il suo bieco ricatto non lasciavano spazio ad alcuna trattativa. I suoi fianchi erano doloranti per il troppo ridere. Il viso era imperlato di sudore e rigato dalle lacrime. Era veramente sull'orlo della pazzia: a volte, tra le risate, la sua vista si annebbiava e sentiva che stava quasi per svenire. In certi momenti, quelli di più acuta sofferenza, quasi se lo augurava, magari così la sua aguzzina si sarebbe spaventata per la sua incolumità ed avrebbe smesso quel terribile martirio. "ahahahahah no ahahahaha non lo sopporto più non lo sopporto più non lo sopporto più" "Ti credo questa volta, Francesca. Credo che quel limite che ci eravamo dette l'abbiamo toccato e forse anche superato. Ho deciso che per oggi può bastare..." Francesca, che il solletico aveva completamente devastato psicologicamente, ci mise qualche secondo ad intendere il significato di quelle parole: "Cooosa intende?" disse con la voce alterata dalla spossatezza "che significa per oggi?" "Per oggi significa che mi aspetto che tu mi conceda il tuo corpo ed i tuoi piedini una volta a settimana, per un'ora, fino alla fine dell'anno, in modo che io possa giocarci come ho fatto oggi. Se rifiuti, sai cosa di aspetta." "Ma Professoressa, non è giusto..." rispose Francesca con aria innocente. "Va bene Francesca, ti dò una terza possibilità: sono le 9 di sera. Se accetti di subire una tortura del solletico per tutta questa notte fino a domani mattina, smetterò di farti simili richieste." Francesca, che era ancora legata al lettino, pensando a quest'ultima possibilità sbiancò visibilmente: non si sentiva le forze per reggere un solo altro minuto di quella terribile tortura, e la sua aguzzina lo sapeva. "Ok, ho capito, ricomincio..." disse la Professoressa. Francesca, prontamente, ritornò in sè e disse: "Va bene, va bene. Accetto qualunque sua condizione." La Professoressa aggiunse: "di volta in volta ti dirò io come venire vestita. La prossima volta dovrai indossare dei collant neri con scarpe da sera, quelle col tacco." Franceschina annuì, mentre la Professoressa la liberava dal lettino della tortura.